
Sembra una descrizione abbastanza ampia ma è quello che si percepisce parlando con Emma Ruzzon, Presidente del Consiglio degli studenti dell'università di Padova, che in questi anni ha cercato di far sentire le istanze di un'intera generazione desiderosa, solamente, di avere un futuro degno di tale nome.
Emma nella nuova puntata del podcast di Skuola.net, #FuoriClasse, ci ha parlato del mondo dell'attivismo e della condizione dei giovani nel nostro Paese.
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L'attivismo per provare a chiedere un cambiamento
Quello di Emma è un attivismo che è nato in famiglia "dalle chiacchierate con i miei genitori su quello che stava accadendo". Poi "a un certo punto ho sentito, verso la fine delle scuole superiori, una grande voglia di avere spazi in cui discutere, cosa che nel paese di provincia in cui vivevo non c'erano"."Per cui appena sono arrivata all'università ricordo che al terzo giorno di lezioni ho conosciuto questa mia compagna di corso che era esattamente nella mia stessa situazione. Ci siamo trovate a bere un caffè, stavamo parlando di questa voglia di cambiamento. Lei, a differenza di me, conosceva già delle realtà studentesche in cui impegnarsi e così ho scoperto l'esistenza dell'associazione di cui oggi faccio parte, l'Unione degli Universitari".
Oggi, secondo Emma, "la situazione è talmente tanto disastrata su più fronti, da come stiamo all'interno dell'università a come stiamo all'interno delle scuole, proprio a livello psicologico; al fatto che lo sentiamo che non esiste per noi un futuro lavorativo che non sia precario, poi la crisi climatica... È tutto talmente presente che non è possibile non parlarne".
"Mi sto accorgendo di questa cosa anche nelle bolle di persone che non sono rappresentante, che non sono attivisti ma che sono costrette a parlarne lo stesso. Penso ci sia un po' più di consapevolezza condivisa ma modi non ancora troppo chiari su come catalizzarla. Però sì, vedo quella voglia, molto in potenza, che sta lì e freme".
Il sistema universitario e le sue contraddizioni
Parlando di problemi che toccano le nuove generazioni non si può non iniziare dall'università, "un percorso che può permettersi di fare chi è già privilegiato, chi già proviene da condizioni di partenza economiche e sociali di un certo tipo. Questo perché l'università costa. Eh sì, per carità, c'è una riduzione delle tasse in base al livello del reddito ma è comunque troppo costosa senza tralasciare che, per chi dovrebbe ricevere un'agevolazione, questa a volte non arriva"."Basti pensare che nella mia regione, le borse di studio non vengono erogate se non in piccola parte: più di metà di persone che hanno diritto a una borsa di studio non la ricevono. Cosa vuol dire? Non avere fisicamente i soldi per pagarsi l'università. Poi le case per gli studenti sono poche e costano tantissimo: l'abbiamo visto con la protesta delle tende che si è diffusa macchia d'olio in tutta Italia. Questo l'ho vissuto concretamente sulla mia pelle guardando gli annunci Facebook, anche solo nella mia città, dove i prezzi sono aumentati nel giro di uno o due anni di 100-200 euro per posto letto".
"E poi di per sé, appunto, è difficile entrare, è difficile rimanere all'interno dell'università, soprattutto se si deve lavorare per mantenersi. E questo genera un sistema molto competitivo all'interno dei corsi, in cui ci si vergogna di dire che si è rimasti indietro: non esiste ancora la concezione per cui il percorso universitario è personale e quindi il fatto che qualcuno possa aver bisogno di un po' di tempo in più per apprendere non significa essere un fallimento per la società".
"Questo invece, purtroppo, vediamo che è frequente. I casi di suicidio sono, ripeto, sempre la punta dell'iceberg. Quando la stampa si scandalizza per i casi di suicidio ma non si parla del livello di stress generale è un po' una contraddizione: non conosco nessuno che si sia suicidato ma non conosco una persona che non viva l'università senza stress. Ma anzi, con attacchi di panico se non attacchi d'ansia ad ogni singola sessione d'esame".
Gli scarsi investimenti sull'istruzione e la fuga dei cervelli
É un dato di fatto che oggi il nostro Paese, rispetto agli altri stati europei, è quello che investe meno sull'istruzione. "Da un lato culturalmente non siamo mai stati abituati a investire in istruzione negli ultimi decenni per cui da un lato la popolazione adulta fatica a vedere come campanello d'allarme il fatto di non investire in istruzione, dall'altro noi giovani siamo numericamente molto pochi per cui per ragioni elettorali non è utile investire sui di noi"."Quando i nostri nonni erano giovani loro erano la maggior parte della popolazione, ora che sono anziani sono di nuovo la maggior parte della popolazione e questo è uno dei motivi per cui si fa un po' fatica a spingere sulle nostre istanze".
"Non investire sull'istruzione, però, è una perdita gigantesca. Spesso si parla di provare a convincere i famosi cervelli in fuga scappati all'estero a tornare in Italia con una serie di bonus e incentivi fiscali ma non si guarda alla radice del problema: evitare che i giovani siano costretti ad emigrare all'estero perché non ci sono fondi, non ci sono modi per costruirsi una famiglia".
La disillusione giovanile
Accanto all'attivismo, oggi "per quanto riguarda i temi giovanili c'è anche moltissima disillusione perché, essenzialmente, se nessuno li mette in cima all'agenda politica chi dovrei votare, perché dovrei impegnarmi? Se io manifesto e nessuno mi ascolta, perché continuare a farlo? Tanto vale che io non mi impegni collettivamente nel provare a cambiare le cose, pensi a rendere la mia personalissima vita il menodifficile possibile, a farmi la mia carriera, a farmi individualmente il mio percorso all'università".
"Questo porta a cancellare ogni tipo di sensazione di collettività, cioè di qualcosa che ha senso costruire insieme, lottare insieme per ragionare insieme. Questa purtroppo è la vittoria più grande del sistema in cui siamo immersi: convincere ogni persona che l'unica cosa a cui badare sia il proprio singolarissimo e personalissimo orticello".
Paolo Di Falco