Asclepiade
Asclepiade nacque a Samo intorno al 320 a.C. poi si trasferì ad Alessandria. Scrisse componimenti lirici e giambi, ma sono stati tramandati solo 45 epigrammi di cui solo 30 di sicura attribuzione.
Mondo concettuale
La maggior parte dei suoi epigrammi sono dedicati all’amore visto nelle sue diverse sfaccettature: passione, entusiasmo, gelosia, noia. Il tema erotico era una fonte di ispirazione della lirica arcaica ma dai poeti ellenistici è vissuto in modo meno drammatico, come potente e fugace abbandono dell’individuo alla gioia e la tormento dei sensi. L’esperienza erotica si risolve nello spazio momentaneo dell’hic et nunc, dove l’unica possibilità è godere l’attimo. Protagoniste degli epigrammi sono le etere, tuttavia in questo mondo di etere ed efebi si intravede l’ombra della malinconia. Il poeta affronta anche tematiche letterarie e compone epigrammi funerari, che hanno però una sola destinazione letteraria.
Lingua e stile
I modelli di Asclepiade sono i lirici arcaici (Saffo, Alceo, Anacreonte) di cui il poeta riprende i temi e alcuni stilemi, in un elegante esercizio di arte allusiva. Il suo stile è semplice e ricercato: l’arte consiste nella chiarezza. Ad uno stile così’ corrisponde una struttura perfetta ed armoniosa.
Testi:
AP V 153: epigramma che ribalta il motivo del παρακλαυσίθυρον: invece dell’uomo c’è la giovane Nicarete a lamentarsi davanti alla porta del suo amato.
AP V 210: epigramma, propone un ideale di bellezza diverso dal tradizionale: il poeta si scioglie per Didima, etera di colore scuro ma ricorda che anche i carboni sono neri, ma accesi splendono come bocci di rose.
AP V 189: epigramma in distici elegiaci. una notte tempestosa fa da sfondo al dolore di un innamorato davanti alla porta dell’amata. È un παρακλαυσίθυρον topici sono l’uomo che aspetta sotto il temporale, la connotazione della donna con δολίης e la sofferenza d’amore paragonata ad un dardo. il v. 1 è ripreso da Saffo, ma nonostante le reminiscenze letterarie Asclepiade ha rinnovato il materiale della tradizione soprattutto nella rappresentazione del paesaggio che è il riflesso dello stato d’animo dell’uomo.
AP XII 50: epigramma in distici elegiaci. Il poeta cerca rimedio alla sua delusione amorosa rifugiandosi nel vino e poi rammentando a se stesso di non essere l’unica vittima di Afrodite ed Eros. Dopo un’altra esortazione a bere, il poeta conclude che l’unica consolazione sarà nella morte. Il testo di può dividere in due parti, scandite da “ma via beviamo” (πίνω): nella prima il poeta riflette sulla sofferenza amorosa, ripiegandosi su se stesso (seconda persona singolare imperativo). Nella seconda l’attenzione di Asclepiade si concentra sulla fugacità dell’esistenza. Comune alle due parti è l’atmosfera malinconica; prende spunto da Alceo il quale esorta i compagni a bere perché il giorno è lungo quanto un dito. Ma Asclepiade procede oltre, creando varie contrapposizioni che si spengono nell’ultima, unica certezza che è la morte. Il colloquio del poeta con se stesso reca l’impronta di dolore, si tratta di una malinconia non fittizia ma reale; la tristezza domina l’epigramma perché lui crede nell’amore e perdendolo, perde la sua ragione di esistere.
AP XII 135: epigramma in distici elegiaci. Il vino non ammette menzogna, Nicagora che fingeva di non essere innamorato scoppia a piangere. Il vino è rivelatore dell’animo umano, già Alceo lo aveva cantato. Asclepiade rivisita un motivo tradizionale mettendo però al centro l’uomo afflitto dall’amore. Sul piano del significante il poeta sottolinea le diverse fasi attraverso il polisindeto, che induce il lettore a soffermarsi su ogni sintomo. Il cadere della ghirlanda corrisponde alle lacrime del giovane.
AP XII 46: epigramma in distici elegiaci. Il componimento è costituito da due allucinazioni rivolte agli Amori, nella quali il poeta chiede spiegazioni per il suo tormento. Da Anacreonte ha preso il riferimento agli astragali come simbolo del tormento che Eros infligge alle sue vittime, ma Asclepiade conferisce un tono malinconico. È una visione negativa dell’esistenza, la punta finale acuisce una certezza di solitudine.