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Indice

  1. Nuovi personaggi e contesto storico
  2. Intrighi politici e militari
  3. Don Gonzalo e la fuga di Renzo
  4. La corrispondenza tra Renzo e Agnese
  5. Difficoltà della comunicazione epistolare
  6. Renzo e la scoperta del rapimento
  7. Lucia e donna Prassede
  8. Don Ferrante e la sua biblioteca
  9. Don Ferrante e le sue passioni
  10. La scienza cavalleresca di Don Ferrante
  11. Conclusione e avvenimenti futuri

Nuovi personaggi e contesto storico

Questo ventisettesimo capito de “I Promessi Sposi”, ambientato nel dicembre 1628 e mesi successivi, vede principalmente l’ingresso in scena di alcuni nuovi personaggi, alcuni dei quali già precedentemente accennati, tra cui Alessio di Maggianico, don Ferrante e donna Prassede.

I luoghi che fanno da sfondo alle vicende sono invece il paese di Renzo e Lucia, Milano, Bergamo e Maggianico; i temi rimangono invariati.

L’autore dichiara che per motivare l’interesse da parte del governatore Don Gonzalo alla vicenda di Renzo occorre prima illustrare le circostanze della guerra in atto per la successione agli stati di Vincenzo II Gonzaga, duca di Mantova e del Monferrato, morto senza lasciare eredi: sono cose, osserva ironicamente l’autore, ben note a chi di storia se ne intende, ma non a chi leggerà il Romano e perciò occorre spendere alcune parole in merito.

Intrighi politici e militari

Alla morte di Vincenzo Gonzaga, Mantova e il Monferrato vengono ereditati da Carlo Gonzaga, duca di Nevers appoggiato dalla corona francese, mentre la Spagna si oppone a ciò sostenendo le pretese su Mantova di Ferrante Gonzaga e sul Monferrato del duca Carlo Emanuele I di Savoia. Don Gonzalo, nobile spagnolo, cerca di iniziare le ostilità e conclude un trattato con il duca Carlo Emanuele per invadere e spartire il Monferrato, salvo poi ottenerne la ratifica dal primo ministro spagnolo facendogli credere molto facile la conquista di Casale. Don Gonzalo non intende però occupare il Monferrato, almeno fino a quando l’imperato Ferdinando II non si sarà pronunciato sulla questione della successione di Mantova, dal momento che il sovrano ha intimato a Carlo di Nevers di non occupare il feudo, mentre quest’ultimo non ha voluto obbedire.

Carlo di Nevers gode dell’appoggio del cardinal Richelieu, dei Veneziani e del papa Urbano VIII, ma il primo è impegnato nell’assedio di La Rochelle e in un conflitto con l’Inghilterra, senza contare l’opposizione della regina Maria de’ Medici; i Veneziani non intendono schierarsi se non dopo la discesa in Italia da parte dell’esercito francese, limitandosi ad aiutare il Nevers senza dare nell’occhio; il papa, da parte sua, sostiene Carlo a parole e cerca di stipulare un accordo. Don Gonzalo e Carlo Emanuele di Savoia possono così attuare il loro piano, ovvero l’invasione del Monferrato da parte del duca e l’assedio di Casale da parte del governatore di Milano, anche se le operazioni belliche non vanno come sperato: la corte, infatti, non dà l’aiuto richiesto e il duca di Savoia sottrae territori spettanti al re di Spagna, costringendo Gonzalo a tacere per non irritare l’alleato e perdere l’aiuto prezioso. L’assedio procede lentamente, sia per la resistenza dei Casalesi, sia per l’incapacità di Don Gonzalo, cosa che l’autore considera bellissima visto che in questo modo è stato limitato il numero di morti e feriti. Ed è proprio in questa circostanza che scoppia il famoso tumulto di S. Martino a Milano, alla notizia del quale don Gonzalo rientra precipitosamente in città.

Don Gonzalo e la fuga di Renzo

A Don Gonzalo viene riferito anche della clamorosa fuga di Renzo, nonché dei fatti veri o presunti di cui si sarebbe macchiato durante la sommossa e della sua fuga nel Bergamasco: teme a tal proposito che la Repubblica di Venezia possa approfittarne della rivolta per schierarsi con la Francia, tanto più che alcuni giorni prima è giunta la notizia che La Rochelle è caduta; perciò, coglie ogni occasione per far capire ai Veneziani che egli non è affatto preoccupato per l’accaduto. È questo il motivo che lo spinge a lamentarsi col presidente di Venezia allorché questi viene a fargli visita a Milano, protestando per l’asilo offerto a Renzo nel bergamasco, causando le ricerche della giustizia veneta in quel territorio, che poi non conducono a nulla. Intanto Don Gonzalo torna a Casale, dove gli viene riferito l’esito negativo delle ricerche del fuggitivo Renzo, al che sulle prime non ricorda nemmeno di chi si tratti, poi si rammenta della faccenda senza pensarci oltre.

La corrispondenza tra Renzo e Agnese

Nel frattempo, Renzo, che ovviamente non immagina che le autorità di Milano abbiamo così interesse a cercarlo, rimane nascosto nel suo nuovo rifugio e non può nemmeno dare notizie per un certo tempo ad Agnese, specie perché non sa scrivere e dovrebbe dunque rivolgersi a qualcosa che sia in grado di redigere una lettera per suo conto, trovando poi qualcun altro che faccia da corriere e la porti a destinazione. L’autore precisa, inoltre, che Renzo sa leggere, anche se in modo stentato, lo “stampato”, come aveva già dimostrato dall’Azzecca-Garbugli, ma non sa leggere però le parole scritte a penna. Quando finalmente trova un uomo fidato che possa fargli da scrivano, fa redigere una lettera per Agnese, che fa però recapitare al convento di Pescarenico non sapendo dove si trovano la donna e Lucia: la lettera arriva a destinazione, ma data l’assenza di Padre Cristoforo la missiva si perde e non se ne sa più nulla. Renzo fa dunque scrivere una seconda lettera, questa volta facendola pervenire a un suo amico di Lecco, che la fa avere ad Agnese: la donna si reca a Maggianico, e la fa leggere dal cugino Alessio, incaricandolo poi di scrivere una risposta che viene indirizzata ad Antonio Rivolta. Inizia così una sorta di corrispondenza epistolare, che avviene però in modo stentato a causa dell’analfabetismo dei due personaggi.

Difficoltà della comunicazione epistolare

L’autore spiega in questo punto che il contadino analfabeta che ha il bisogno di scrivere una lettera, si rivolge a uno che possa fargli da scrivano, possibilmente della sua stessa condizione sociale. Lo scrivano capisce le cose in parte e in parte le fraintende, propone dei cambiamenti e infine stende la lettera un po' a suo genio e non accettando di essere uno strumento della volontà altrui. In tal modo, la lettera non comunica sempre in modo chiaro e preciso quel che dovrebbe e perciò, quando giunge al destinatario, questi deve portarla a sua volta da un lettore che la interpreti e che riesce sempre a intendere quasi perfettamente il reale contenuto. In seguito, il destinatario fa scrivere una risposta al suo scrivano, il quale si comporta più o meno nello stesso modo dell’autore della prima lettera, e quando la missiva arriva al destinatario è soggetta a una simile interpretazione e a numerosi fraintendimenti. Se poi i due corrispondenti non dicono tutto chiaramente perché si tratta di affari segreti o riservati, come nel caso di Renzo e Agnese, la conseguenza è che essi facciano fatica a intendersi.

Renzo e la scoperta del rapimento

La corrispondenza tra Agnese e Renzo è appunto di questo tipo e nella prima lettera il giovane spiega le circostanze della sua fuga, senza tuttavia che la donna e Alessio riescano a intendere granché, complice il fatto che Renzo per prudenza evita di fornire troppi dettagli. Renzo domanda poi di Lucia, delle cui vicende ha avuta qualche notizia confusa, e raccomanda di confidare nell’avvenire, poiché ci saranno le condizioni favorevoli per un possibile ricongiungimento. Dopo un po' di tempo Agnese trova il modo per fare arrivare una risposta a Renzo, insieme alla metà dei cento scudi d’oro consegnati dall’Innominato: il giovane rimane stupito di vedere così tanto denaro e non sa che pensare, quindi si affretta a chiedere allo scrivano di leggergli la lettera, riuscendo così ad apprendere del rapimento di Lucia e dell’origine del denaro, nonché del voto pronunciato da Lucia. Renzo è inorridito e attonito da quanto appreso e per poco non si scaglia con il suo interprete, che obbliga a leggere più volte la lettera senza tuttavia riuscire a comprendere di più. Detta in seguito una risposta in cui afferma di non voler mettersi l’animo in pace e che non toccherà i cinquanta scudi. Renzo fa scrivere inoltre che, a suo dire, la Madonna aiuta i poveri e non induce a perder la speranza; quindi, lui è ancora ben deciso a sposare Lucia ed a usare il denaro per la sua casa nel Bergamasco quando le cose si saranno sistemate. Agnese riceve la lettera e risponde a sua volta, per cui questo scambio di lettere prosegue così per un po' di tempo.

Lucia e donna Prassede

Agnese, riesce in qualche modo a informare Lucia, ospite a Milano da donna Prassede, che Renzo è in salvo e che è stato avvertito della questione del voto, per cui la giovane è sollevata e desidera solamente che il suo promesso cerchi di dimenticarsi di lei. La giovane si sforza con tutta sé stessa di non pensare a Renzo, ma per quanto lei si dedichi assiduamente al lavoro non riesce a evitare che l’immagine del giovane si insinui fra i suoi pensieri. Lucia riuscirebbe certo a pensare di meno a Renzo, se donna Prassede non le parlasse spesso di lui nel tentativo di indurla a dimenticarlo: sovente le chiede continuamente se pensa ancora a quel giovane, al che la povera Lucia si schermisce dicendo che non pensa a nessuno e la nobildonna diffonde a parlare di quelle giovani che rinunciano facilmente a buon partito, ma quando si innamorano di un delinquente non vogliono dimenticarlo. La ragazza tenta di difendere Renzo in ogni modo e afferma che il giovane si è sempre comportato bene, sicura anche del fatto che a Milano non deve aver fatto nulla di male; Lucia dice a sé stessa che prende le difese di Renzo per amore di carità, anche se donna Prassede ne deduce che è ancora innamorata. La giovane spesso scoppia a piangere, ma neppure delle lacrime fermano la nobildonna; la ragazza non serba comunque malevolenza nei confronti della predicatrice, tanto più che la nobildonna la tratta con molta dolcezza, anche se quelle discussioni lasciano la poverina in uno stato di agitazione, poiché risvegliano in lei pensieri e sentimenti che vorrebbe evitare.

Fortunatamente per Lucia, donna Prassede deve esercitare la sua carità anche verso altri, come gli elementi della servitù che sono per lei meritevoli di essere raddrizzati. Ha inoltre cinque figlie, tre dele quali sono monache e due sono sposate, per cui donna Prassede si sente in obbligo di interferire anche negli affari di tre conventi e due famiglie. La casa è il luogo dove l’autorità della donna è assoluta, anche se non si estende sul marito don Ferrante, con cui ha un rapporto particolare. Il nobile è un uomo di studio e non gli piace né comandare, né ubbidire, per cui concede alla moglie il comando completo sulla casa ma se ne sottrae volentieri e l’unica concessione che fa a donna Prassede è di scrivere per lei qualche lettera. Questa brontola spesso contro di lui, e tenta di indurlo a un’opera più attiva nel suo esercizio del bene, limitandosi infine a definire il marito come uno scansafatiche e un letterato.

Don Ferrante e la sua biblioteca

Don Ferrante possiede una biblioteca che conta circa trecento volumi e libri preziosi su vari campi del sapere, nei quali il nobile passa per essere un dotto e un esperto. In astrologia è ritenuto più che un dilettante, dal momento che non possiede solamente la terminologia generica, ma è in grado di descrivere i vari movimenti degli altri: da tempo egli sostiene infatti le teorie del Cardano contro quelle dell’Alcabizio, appoggiando quindi le idee di un moderno contro quelle degli antichi. Conosce anche la storia di questa scienza e riconosce ad essa la capacità di predire eventi futuri, benché alcune previsioni siano risultate sbagliate. È anche esperto di filosofia antica, da cui ha appreso grazie alla lettura del Diogene Laerzio, mentre l’autore che ritiene sia il maestro supremo è Aristotele, per cui conserva anche opere dei seguaci moderni: non vuole però leggere le opere dei suoi detrattori, per non buttare via tempo e denaro. Don Ferrante è ritenuto da molti anche un fedele seguace delle teorie aristoteliche, benché egli ritenga con modestia di non conoscere fino in fondo le dottrine di quel filosofo.

Don Ferrante e le sue passioni

Don Ferrante è anche appassionato di filosofia naturale, pur essendosi limitato a leggere le opere di Aristotele su questa materia, dando anche un’occhiata ai libri del Cardano, nonché all’opera di Alberto Magno su erbe, piante e animali. Pur non essendo un esperto, egli conosce alcune delle più interessanti bizzarrie della natura, come la natura delle sirene e dell’araba fenice. Il nobile è senza dubbio più esperto di magia e stregoneria e ne ha letto molti trattati, con il solo scopo di conoscere le arti malefiche degli incantatori per potersi difendere da essi; grazie alle opere eccelse dello scrittore Martino Delrio è in grado di parlarne come un dotto delle arti magiche più diffuse, quali per esempio i filtri d’amore, gli incantesimi per fa dormire, dai quali è bene stare alla larga. Conosce anche molto bene la storia universale, di cui possiede molte opere degli autori più noti al suo tempo, benché siano del tutto sconosciuti oggi.

Lo studio della storia, tuttavia, ha scarso peso senza l’arte della politica, per cui Don Ferrante ha nella sua fornitissima biblioteca una sezione dedicata agli statisti, nella quale gli autori più celebri sono J. Bodin, B. Cavalcanti, P. Paruta, nonostante i libri da lui ritenuti più importanti sono ben altri. Tutti questi scritti sono però superati da uno uscito molto di recente, ovvero “Lo statista regnante” di Valeriano Castiglione, scrittore eccelse che è stato invitato a descrivere le gesta di illustri personaggi contemporanei, divenendo lo storico ufficiale di re Luigi XIII di Francia e di Carlo Emanuele di Savoia.

La scienza cavalleresca di Don Ferrante

In tutte queste materie Don Ferrante è di certo molto colto, ma quella in cui merita l’appellativo di professionista è la scienza cavalleresca: non solo, infatti, è molto dotto in questa disciplina, ma spesso gli viene anche chiesto di dare il suo parere e di intervenire in quale disputa riguardanti questioni di onore, il che spiega perché nella sua collezione vi siano gli autori più quotati. L’autore più importante è tuttavia il milanese Francesco Birago, che il nobile conosce personalmente e che considera suo amico: la sua opera cavalleresca, secondo egli, finirà per oscurare quella di G. B. Olevano e le altre reputate come le più autorevoli in fatto di scienza cavalleresca.

Conclusione e avvenimenti futuri

L’autore ritorna per osservare con ironia che, forse, questo elenco di opere contenute nella biblioteca del nobile è durato fin troppo e rischia di annoiare il lettore, senza considerare che l’anonimo ha speso così tante parole solo per vantare di una certa dottrina e conoscenza riguardo gli scritti del suo secolo, per cui ritiene sia il momento di ritornare sulle vicende dei personaggi principali. Sino all’autunno del 1629 tutti rimangono dove si trovano senza che accada loro qualcosa di rilevante, finché un avvenimento storico di una certa notorietà manda all’aria i progetti di Agnese e Lucia: quel fatto (la calata dei lanzichenecchi in Lombardia) fu solo il presagio di un evento molto più tragico (la peste del 1630) che avrebbe coinvolto personaggi grandi e umili come un tornado che sradica alberi e abbatte mura ed edifici, ma solleva anche i fuscelli d’erba e le foglie appassite, per cui l’autore dovrà descrivere almeno in parte gli eventi pubblici per spiegar meglio quelli privati.

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