
Da allora, di pari passo, crebbe l'attenzione verso quella che tradizionalmente viene conosciuta come 'questione palestinese'. Spiegare cosa si intende per questione palestinese è semplice, da un punto di vista storico, decisamente più complesso è indagare sulle cause e sui fenomeni che delineano questo problema. Semplificando, si potrebbe far coincidere la questione palestinese con la proclamazione di indipendenza di Israele del 1948, tuttavia il fenomeno ha origini molto più antiche e poggia le sue radici nella secolare storia araba.
In generale, ciò che chiamiamo 'questione palestinese' non è altro che il conflitto tra ebrei e palestinesi riguardante la regione storica della Palestina, situata tra il Mar Mediterraneo, il fiume Giordano e l’Egitto. Un territorio abitato da popolazioni arabe musulmane che nei secoli ha visto migrazioni di massa da parte della popolazione ebraica, desiderosa di fare ritorno nella 'terra promessa'. E proprio la convivenza tra i due popoli è sempre stata oggetto della contesa. Cerchiamo allora di fare chiarezza sulla questione palestinese in vista della Maturità 2023: perché a più di mezzo secolo di distanza il fenomeno è, purtroppo, più che mai ancora attuale.
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Situazione a fine '800 in Medio Oriente
Nel corso dei secoli, c'è sempre stata una corrente migratoria ebraica verso la Palestina, motivata da ragioni religiose. Si intensificò a partire dal 1882, con l'inizio della prima Aliyah: una grande ondata migratoria – durata quasi 20 anni – in cui circa 30mila ebrei si stabilirono in Palestina, attratti anche dall'istituzione del Fondo Nazionale Ebraico, finalizzato alla raccolta di fondi per l’acquisto di terreni in Eretz Yisrael, la terra promessa. A fine secolo, la regione della Palestina era parte dell'Impero Ottomano da quasi 400 anni.
I turchi riconoscevano un certo margine d'autonomia alle popolazioni della regione: gli arabi (che costituivano la maggioranza) ed ebrei (in minoranza) convivevano in pace, insieme ad altre etnie. A fine '800, in un’Europa in cui i nazionalismi si diffondevano a macchia d'olio, così come anche l’antisemitismo, iniziò a farsi largo il sionismo: un movimento che aspirava alla creazione di un nuovo Stato in quella che è definita "Terra di Israele", in grado di offrire una patria a tutti gli ebrei dispersi nel mondo. Nel frattempo, con l’apertura del Canale di Suez il territorio palestinese vide aumentare la sua importanza strategica.
Dichiarazione di Balfour: la Palestina è inglese
Nel 1897 Theodor Herzl fondò l’Organizzazione Sionista Mondiale, che incentivava l'emigrazione degli ebrei in Palestina.Il 1917 è poi l’anno della Dichiarazione Balfour: lettera scritta dall'allora Ministro degli Esteri inglese, Arthur Balfour, e destinata a Lord Rothschild, referente del movimento sionista. Nella missiva il Ministro britannico riconosceva il diritto degli ebrei alla creazione di una 'dimora nazionale' in Palestina. La dichiarazione venne così inserita all'interno del Trattato di Sèvres, firmato tra le potenze alleate della Prima Guerra Mondiale, (quindi Francia, Giappone, Grecia, Italia, Regno Unito) e l’Impero Ottomano. I trattato sanciva ufficialmente il passaggio della Palestina sotto l'influenza del Regno Unito.
Palestina, la terra contesa
Durante il periodo del protettorato britannico, gli ebrei continuarono ad emigrare in massa nella regione comprando terreni dai palestinesi. In appena un ventennio ci furono altre ondate migratorie di enorme portata: a seguito della Rivoluzione russa, a causa dell’ascesa del Nazismo, come conseguenza della Grande Depressione e poi, ovviamente, c’è chi arrivava in Palestina per sfuggire alla Shoah. Ma, dopo decenni di apparente convivenza - le tensioni tra gli arabi e gli immigrati ebrei crebbero sempre di più. E, nel secondo dopoguerra, con la fine del mandato britannico, la questione palestinese divenne a tutti gli effetti un problema internazionale.
La proclamazione d'indipendenza: l'inizio della catastrofe
Il 29 novembre 1947 l’ONU propose un piano di spartizione tra uno Stato ebraico ed uno arabo, proponendo uno statuto speciale per la città di Gerusalemme: il movimento sionista accettò il piano, mentre i palestinesi, che come popolazione erano il doppio (1,2 milioni di arabi a fronte di 600 mila ebrei), lo rifiutarono. Il 15 maggio 1948 Ben Gurion, già leader dell'Organizzazione sionista mondiale, e capo delle forza militari Yshuv, proclamò con un atto di forza la nascita dello Stato di Israele. Ancora oggi Gurion viene ricordato come il 'padre fondatore di Israele'. Tuttavia proprio questa dichiarazione diede il via alle ostilità: quattro grandi guerre combattute nell'arco di 30 anni che hanno contribuito a smantellare ancora di più il processo di unificazione dei popoli della regione:
Il 6 ottobre 1973, una nuova offensiva da parte delle truppe egiziane e siriane scuoteva l'area. Giorno non casuale, visto che il 6 ottobre si celebra la festa ebraica dello Yom Kippur. Questa volta le forze arabe ebbero la meglio, almeno in un primo momento. La controffensiva degli israeliani non si fece attendere e, in pochi giorni, le truppe di Israele arrivarono a poche decine di chilometri dal Cairo. La guerra terminò grazie alle negoziazioni delle Nazioni Unite. Alla fine della guerra, non mutò la situazione dei territori ma l'opinione pubblica internazionale doveva fare i conti con un nuovo attore: l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), nata nel 1964, e riconosciuta dall'assemblea generale dell'Onu come ufficiale rappresentante del popolo palestinese.
L'attrito tra Israele e l'OLP: Hezbollah e Hamas
Da questo momento in poi le ostilità tra Israele e gli altri Stati arabi cessarono: nel 1978 poi, con gli Accordi di Camp David, il Sinai tornò all’Egitto, che riconobbelo Stato ebraico. Nelle tensioni con Israele, assunse invece un ruolo centrale l’OLP, intervenuta durante la Prima guerra del Libano del 1982. In quell'occasione l'OLP si scagliò contro l’esercito israeliano che invase il Paese per espellere le forze palestinesi. Durante questo conflitto vide la luce l’organizzazione paramilitare libanese 'Hezbollah', mentre nel 1987, anno della prima Intifada, viene fondata la palestinese 'Hamas'.
Palestina indipendente: gli accordi di Oslo
Il 15 novembre 1988 Yasser Arafat, leader dell’OLP, dichiarò l’indipendenza della Palestina. La prima sollevazione di massa del popolo palestinese, confinato nelle zone di Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme, si concluse nel 1993 con gli Accordi di Oslo, firmato da Arafat e Yitzhak Rabin (Primo Ministro israeliano). L'intesa prevedeva il ritiro delle forze israeliane dalla Striscia di Gaza e da alcune aree della Cisgiordania, oltre alla creazione di uno Stato palestinese entro cinque anni.
La questione palestinese oggi
Tuttavia tutte le buone intenzioni finirono nel dimenticatoio, con il processo di pace naufragato nel 1995, quando Rabin fu assassinato da un nazionalista israeliano. Nel 2000 scoppiò la seconda Intifada, a seguito della quale Israele costruì un muro al confine con la Cisgiordania. Alla luce dei fatti, possiamo tranquillamente dire che la questione palestinese sia ancora viva, e tutt'altro che risolta. Dal 2005, continuarono a verificarsi tensioni e attacchi, mentre lo status giuridico, politico e istituzionale della Palestina rimane ancora oggi una questione spinosa: è uno Stato riconosciuto da 138 (su 193) Paesi membri dell’Onu. Si trova nel territorio formato dalla Striscia di Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme Est: i territori occupati da Israele dopo la Guerra dei sei giorni. La Striscia di Gaza, di cui molto spesso sentiamo parlare, è una regione costiera confinante con Egitto e Israele, in cui vivono circa 1,7 milioni di abitanti di etnia palestinese, la maggior parte di essi rifugiati proprio a causa di quanto detto finora.