Concetti Chiave
- Il capitolo 19 introduce l'Innominato, un personaggio potente e misterioso, accrescendo la tensione narrativa.
- Il conte zio utilizza la sua abilità diplomatica per convincere il padre provinciale a trasferire Padre Cristoforo, evitando scandali.
- Padre Cristoforo è costretto a lasciare il convento di Pescarenico per predicare a Rimini, tagliando i legami con la comunità locale.
- L'Innominato è descritto come un famigerato bandito, rispettato e temuto, con un castello al confine tra il territorio milanese e veneto.
- Don Rodrigo cerca l'appoggio dell'Innominato per consolidare il suo potere senza compromettere i rapporti con la società civile.
Il diciannovesimo capitolo de “I Promessi Sposi”, vede l’ingresso in scena di un personaggio dinamico, l’Innominato. I luoghi in cui avvengono le vicende si mantengono gli stessi, quanto i temi. I personaggi sono Padre Cristoforo, Il Griso, il conte zio, l’innominato, i frati cappuccini ed i bravi.
Indice
Il piano del conte zio
L’autore in questa prima parte del capitolo propone una similitudine per spiegare il comportamento del conte zio, dicendo che come non sia possibile capire da dove provenga un'erbaccia nata in un campo mal coltivato, così non si può dire se l’idea di rivolgersi al padre provinciale dei cappuccini sia venuta istantaneamente all’uomo politico, oppure se vi sia stata tramandata dal Conte Attilio. Di certo il nipote non l’ha detto a caso e sicuramente non sia aspettava che lo zio sarebbe ricorso a quel mezzo; d’altro canto, egli vuole preservare l’onore e il nome del casato, impedendo così a Don Rodrigo di prendere una soddisfazione su Padre Cristoforo con un gesto clamoroso che potrebbe anche sollevare uno scandalo. Sarebbe poi inutile imporre al nipote di allontanarsi dal paese, dal momento che l’avrebbe potuta interpretare come un gesto di sconfitta, mentre è chiaro che l’ordine dei cappuccini non cederebbe mai di fronte a un'intimidazione del potere politico. Il conte zio decide però di rivolgersi lo stesso al padre provinciale, al fine di provocare l’allontanamento di Cristoforo dal convento in base ai poteri del prelato.
Il pranzo diplomatico
Il conte zio diciamo che conosce il padre provinciale in modo superfluo; tuttavia, tra i due c’è un rapporto basato sul reciproco ossequio, anche perché, dal resto, è molto più facile avere a che fare con un personaggio potete che ha molti individui al di sotto, poiché è più incline all’arte sottile del compromesso. Un giorno il conte zio invita il prelato a pranzo e lo fa accomodare a una tavolata i cui commensali vengono scelti con estrema cura: si tratta di parenti titolati, gente aristocratica e clienti legati al padrone di casa, come cortigiani. Nel corso del banchetto il conte zio è propenso a indirizzare il filo del discorso su Madrid, la capitale del regno di Spagna di cui lui si vanta di essere di casa, parlando a lungo della corte, del conte-duca, del governo. Tutti i convitati ascoltano i racconti del padrone di casa, finché inizia a parlare col padre provinciale che gli siede vicino, il quale dopo averlo ascoltato per un po', decide di cambiare discorso e discutere del cardinal Barberini, cappuccino e fratello di Papa Urbano VIII, cosicché l’uomo deve tacere e ascoltare l’interlocutore come regola della conversazione. Alla fine del pranzo il conte zio invita il padre ad appartarsi in una stanza riservata, per parlargli in privato.
Discussione privata
Il conte zio fa sedere con ogni riguardo il padre provinciale, entrando subito nell’argomento accennando con fare serio una questione che sarebbe opportuno chiudere senza far troppo rumore, chiedendo poi al presule se nel convento di Pescarenico vi sia un padre di nome Cristoforo. Il prelato accenna di sì e il politico comincia a parlare del frate descrivendolo come un tipo assai turbolento, e che ne è certo, ha dato da pensare al padre provinciale. Questi comprende subito che il conte zio vuole coinvolgerlo in una briga e si rammarica di aver lasciato padre Cristoforo troppo tempo in un convento di campagna, invece di spostarlo frequentemente per evitare che si scontrasse con dei nobili. Il prelato tenta inutilmente di difendere la reputazione del povero frate, al che il conte zio lo informa che Cristoforo proteggeva Renzo Tramaglino, uno dei rivoltosi del famoso tumulto a Milano: il padre accusa il colpo, ma difende nuovamente il frate ricordando che è proprio compito dei cappuccini prendersi cura degli uomini traviati, argomento cui il conte ribatte che la questione è alquanto delicata e fa avanti la possibilità che il prelato possa ricevere pressioni addirittura da Roma. L’uomo di stato ricorda anche con malizia il passato difficile del frate, aggiungendo che probabilmente, l’uomo non ha perso le sue antiche abitudini, soprattutto dal momento che egli è venuto a scontrarsi nientemeno che con suo nipote Don Rodrigo, questione della quale il prelato non può più venire a meno.
Decisione sul trasferimento
Il padre provinciale disapprova il fatto che Padre Cristoforo abbia provocato in qualche maniera il nobile, dicendosi nonostante pronto a chiedere i provvedimenti del caso qualora il frate avesse commesso un errore, ma il conte zio ribadisce che sarebbe assai meglio chiudere la faccenda senza schiamazzi, per evitare conseguenze che potrebbero mettere in mezzo altre persone. Osserva poi il conte che, sia Don Rodrigo che il frate, sono alquanto giovani, per cui tocca a loro trovare una soluzione approfittando della loro veneranda età (al che il conte zio smette un attimo di fingere, assumendo un'espressione di sincerità nel colloquio). A questo punto l’uomo politico propone al prelato di stroncare la cosa sul nascere, allontanando quindi il frate dal convento, per evitare che “la paglia prenda fuoco”, soprattutto alla luce dei rapporti sospetti tra Cristoforo e un ricercato come Renzo. Il Provinciale è in cuor suo un po' dispiaciuto e rammaricato di prendere una decisione simile, e tenta allora debolmente qualche opposizione, a cui il conte zio si dimostra abile a fronteggiarla e ribatte che lo scontro tra i due potrebbe addirittura coinvolgere l’intera famiglia, facendo così che l’affare diventi serio. Inoltre, ricorda il politico, che c’entra anche il puntiglio cavalleresco, e di queste cose non si sa mai come vanno a finire: infatti, anche i padri cappuccini hanno parenti nel mondo aristocratico e questi potrebbero intervenire nella disputa qualora assumesse un ruolo più deciso, il che scatenerebbe conseguenze imprevedibili.
Il padre provinciale inizia quindi a cedere, dicendo che Padre Cristoforo è predicatore e che ne servirebbe uno in un’altra città, anche se è esitante a prendere un provvedimento che potrebbe risultare una punizione: il conte zio ribatte nuovamente che la cosa assumerebbe un atto di convenienza politica per l’ordine, al che il prelato esprime timore che Don Rodrigo potrebbe intendere l’intera cosa come una vittoria personale e vantarsene pure. Il politico minimizza la questione affermando che il nipote non verrà a conoscenza dei dettagli, mentre la gente del paese non troverà di certo strano il fatto che il frate venga trasferito in un altro convento; il prelato, da parte sua, chiede che don Rodrigo compia qualche gesto d’amicizia verso l’ordine, cosa che il conte dà per scontata, in quanto il rispetto per i padri cappuccini è un'abitudine consolidata della famiglia. Il conte, allora, si augura che il trasferimento avvenga il prima possibile, e che venga inviato molto lontano, cosa che il Prelato non esclude in quanto gli è stato richiesto proprio in predicatore a Rimini. Il politico approva e incita il provinciale ad affrettare quanto più possibile la rimozione di Cristoforo da Pescarenico, ponendo termine al colloquio e accompagnando il prelato fuori dalla sala, non prima di avergli rivolto numerosi complimenti per sottolineare il rispetto verso di lui.
Partenza di Padre Cristoforo
L’arte diplomatica del conte zio, dimostra subito i suoi effetti, giacché l’uomo politico è riuscito a fare andare Padre Cristoforo fino a Rimini (viaggio che l’autore definisce ironicamente “una bella passeggiata”). Infatti, poche sere dopo, un cappuccino proveniente da Milano, giunge al convento e consegna un pacco al Padre Guardiano, ovvero l’ordine in base al quale Padre Cristoforo deve recarsi a Rimini dove predicherà la Quaresima, unitamente al comando di troncare ogni affare fatto nel paese e di non mantenere più nessun contatto con le persone che vi abitano. Il padre Guardiano non dice nulla al frate riguardo lo spostamento, mentre il mattino dopo lo fa chiamare mostrandogli la lettera, ordinandogli di prendere sporta, bastone e sudario e partire alla volta di Rimini: l’uomo si dispiace molto di dover abbandonare i suoi protetti, Lucia, Renzo, Agnese, però poi si pente e si raccomanda alla Provvidenza Divina, certo che essa saprà in qualche modo aggiustare le cose in sua assenza. Padre Cristoforo china la testa di fronte al Padre Guardiano in segno di ubbidienza, e prendendo tutte le sue cose, lascia il convento non prima di aver salutato tutti i confratelli.
L'Innominato e la sua fama
Come già accennato nel capitolo precedente, per riuscire a venire a capo nella sua impresa, Don Rodrigo sceglie di chiedere l’aiuto di un uomo famigerato, del quale l’autore non è in grado di dire né il nome, né il titolo, e neppure un'idea della sua identità (si tratta dell’Innominato): il personaggio non è indicato nemmeno dagli storici dell’epoca, probabilmente per evitare vendette da parte di quell’uomo dalla fama terribile. L’autore cita invece la testimonianza di scrittori quali Francesco Rivola e Giuseppe Ripamonti, che parlano riguardo il personaggio anche in attinenza con il cardinale Borromeo, ma senza mai farne il nome e limitandosi nel descriverlo come un potente bandito mandante di spietati delitti, che si faceva ovunque beffa della legge, vivendo trincerato in un inafferrabile castello situato lungo il confine dei due stati, milanese e veneto. L’autore ricorda che costui fin dall’adolescenza abbia gareggiato con tiranni della sua città (Milano), mettendosi di traverso alle loro trame e riuscendo molte volte a vincerli o farli divenire suoi amici, essendo tra l’altro superiore a molti di loro per ricchezza e amicizie. A poco a poco gli altri signori cominciano a rivolgersi a lui per chiedere aiuto nelle loro imprese, aiuto che il bandito non nega ovviamente, ma, anzi, concede con generosità, per non venire a meno alla fama da cui è circondato: commette quindi una serie di spaventosi delitti e atrocità tali che neppure la sua potente famiglia può più proteggerlo, e, alla fine, è costretto ad abbandonare lo Stato.
Il potere dell'Innominato
Il modo in cui l’Innominato lascia Milano è tipico del personaggio che lui è, dal momento che attraversa la città a cavallo con un seguito di cani, passando davanti al palazzo del governatore al quale lancia un serie di insulti infamanti. Durante il periodo del bando, l’uomo non interrompe i contatti con i suoi amici, ma continua le sue attività criminose, compiendo nuovi omicidi anche su mandato di principi stranieri, alimentando una trama sempre di più oscura e fatta di segrete alleanze; dopo qualche periodo di tempo, fa ritorno nello Stato, o perché il bando è stato revocato, o semplicemente perché è talmente temuto che non può farsi beffe di tutto ciò che riguarda la legge. Tuttavia, non torna proprio a Milano ma si stabilisce in un castello al confine con il Bergamasco, allora appartenente alla Repubblica di Venezia, da dove il bandito continua un susseguirsi di delitti circondato da sgherri e bravi senza scrupoli. Tutti i signori che vivono nel territorio tra i due Stati controllato dall’Innominato devono scendere a patti con lui, giacché i pochi che hanno tentato di mettersi contro sono finiti male. Si rivolgono a lui anche persone che hanno ragione in qualche controversia, al fine di ottenere il suo aiuto prima dei loro avversari, e spesso anche dei deboli oppressi hanno richiesto il suo intervento contro la prepotenza di qualche signorotto locale, ottenendo soddisfazione. Così facendo e operando al servizio del bene, l’innominato si circonda di una fama sinistra e il suo nome è pronunciato sempre con un'aura di terrore. Ed è talmente tale la sua reputazione da brigante e assassino che, spesso, alcuni delitti vengono attribuiti a lui anche senza alcuna prova, mentre tutta l’altra gente crede che egli abbia suoi sicari sparsi ovunque, esercitando quindi un potere illimitato sul territorio circostante.
Relazione tra Don Rodrigo e l'Innominato
Dal castello dell’innominato al palazzotto di Don Rodrigo non ci sono più di sette miglia e il signorotto non ha tardato a rendersi conto che, per esercitare la sua fama sul proprio territorio, doveva per forza diventare amico del potente bandito: egli ha reso in passato vari servizi e ne ha ricevuto in cambio promesse d’aiuto, anche se il nobile fa di tutto per tenere nascosta la sua corrispondenza con quel bandito. Infatti, Don Rodrigo non vuole distruggere i rapporti con la società civile, ma preferisce piuttosto godersi i piaceri della vita cittadina, e per questo non tiene in considerazione i parenti, la legge, la protezione delle persone potenti; perciò, la vicinanza ad un uomo del genere e da tutti temuto, non gli fa un buon gioco, specie nei riguardi del conte zio. Così, una mattina, Don Rodrigo lascia il palazzo a cavallo, come se andasse per una battuta di caccia, accompagnato dal Griso e altri suoi quattro bravi armati, diretto al castello dell’Innominato.
Domande da interrogazione
- Chi è l'Innominato e quale ruolo svolge nel capitolo?
- Qual è il piano del conte zio riguardo a Padre Cristoforo?
- Come viene descritto il pranzo diplomatico tra il conte zio e il padre provinciale?
- Quali sono le conseguenze della decisione di trasferire Padre Cristoforo?
- Qual è la relazione tra Don Rodrigo e l'Innominato?
L'Innominato è un personaggio famigerato e potente, descritto come un bandito che vive in un castello inaccessibile. È temuto e rispettato, e Don Rodrigo cerca il suo aiuto per i suoi scopi.
Il conte zio intende allontanare Padre Cristoforo dal convento per evitare scandali e proteggere l'onore della famiglia, utilizzando la sua influenza sul padre provinciale dei cappuccini.
Il pranzo è un evento formale e strategico, dove il conte zio cerca di influenzare il padre provinciale attraverso conversazioni e relazioni sociali, per ottenere il trasferimento di Padre Cristoforo.
Padre Cristoforo viene mandato a Rimini per predicare, interrompendo i suoi legami con il paese e lasciando i suoi protetti, come Lucia e Renzo, affidati alla Provvidenza Divina.
Don Rodrigo cerca di mantenere una relazione segreta con l'Innominato per ottenere il suo aiuto, pur cercando di non compromettere la sua posizione nella società civile.