Mondo greco e romano
Il mondo della Grecia classica non era unitario, ma si configurava come un mosaico di póleis, ognuna caratterizzata da proprie usanze, orgogliose della propria autonomia e spesso in lotta tra di loro. Sebbene ogni pólis si sentisse distinta dalle altre, tutte sentivano di essere accomunate dalla “grecità”, da un’affinità linguistica, religiosa, etnica che veniva celebrata nelle feste panelleniche (come le
Olimpiadi) e che faceva coalizzare le varie realtà politiche quando, come nel caso delle Guerre persiane, si materializzava un nemico comune. I non-Greci erano denominati con l’appellativo generico di bárbaroi, termine onomatopeico che indicava chi, dal punto di vista dei Greci, parlava un linguaggio incomprensibile, assimilabile a un balbettio. Nella civiltà ellenica era centrale, anche tra appartenenti a popoli differenti, il valore dell’ospitalità, che creava un legame di reciprocità tale da coinvolgere l’intera famiglia e superare le generazioni.
Civiltà romana
Il mondo dei Romani ebbe caratteristiche completamente diverse da quello dei Greci, che anche dopo la conquista romana mantennero la loro lingua e le loro usanze. Data la sua propensione fortemente espansionistica, Roma non poté fare a meno di entrare in contatto e in conflitto con le altre popolazioni. Fin dalle origini, dunque, la civiltà romana fu aperta alla mescolanza con etnie diverse. La stessa lingua latina delle origini era caratterizzata da notevoli varianti locali, al punto che in certi casi è impossibile stabilire se debbano essere considerate tali oppure lingue a sé stanti. La rapida unificazione linguistica e, soprattutto, l’estinzione pacifica della lingua etrusca, completamente diversa dal
latino, dimostrano che l’integrazione funzionò bene, anche se al prezzo della scomparsa, per assimilazione, di intere civiltà (come quella sabina o quella osco-sannita).
Sguardo romano sulla Grecia
L’“altro” per eccellenza era, per i Romani, il mondo ellenico, enormemente più avanzato dal punto di vista culturale. A partire dalla fine della
Prima guerra punica, essi aprirono così la loro lingua e la loro cultura alla Grecia, importandone la mitologia e tutti i generi (tranne la satira, che è genere autoctono latino) e i modelli letterari. A ragione dunque
Orazio, nell’Ars poetica, scrisse:
Graecia capta ferum victorem cepit
“La Grecia, pur conquistata militarmente, conquistò a sua volta culturalmente il rozzo vincitore” (Epistulae, II, 1, v. 156) I Romani si sentivano però superiori nell’ambito morale, nella legge del mos maiorum, cioè delle tradizioni austere, contadine e militari, che potevano essere contaminate dalla licenziosità dei Greci, chiamati con il diminutivo dispregiativo Graeculi (“Grechetti”) da
Cicerone e da altri autori. Si spiegano così le frequenti descrizioni piuttosto irridenti dei Greci che si incontrano nelle commedie di
Plauto.
Catone è portavoce di una società chiusa, favorevole all’agricoltura e ostile al commercio. Il pericolo dell’assimilazione con lo straniero è per lui superiore ai vantaggi che se ne potrebbero ottenere. E, in effetti, l’incontro con l’altro, nella fase di crescita del dominio romano, tende perlopiù a realizzarsi come scontro, attraverso la guerra di espansione.