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Concetti Chiave

  • Seneca, originario di Cordova in Spagna, si affermò come importante filosofo stoico, influenzato dagli insegnamenti di maestri come Attalo e Sozione, e fu attivo nella politica romana nonostante le tensioni con imperatori come Caligola e Claudio.
  • Le opere filosofiche di Seneca, tra cui i Dialogi e le Epistulae Morales ad Lucilium, esplorano temi come la morte, il tempo e la saggezza, offrendo un percorso di autoeducazione e perfezionamento morale attraverso il genere epistolare.
  • Seneca fu autore di dieci tragedie, che, sebbene non destinate alla rappresentazione teatrale, esplorano le passioni umane estreme e il furor attraverso monologhi intensi e una narrazione oratoria, evidenziando i pericoli delle passioni sfrenate.
  • La satira Apokolokỳntosis rappresenta una feroce critica postuma all'imperatore Claudio, sfruttando l'umorismo e la parodia per deridere la pretesa divinizzazione del defunto imperatore, riflettendo il contesto politico e personale di Seneca.
  • Le Naturales Quaestiones di Seneca, un trattato di scienze naturali, combina conoscenze scientifiche con riflessioni morali, dimostrando l'importanza dello studio della natura per il miglioramento dell'anima e la lotta contro l'ignoranza.

Indice

  1. Vita di Lucio Anneo Seneca
  2. Opere di Seneca
  3. Dialoghi di tipo speculativo
  4. Trilogia dei Dialoghi a Sereno
  5. I Trattati
  6. Le Epistulae Morales ad Lucilium
  7. Le dieci tragedie di Seneca
  8. Le caratteristiche del teatro senecano
  9. Apokolokỳntosis

Vita di Lucio Anneo Seneca

Seneca nasce a Cordova in Spagna. Non si sa con certezza quando sia nato, si pensa nel 4 a.C. o nel 1 d.C., probabilmente nel 4. Appartiene a una ricca famiglia equestre di origine spagnola e ha dei parenti illustri: il padre è Seneca il retore, il nipote è Lucano. Si reca a Roma per i suoi studi. All'interno delle Epistulae morales ad Lucilium, ci descrive quali sono stati i suoi maestri quando era andato a Roma a studiare: Attalo (e grazie a lui ha conosciuto la filosofia stoica, infatti Seneca viene definito come filosofo stoico) e il neopitagorico Sozione che gli insegnò l'austerità dei costumi e la rinuncia ai piaceri del vino perché un atteggiamento austero è sinonimo di buona vita. Seneca aveva attacchi d’asma e certe volte gli sembrava soffocare nella notte e per migliorare la situazione fece un viaggio in Egitto. Seneca è sempre stato inviso agli imperatori, cominciando da Caligola che cominciò ad essere geloso della posizione in politica a tal punto da cercare di farlo uccidere. Una donna, amica dell’imperatore, cerca di fermare Caligola dal suo istinto dicendo che alla fine Seneca sarà destinato a morire e grazie a questa donna Seneca non viene ucciso. Però un’altra donna lo condannò, Messalina, perché insinuò che Seneca avesse commesso adulterio con Giulia Livilla, giovane sorella di Caligola, Claudio si convinse di ciò e li mandò in esilio, Seneca in Corsica dove rimase 7/8 anni, Giulia nell'isola di Ventotene. Quando stava in Corsica, Seneca tentò di ingraziarsi Claudio elogiando le sue imprese in varie opere, come ha fatto Ovidio esiliato a Tomi nel Mar Nero. Nel 54 d.C. muore Claudio (perché Claudio si è risposato con un’altra donna, Agrippina) avvelenato dalla moglie, nonché madre di Nerone, così poteva salire al potere Nerone (Nerone stesso poi ucciderà anche la madre); Messalina era invece stata condannata a morte per adulterio. Però, prima di tutto questo, Agrippina fa richiamare a Claudio Seneca dall’esilio e poi dopo Claudio muore e così Seneca diventa precettore e amico del figlio Nerone, perché Nerone aveva solo 17 anni. Saranno 5 anni dove si parlerà di quinquennio felice (54-59 d.C.), apogeo di Seneca. Nerone voleva conquistare sempre più potere e fece uccidere la madre e Seneca venne coinvolto. Il 62 d.C. Seneca si ritira a vita privata, il secessus e si dedica agli studi. Poco dopo viene scoperta la Congiura di Pisone, contro Nerone, e Seneca, nel 65 viene condannato al suicidio. Però fu un suicidio molto lungo perché prima si tagliò le vene però non usciva tanto sangue, poi bevve la cicuta, si fece immergere nell’acqua calda per favorire l’emorragia e alla fine venne portato in un bagno a vapore e li morì soffocato. La morte verrà raccontata da Tacito negli Annales.

Opere di Seneca

Le opere filosofiche di Seneca verranno racchiuse in una raccolta di Dialogi, ma non sono veri e propri dialoghi come quelli di Platone o Cicerone; Seneca parlava in prima persona rivolgendosi al destinatario dell’opera, non c’è un botta e risposta. In tutto sono 10 opere.

I primi tre sono di impianto consolatorio:
1.Consolatio ad Marciam: consolazione rivolta ad un’aristocratica di nome Marcia per la morte del figlio Metilio. Marcia era la figlia di Cremuzio Cordo, uno storico famoso. Le tematiche che emergono in quest’opera sono il tema della morte riprendendo Lucrezio dicendo che la morte non deve essere un qualcosa di negativo ma una liberazione da tutte le sofferenze e l’approdo finale dell’anima dove si può spogliare da tutti i dolori. Verso la fine dell’opera fa parlare Cremuzio Cordo, attraverso la prosopopea, dicendo che sarà assunto come beato. Vi è un rimando a Cicerone, il sogno di Scipione nel De Re publica
2.Consolatio ad Helviam matrem: la madre era affranta perché Seneca si trovava in esilio. Però lui la consola dicendo che l’esilio non è altro che lo spostamento da un luogo ad un altro e anche un’occasione per dedicarsi agli studi e per perfezionare la persona.
3.Consolatio ad Polybium: Seneca si propone di consolare Polibio, liberto di Claudio, per la perdita del fratello, però quest’opera viene usata per lo più per essere richiamato a Roma. Infatti viene definita come un’opera pesante perché è pieno di elogi. Frase che spicca di più è “Aut beatus aut nullus est” (o è beato o non esiste).

Dialoghi di tipo speculativo

1. De ira: suddiviso in 3 libri, è un trattato dove Seneca parla delle manifestazioni dell'ira, è un sentimento negativo e ingiustificabile, deriva da un impeto rabbioso che offusca la ragione, lo descrive come una “brevis insania”, un breve momento di follia. Ma l'ira vera e propria si manifesta quando uno è consapevole che può nuocere all'altra persona, solo il saggio non può mai farsi condizionare dall'ira.
2. De Brevitate vitae: Seneca si pone contro la concezione degli uomini sulla brevità della vita, infatti dice "Si uti scias, longa est", se sai farne buon uso, la vita è lunga, il problema è che gli uomini la sprecano in cose sciocche, perdono tempo. Questi uomini li chiama gli occupati, sono sempre occupati però per faccende frivole. Dice, pertanto, che a noi è stato concesso tanto tempo a disposizione, noi dobbiamo saperlo utilizzare. E l’unico che sa come sfruttare al meglio la vita e il tempo è il saggio.
3.De vita beata: divisa in 2 parti. Nella prima parte, Seneca fa coincidere lo stoicismo con il vivere secondo ragione e critica la dottrina epicurea che fa coincidere la felicità con il piacere. La seconda parte dell'opera è un'autodifesa da chi lo accusava perché predicava il distacco dai beni terreni e viveva nella ricchezza. Seneca risponde dicendo che non è sapiente ma tende alla sapienza e pertanto è ancora un essere imperfetto.

Trilogia dei Dialoghi a Sereno

1.De constantia sapientis: dedicata ad Anneo Sereno, amico di Seneca epicureo che poi dopo si è convertito allo stoicismo. Sulla costanza del saggio, in questo dialogo si affronta la tematica del saggio invulnerabile dal cambiamento esterno. Il saggio sa mantenere un autocontrollo emotivo
2.De tranquillitate animi: sulla tranquillità dell’anima. Seneca, dopo aver esposto i sintomi di un animo inquieto (turbamento, nervosismo, rabbia), presenta dei rimedi su come calmare l’anima: εὐθυμία. Euthymia, tranquillità dell'anima. I rimedi per tranquillizzare l’anima sono:
  • Circondarsi di amici, pochi ma buoni.
  • Dedicarsi allo studio e meditare.
  • Praticare uno stile di vita incentrato sulla parsimonia.
  • Imparare ad accettare e aspettare la morte.

De otio: dialogo scritto nel 62 d.C. Seneca esalta l'otium, otium litterarium, disimpegno intellettuale, dedicato al perfezionamento morale e agli studi, lontano dalla vita politica. L’otiuum si contrappone al negotium. Il saggio è la figura ideale di colui che rappresenta al meglio questo otium litterarium. All'interno di questo trattato Seneca spiega questa tematica attraverso l'immagine della duplice res publica: dice che esistono due res publicae, una maior, totalità del mondo intero, e una minor, luogo reale in cui il saggio opera. Quando la corruzione del mondo politico fa sì che non ci possano essere più motivi per impegnarsi nella vita attiva allora è necessario un secessus, se il saggio non può godere della res pubblica minor va a quella maior.

I Trattati

De providentia: Il destinatario è Lucilio. Lucilio pone una domanda "ma se il mondo è retto da una volontà provvidenziale, perché le persone buone sono colpiti dalle sventure?". Seneca risponde parlando della dottrina stoica secondo cui le sofferenze devonon essere sopportate dal saggio ma, se divengono insostenibili, la soluzione è suicidarsi.
De clementia: trattato di filosofia politica. Seneca esalta la monarchia illuminata, dove deve esserci un monarca che regni con giustizia. Suddiviso in 3 libri:
  • Il 1° intero.
  • Il 2° a metà.
  • Il 3° non ci è pervenuto.
È dedicata a Nerone. Seneca, in questo trattato, non mette in discussione la legittimità costituzionale del principato, anche nel suo aspetto monarchico, perché, secondo la concezione stoica, l’universo viene controllato dal logos, un’entità al di sopra di tutto. Così il princeps deve reggere le sorti del suo Stato attraverso la monarchia a patto che il princeps sia clemente, disponibile al perdono.
De beneficis: suddiviso in sette libri, in cui Seneca tratta un problema di coscienza: quale atteggiamento bisogna avere davanti a chi ci rende un beneficio?
Le Naturales Quaestiones: è un trattato di scienze naturali suddiviso in sette libri in cui espone i fenomeni naturali, dalle comete ai fulmini, ai terremoti, ai fiumi. L’opera è frutto delle letture dei fisici greci, in particolare dello stoico Posidonio. Non è una scienza vera e propria, ma una sintesi di conoscenze scientifiche, divulgate con finalità morali ed educative. Infatti, lo studio della natura serve al miglioramento dell’anima, combatte contro l’ignoranza e libera l’uomo dalle superstizioni che gli vengono dal non conoscere le cause dei fenomeni naturali. Le Naturales Quaestiones furono usate anche nel medioevo come libro di studio per la storia naturale.

Le Epistulae Morales ad Lucilium

Sono l'opera più importante di Seneca, testamento spirituale dell'autore. Sono una raccolta di lettere di argomento etico dedicate a Lucilio Iuniore: sono 124 lettere in 20 libri, ma Aulo Gellio cita anche dei passi tratti da un ventiduesimo libro, quindi alcune lettere sono andate perdute e i libri sarebbero stati più di venti. Il genere epistolografico era giù usato da Epicuro e Platone nella letteratura greca, mentre c'è Cicerone in quella latina. Seneca rinnova il genere dell'epistola, introducendo degli importanti elementi di novità, veicolando anche dei concetti importanti dal punto di vista filosofico. Compose le epistole dopo il secessus (62-65 d.C.) perché, ritirandosi dalla vita politica, si dedica al perfezionamento morale e allo studio della filosofia; quindi Seneca si pone come un maestro nei confronti di Lucilio che veste i panni di discepolo. Gli insegna comportamenti, stili di condotta che si addicono ad un uomo saggio, ma non dobbiamo immaginare Seneca come maestro onnisciente, bensì il processo di conoscenza non si arresta mai. Le Epistulae sono quindi un processo di autoeducazione, il colloquio con il discepolo gli innesca questo processo bilaterale. Il filo conduttore è rappresentato dai progressi morali che compie Lucilio. Le prime lettere sono di carattere parenetico (parenesi, "esortazione a qualcosa"), perché esortano allo studio della filosofia; nelle altre affronta questioni di vitale importanza come il tempo, la morte, il viaggio e la schiavitù. Il tono delle lettere è colloquiale e discorsivo, proprio perché rappresenta il momento più intimo della vita di un autore. Il tono è quello del "sermo", conversazione. C'è un esortazione al perfezionamento morale in vista di un uso pratico e le epistole variano molto sia per dimensione sia per stile. Una caratteristica di Seneca è l'utilizzo della sententia, frase apodittica, senza possibilità di controbattere. L'epistolario di Seneca è di tipo letterario, quindi era già pensato come opera letteraria. Aveva già in mente di far confluire nell'opera tutta la dottrina filosofica. Le tematiche trattate sono varie:
  • Esortazione all'otium literarium poiché Lucilio era anche procuratore della Sicilia, quindi lo esorta ad abbandonare il negotium per lo studio e il perfezionamento morale. Nel corso delle epistole abbraccerà questa scelta di vita.
  • Il tempo: riprendendo la dimensione qualitativa rispetto alla quantitativa, come nel De brevitate vitae.

L'epistola 124, quella finale, è importante perché Seneca dice "Possederai il tuo bene, quando capirai che gli uomini felici sono i più infelici", perché vivono pensando alle cose superficiali. L'epistola finisce dicendo che l'uomo è un animale razionale, quindi il suo bene è la ragione perfetta, rappresentando il trionfo dello stoicismo abbracciato da Seneca.

All'interno di queste epistole, l'autore inserisce anche delle massime di Epicuro, risultando quindi simpatizzante anche verso di questo filosofo.
La concezione della morte è lo stessa di Lucrezio: non risulta un male perché è stolto chi si ribella a un destino ineluttabile. La morte segna la liberazione dalle sofferenze. L'insegnamento è quello del "cotidie morimur" (ogni giorno moriamo), ogni giorno ci dobbiamo preparare a morire, capendo ciò di cui abbiamo bisogno, raggiungendo l'autosufficienza emotiva del saggio, così non ci ritroveremo inerti davanti alla morte.

Le dieci tragedie di Seneca

Sotto il nome di Seneca sono trasmesse dieci tragedie, le uniche della letteratura latina che ci siano giunte per intero. Nove di esse sono tragedie cothurnatae, cioè di argomento mitico, derivato dalla tradizione greca. Otto sono sicuramente autentiche: Hercules furens («Ercole folle»), Troades («Troiane»), Phoenissa («Fenicie»), Medea («Medea»), Phaedra («Fedra»), Oedipus («Edipo»), Agamemnon («Agamennone»), Thyestes («Tieste»). La nona, Hercules Oetaeus («Ercole sull'Eta»), che parla della morte dell'eroe suicida su una pira alzata sul monte Eta, è generalmente considerata spuria. La decima, la Octavia, («Ottavia») è invece l'unica tragedia praetexta (cioè di argomento romano) che ci sia rimasta ed è sicuramente non autentica. Ha come oggetto la morte infelice di Ottavia, figlia di Claudio e prima moglie di Nerone, e tra i personaggi vi è Seneca stesso.

Le caratteristiche del teatro senecano

Le tragedie mostrano un'altra faccia di Seneca: quella del poeta capace di comporre versi di grande intensità, anche se percorsi da una vena oratoria che li rende a volte grevi. Negli anni in cui Seneca compone le tragedie, la scrittura di drammi era un'attività in voga tra l'aristocrazia colta, sia come esercizio letterario, sia come forma occulta di opposizione al potere: nei versi tragici prestati a tiranni e ribelli del mito si potevano far circolare idee che sarebbe stato poco prudente esprimere in altro modo. Ed è proprio in quest'ottica che le tragedie senecane vanno lette: per il filosofo non sono un puro esercizio letterario, ma completano, su un piano diverso, il pensiero stoico.
Se infatti il messaggio fondamentale del filosofo era stato la ricerca della saggezza attraverso il controllo delle passioni, nelle tragedie si assiste alo scatenamento di quelle stesse passioni, e nella forma più cruenta. Come, e forse ancora più che nella tragedia greca, infatti, i testi di Seneca portano sula scena eventi luttuosi e crudeli e personaggi, più che eroici, criminali; le situazioni già presenti nei testi greci sono qui spinte fino al limite della ferocia e della follia. Uno dei temi tipici della tragedia senecana è infatti il furor, cioè un impasto di follia e violenza, qualcosa che si avvicina alla pazzia, tanto da oscurare la ragione dei personaggi. Questo sentimento spinge l'uomo a compiere azioni spaventevoli e disumane e lo precipita in un abisso di dolore e infelicità.
Gli eroi tragici di Seneca sono dunque l'opposto del sapiente stoico: personaggi dominati dai loro impulsi e senza alcun freno morale. Così accade che Medea uccida i suoi figli, Edipo accechi se stesso dopo aver scoperto di aver ucciso li padre; Atreo e Tieste, i due fratelli nemici, si odino sino all'estremo limite, al punto che uno uccide i figli dell'altro e li imbandisce a banchetto al padre.
Tutti questi miti si trovavano nella tragedia greca, e specialmente nell'autore che fu il principale modello di Seneca, cioè Euripide, ma Seneca ne amplifica i toni e rende situazioni e personaggi ancora più foschi. L'autore faceva peraltro uso, secondo la consuetudine latina, della contaminatio, cioè fondeva in un'unica opera elementi della trama di tragedie diverse (le Troades, per esempio, si ispirano sia alle Troiane, sia all'Ecuba di Euripide). Nella perdita totale del teatro tragico latino, inoltre, non possiamo sapere se egli si basasse solo su modelli euripidei o riscrivesse anche trame di autori latini a lui precedenti come Accio o Pacuvio. Nel teatro di Seneca ricorre un personaggio tipico: il tiranno. Già Platone aveva identificato nel tiranno la peggiore specie di uomo, un essere dominato dai suoi istinti e proteso a schiacciare chiunque osi opporsi alle sue brame di potere; anche in Seneca il tiranno è il concentrato di ogni infamia. Si è supposto che Seneca abbia composto le tragedie a uso del suo discepolo Nerone (da parte sua, poeta dilettante e lui stesso declamatore di tragedie e carmi epici), per ammonirlo a non seguire esempi così odiosi.

La tesi opposta è che queste tragedie fossero di opposizione: una critica al potere arbitrario degli imperatori (e come tragedie antitiranniche furono infatti lette dai posteri, per esempio da Vittorio Alfieri). Non sappiamo peraltro in che epoca queste tragedie furono composte; l'aspetto inquietante è che appunto il 'tiranno' tragico senecano sembra prefigurare l'uomo che Nerone in effetti divenne. Seneca forza le situazioni sino all'estremo limite; anche il linguaggio è cupo, violento, persino macabro, le scene sono tagliate in modo da favorire l'orrore e la paura. Un espediente molto usato è la comparsa di spettri e fantasmi (come quello di Tantalo nel Thyestes) o di orribili scene di magia (nell'Oedipus la terra si spacca durante un rito negromantico e viene descritta l'ombra corrucciata di Laio, il padre di Edipo, in mezzo ai mostri dell'oltretomba). Se c'è un progetto in queste opere che vada oltre l'efficacia teatrale, esso sta appunto nel dimostrare a quali aberrazioni porta il lasciare libero sfogo alle parti irrazionali dell'anima. Così questi drammi sarebbero l'esemplificazione in termini poetici dei vizi che Seneca combatteva nei suoi trattati.
Un problema molto discusso è la destinazione di queste tragedie: erano destinate alla rappresentazione oppure alla semplice lettura o quanto meno alla declamazione in ambienti ristretti? La tendenza prevalente della critica è di ritenerle non destinate al teatro; del resto, riesce difficile immaginare un Seneca che presenta i suoi testi davanti al vasto pubblico dei ludi teatrali, né abbiamo alcuna notizia di una rappresentazione di queste opere. Si tratta poi di testi poco teatrali, nel senso tecnico del termine; questo non significa che non possano essere portati sulla scena (lo furono molte volte, in passato, e anche oggi talvolta vengono riproposti). Però, dal punto di vista drammaturgico si rivelano opere poco dinamiche, fatte per lo più di lunghe tirate declamatorie dei personaggi, efficaci certo dal punto di vista retorico, ma non da quello teatrale.

Noi sappiamo ben poco della tragedia latina; certo la solennità e l'uso di tinte forti dovevano essere nella prassi, ma, come drammi in sé, cioè come opere costruite su un argomento in grado di emozionare gli spettatori, con colpi di scena spettacolari e con la dinamica dei personaggi recitanti; le opere di Seneca sembrerebbero piuttosto drammi mancati. Sono sostanzialmente tragedie della parola: i personaggi pronunciano lunghi monologhi, densi di immagini e metafore, spesso pieni di divagazioni o descrizioni che, interrompendo l'azione drammatica, creano dei momenti di grande maestria letteraria (come la lunga descrizione dello zodiaco con cui inizia il Thyestes). Diversa è la prospettiva se le si vede dal punto di vista del linguaggio letterario, in cui la maestria e la forza dello stile senecano, la sua capacità di delineare luci e ombre e trasmettere pathos, rendono questi testi affascinanti; si può pensare del resto che fossero rappresentati in forma non teatrale, ma recitativa. Questa era una forma di performance in voga in età imperiale. Tacito, per esempio, racconta che Nerone amava esibirsi in canti e declamazioni tragiche ed epiche. Certo, però, la grande poesia di Seneca tragico non ha nulla a che fare con le velleità poetiche del suo discepolo.

La forza delle tragedie di Seneca non sta però solo nell'elevatezza dello stile; è notevole anche la sua capacità di delineare la psicologia dei personaggi, specialmente quelli estremi e crudeli. In questi casi lo studio dell'anima umana (a cui tanto Seneca si dedicò nelle opere filosofiche) si manifesta in tutta la sua efficacia. In questo senso, alcuni dei personaggi di Seneca giganteggiano, offrendo modelli importanti per il teatro a venire: un esempio è la Fedra innamorata del figliastro Ippolito e trascinata poi al suicidio dalla sua passione incontenibile e rovinosa, un personaggio che fece da modello a molti autori successivi.

Apokolokỳntosis

Si conclude la rassegna delle opere di Seneca con un testo che in realtà appartiene alla prima fase della sua produzione: l'Apokolokỳntosis (che si può tradurre, letteralmente, «La deificazione di una zucca»; il titolo è riconducibile ai termini greci apothéosis, «apoteosi, divinizzazione», e kolokynta, «zucca», nel senso spregiativo, riferito a un uomo, di 'zuccone', 'testa dura'). Si tratta di un testo che appartiene al genere della satira menippea, un misto di prosa e di versi di spirito satirico. Fu scritta nel 54 d.C., subito dopo la morte di Claudio, ed è una feroce presa in giro del defunto imperatore e della sua pretesa divinizzazione. Era prassi, infatti, che, dopo la morte, gli imperatori fossero divinizzati e ricevessero onori di culto e spesso un tempio a loro dedicato. Ma Claudio nell'opera di Seneca riceve tutt'altro trattamento. L'imperatore (com'era noto) fu avvelenato dalla sposa Agrippina; il filosofo dunque poteva deriderlo senza problemi, e anzi la sua opera di demolizione avrebbe trovato favore presso i nuovi regnanti.

Nel breve testo di Seneca, Claudio, appena morto, si avvia verso il cielo convinto di essere ammesso tra gli dèi. Siccome però è zoppo, balbuziente e pieno di tic, gli dèi si stupiscono che un simile individuo bussi alla loro reggia e mandano Ercole, armato di clava, ad accoglierlo. Segue un dibattito in cui prende la parola il divo Augusto, che accusa Claudio di avere sterminato tutta la sua famiglia; così gli dèi decidono di non ammettere Claudio tra loro e lo condannano a essere confinato nell'Ade. Mentre la sua anima passa per Roma, Claudio assiste ai suoi funerali e vede tutto il popolo in festa per la sua morte. Un nuovo processo si tiene tra le ombre dei morti: condannato anche lì per i suoi crimini, la sua pena (sul modello di quelle di Sisifo e Tantalo) consisterà nella fatica vana di giocare a dadi per l'eternità con un bossolo forato, in modo che il colpo non possa mai essere tirato. Compare però Caligola, che lo reclama come suo schiavo, adducendo il fatto che in vita l'aveva frustato e preso a ceffoni infinite volte, e quindi Claudio viene affidato al suo crudele predecessore, il quale per dileggio lo affida come servo all'ombra del liberto Menandro. Così Claudio, che da vivo aveva affidato l'amministrazione dell'impero ai suoi liberti, da morto diventa lo schiavo di uno di loro. L'Apokolokỳntosis è dunque un libello diffamatorio; la sua particolarità sta nel fatto che, mentre in genere questi libelli circolavano in segreto come satira del potere, quello di Seneca fu scritto con il favore della corte, alla quale ormai egli apparteneva, contro un nemico uscito di scena. Forse fu una vendetta privata del filosofo per l'astio che Claudio nutriva nei suoi confronti, ma è difficile non pensare che Seneca avesse concordato il testo con l'ambiente di Agrippina e Nerone, i veri assassini di Claudio; l'opera, per certi versi, può quindi apparire una giustificazione indiretta dei colpevoli, che si erano sì macchiati di un atroce delitto, ma ai danni di un simile mostro. È un'opera acre, piena di livore, ma la vena comica è continua: le trovate divertenti e strane si susseguono una dopo l'altra, tutte indirizzate a deridere sotto ogni aspetto Claudio. La lingua si distingue, oltre che per la mescolanza di prosa e versi, tipica della satira menippea, per un suggestivo pastiche di termini colloquiali appartenenti alla lingua d'uso e di espressioni e passi solenni, che costituiscono una evidente parodia del linguaggio epico. Forse questo scritto non fa particolarmente onore a Seneca, perché la vendetta non è un atteggiamento molto filosofico, certo, ma la via verso la saggezza Seneca doveva ancora percorrerla sino in fondo.

Domande da interrogazione

  1. Qual è l'importanza delle "Epistulae Morales ad Lucilium" di Seneca?
  2. Le "Epistulae Morales ad Lucilium" sono considerate l'opera più importante di Seneca, rappresentando il suo testamento spirituale. Sono una raccolta di lettere di argomento etico dedicate a Lucilio Iuniore, in cui Seneca si pone come maestro, esortando al perfezionamento morale e allo studio della filosofia.

  3. Quali sono le caratteristiche principali del teatro senecano?
  4. Il teatro senecano è caratterizzato da tragedie che mostrano passioni scatenate e personaggi dominati dai loro impulsi. Le tragedie sono più incentrate sulla parola e sulla retorica che sull'azione drammatica, e spesso includono temi di follia e violenza, con un linguaggio cupo e scene orrorifiche.

  5. Come viene rappresentata la figura del tiranno nelle tragedie di Seneca?
  6. Nelle tragedie di Seneca, il tiranno è rappresentato come un essere dominato dai suoi istinti e bramoso di potere, un concentrato di infamia. Questa figura è utilizzata per ammonire contro il potere arbitrario e per criticare i vizi che Seneca combatteva nei suoi trattati filosofici.

  7. Qual è il significato dell'opera "Apokolokỳntosis" di Seneca?
  8. L'"Apokolokỳntosis" è una satira menippea che deride la pretesa divinizzazione dell'imperatore Claudio dopo la sua morte. L'opera è una feroce presa in giro di Claudio, rappresentandolo come inadatto a essere divinizzato e condannato a una punizione eterna nell'Ade.

  9. Quali sono i temi principali trattati nei dialoghi speculativi di Seneca?
  10. Nei dialoghi speculativi, Seneca affronta temi come l'ira, la brevità della vita e la vita beata. Egli discute l'ira come un sentimento negativo, la vita come lunga se ben utilizzata, e la felicità come coincidente con la ragione, criticando la dottrina epicurea che associa la felicità al piacere.

Domande e risposte