Saffo - Ode: parafrasi
1-18 O notte tranquilla e raggio discreto (verecondo) della luna calante (cadente); e tu, che sorgi nel bosco silenzioso sopra la rupe annunciando il giorno; o immagini (sembianze) gradite (dilettose) e care ai miei occhi, fino a quando (mentre) non conobbi le furie dell'amore (l'erinni) e il mio crudele destino (il fato); ormai (già) il dolce (molle) spettacolo [della natura] non allevia i miei sentimenti di disperazione (disperati affetti). Una felicità inconsueta (insueto... gaudio) ci fa rivivere (ravviva), quando l'onda dei venti che solleva la polvere (il flutto polveroso de' Noti) turbina (si volve) nel cielo limpido (per l'etra liquido) e nei campi sconvolti dalla tempesta (trepidanti), e quando il tuono, prodotto dal pesante carro di Giove, rumoreggiando sopra di noi, squarcia l'aria tenebrosa del cielo. A noi piace (giova) immergerci (natar) nelle nebbie (tra' nembi) sulle colline (balze) e nelle valli scoscese (profonde), a me piace [vedere] la disordinata (vasta) fuga delle greggi impaurite o [sentire] il fragore (suono) e la violenza inarrestabile (vittrice ira) della piena (onda) di un fiume gonfio di pioggia (alto) [fermandomi] presso la sponda malsicura (dubbia).19-36 Il tuo manto è bello, o cielo divino, e tu sei bella, o terra rugiadosa (rorida). Ahimè gli dèi e la sorte crudele non fecero partecipare in alcun modo la povera Saffo a questa infinita bellezza. lo assegnata (addetta) ai tuoi regni superbi [per bellezza] come una vile e fastidiosa (grave) ospite e come un'amante disprezzata, o natura, rivolgo (intendo) invano, in atteggiamento di supplica (supplichevole), il mio cuore e i miei occhi (le pupille) alle tue belle (vezzose) forme. Non mi sorridono i luoghi soleggiati (aprico margo) né la luce dell'alba (mattutino albor) [che si manifesta] dalla porta orientale del cielo (dall'eterea porta); né il canto degli uccelli variopinti né il mormorio (murmure) dei faggi mi salutano; e dove, all'ombra dei salici dai rami piegati (inchinati), un limpido fiume (candido rivo) fa scorrere le sue acque chiare (dispiega il puro seno), esso sottrae, mostrando sdegno, le sue acque serpeggianti (flessuose linfe) al mio piede malfermo (lubrico) e fuggendo [da me] tocca le rive profumate (odorate spiagge).
37-54 Quale colpa, quale misfatto gravissimo (nefando eccesso) mi macchiò prima della nascita (anzi il natale), per cui il cielo e il volto della sorte (fortuna) mi furono tanto ostili? In che cosa peccai da bambina, quando non si è in grado di compiere il male (ignara di misfatto è la vita), per cui in seguito (onde poi) il filo scuro della mia vita (il ferrigno mio stame) si dovesse avvolgere (si volvesse), privo (scemo) di giovinezza e appassito (disfiorato), attorno al fuso dell'implacabile (indomita) Parca? La tua bocca (labbro) fa domande poco assennate (Incaute voci): una volontà misteriosa (arcano consiglio) determina (move) il corso fatale degli accadimenti (i destinati eventi). Tutto è misterioso (Arcano), tranne il nostro dolore. Prole trascurata (Negletta), siamo nati per soffrire (nascemmo al pianto), e la ragione di ciò è posta nella mente degli dèi (in grembo de' celesti). Oh desideri (cure), oh speranza della gioventù (de' più verd'anni)! Giove (il Padre) ha dato dominio duraturo (eterno regno) sugli uomini (nelle genti) alle forme, alle belle forme fisiche (amene sembianze); e sia in campo militare (per virili imprese) sia in quello artistico (per dotta lira o canto) il valore personale (virtù) non risplende in un corpo sgraziato (disadorno ammanto).
55-72 Moriremo. Una volta che avrà gettato a terra (a terra sparto) il mio corpo (Il velo) indegno, la mia anima nuda (ignudo) fuggirà presso Dite, e correggerà la crudele ingiustizia (il crudo fallo) del destino (del cieco dispensator de' casi). E tu, Faone, a cui invano (indarno) un lungo amore e una lunga fedeltà e una inutile passione (vano... furor) di desiderio inappagato (d'implacato desio) mi tenne legata, vivi felice, se mai un essere umano (nato mortal) è vissuto felice sulla Terra. Giove non mi ha cosparsa (me non asperse) del prezioso liquido conservato nel vaso (doglio) avaro di felicità [per gli uomini], dopo che le illusioni e il sogno di felicità della mia fanciullezza vennero meno (perir).
Ogni giorno più felice della nostra vita fugge (s'invola) per primo. Subentrano (Sottentra) la malattia, la vecchiaia e l'ombra della gelida morte. Ecco, di tanti onori sperati (sperate palme) e sogni carezzevoli (dilettosi errori) [della giovinezza, ora troncati dalla realtà] mi rimane solo il Tartaro; e Proserpina (la tenaria Diva) e la buia (atra) notte e la riva silenziosa già possiedono il mio nobile (prode) ingegno.