Sia nella Teogonia che nelle Opere e i Giorni ritroviamo i miti di Prometeo e Pandora. Nella Teogonia, la storia di Prometeo (535-569) e Pandora (570-616), viene narrata nei suoi tratti essenziali: Prometeo inganna Zeus in occasione di un banchetto presso Micone (antico nome di Sicione), poiché divide superbamente le porzioni, donando agli uomini le carni e agli dei le ossa. Tra i due sorge una contesa sulla spartizione, le cui conseguenze sono drammatiche. Prometeo crede di far bene, ma in realtà la sua azione provoca due irrimediabili danni: da una parte, egli instaura una cesura tra i mortali e le divinità, dando la parte incorruttibile dell’animale agli dei immortali e destinando invece gli uomini a mangiar carne, a nutrirsi cioè di cibo corruttibile che conduce alla consunzione di sé e alla morte; dall’altra, egli causa la punizione di Zeus, che, da quel momento, nega agli uomini il fuoco: questo fuoco, che è luce, ma anche possibilità di cuocere i cibi, sacrificare agli dei e cremare i morti, è un fuoco “culturale”, senza il quale gli esseri umani regrediscono ad uno stato ferino. Prometeo, allora, ruba il fuoco per darlo agli uomini, provocando l’ultima e più terribile vendetta del Cronide, che “allora in cambio del fuoco ordì un male per gli uomini” (αὐτίκα δ' ἀντὶ πυρὸς τεῦξεν κακὸν ἀνθρώποισι, v.570): la prima donna. Questa donna qui non ha nome e non apre nessun vaso: viene solo descritta con le consuete tirate misogine: E poi, dopo che egli fece il bel male in cambio del bene, αὐτὰρ ἐπεὶ δὴ τεῦξε καλὸν κακὸν ἀντ' ἀγαθοῖο la condusse dov’erano gli altri, dei e mortali, superba dell’ornamento della Glaucopide, la figlia del padre tremendo, e lo stupore teneva gli dei immortali e gli uomini mortali come videro l’alto inganno, senza scampo per gli uomini, ὡς εἶδον δόλον αἰπφν, ἀμήχανον ἀνθρώποισιν. Da lei infatti viene la stirpe delle donne. Di lei infatti è la stirpe nefasta e la razza delle donne, ηῆο γὰξ ὀινίηόλ ἐζηη γέλνο θαὶ θῦια γπλαηθῶλ che, sciagura grande per i mortali, fra gli uomini hanno dimora, compagne non di rovinosa indigenza ma d’abbondanza. La donna sta all’uomo come il fuco all’ape: non fa che sfruttarlo e consumarlo, eppure, afferma il poeta, è necessaria: senza donne l’uomo non può avere una stirpe ed è inutile ogni sua fatica, poiché a nessuno può lasciare i suoi beni.
Del resto, esiste anche “la buona sposa, saggia nel cuore”: per l’uomo che la prende in matrimonio “per tutta la vita, il male contende col bene, senza sosta”. Questi due miti vengono di nuovo ripresi nelle Opere, in particolare quello di Pandora ed è di estremo interesse che Esiodo cominci questa sezione ricordando al fratello che gli dei hanno nascosto la vita agli uomini: Κρφψαντες γὰρ ἔχουσι θεοὶ βίον ἀνθρώποισιν (v. 42). Dopo aver brevemente ricordato gli inganni di Prometeo (vv. 48-53), Esiodo passa al racconto di Pandora: dalla terribile promessa di Zeus (“in cambio del fuoco darò loro un malanno di cui tutti si rallegreranno, facendo festa al malanno stesso”, ηνῖο δ' ἐγὼ ἀληὶ ππξὸο δώζσ θαθόλ, ᾧ θελ ἅπαληεο ηέξπσληαη θαηὰ ζπκὸλ ἑὸλ θαθὸλ ἀκθαγαπῶληεο, vv. 47-48), fino al già noto racconto della fabbricazione della donna.
Non dissimile da quella che opporrà Esiodo al fratello Perse si va oltre: Pandora riceve il vaso dei mali e viene inviata a Epimeteo. Questi l’accoglie e l’umanità conosce l’affanno, la fatica, la morte; Pandora apre il vaso: i mali dilagano. Zeus, per vendicare il furto del fuoco, ha nascosto all’uomo la sua vita, cioè il cibo, e gli uomini sono condannati alla fatica; sono costretti ad accettarlo e non devono risparmiare sforzo né travaglio: gli uomini devono nutrirsi, ora, ma moriranno. Attraverso le due punizioni successivamente inflitte da Zeus, gli uomini sono condannati prima a cibarsi, se vogliono sopravvivere, poi a riprodursi, se vogliono ingannare la morte. La vita dell’uomo è nella terra e nella donna e l’uomo dovrà fecondare l’una e l’altra, se vorrà sfuggire alla fame e all’oblio. La donna dà avvio all’umanità come noi la intendiamo: con la creazione di Pandora, nel mito esiodeo, gli esseri umani passano dalla condizione di ánthropoi a quella di ándres, dalla nascita da Gē alla riproduzione sessuata, perdendo in un solo momento la beatitudine della comunione col divino (da cui, d'ora in poi, saranno, come sancito dal sacrificio cruento esemplato nel mito di Prometeo, per sempre divisi) e la condizione privilegiata nei confronti della terra che, prima benevola e generosa nonché spontanea donatrice d’ogni sostentamento, ora dovrà viceversa essere lavorata con sudore e fatica. Al povero uomo (maschio) non resterà che accogliere il suo destino, un destino foriero di dolori inscindibilmente mescolati alle gioie, un destino ambiguo che ha il volto della donna. Per questo essere artificioso dai modi graziosi e dal ventre insaziabile, il “bel male rovescio del fuoco”, egli dovrà ammazzarsi di fatica e temere per le sue sostanze e, tuttavia, sarà lei l’unica in grado di donargli un erede legittimo, che possa ricevere i beni del padre e perpetrarne l’esistenza nella consolatoria forma d’immortalità terrena rappresentata dalla generazione dei figli.
È per colpa di Pandora e del suo vaso se agli uomini vengono fatiche, miserie, malattie e angosce, ma è solo grazie a lei, cagna e ladra eppur meravigliosa, che l’uomo potrà continuare ad esistere: per la razza (γέλνο) di ferro (cfr. mito delle razze o stirpi: γέλε), la terra e la donna sono nello stesso tempo principi di fecondità e potenze di distruzione; esse esauriscono l’energia del maschio, dilapidando i suoi sforzi. Non c'è bene che non sia compensato da un male uguale e contrario: l'abbondanza dalla fatica, l'uomo dalla donna, la nascita dalla morte. Nella nostra vita, ogni aspetto prometeico, che c'innalza al di sopra delle bestie, è accompagnato da un aspetto opposto "epimeteico", che segna la rottura con l'antica beatitudine della vicinanza con gli dèi, e la caduta in una condizione di esistenza inferiore, destinata alla sventura e alla discordia.
Nei versi 90-105 delle Opere e giorni, allora, Esiodo descrive la conclusione della parabola della vicenda umana proprio attraverso il mito del "vaso di Pandora", questa giara (πίζνο pithos), che dovrebbe contenere il grano (βίνο bios), e contiene invece i "mali" che affliggono l'uomo e che sono fino a quel momento separati da lui. Da quel momento i "mali" si presentano come "beni" e quando l'uomo li riconosce come "mali" questi ormai lo hanno raggiunto.
Per poter raccogliere il bios, il nutrimento, e riempire la giara di "beni" l'uomo deve affrontare la fatica e le sofferenze ormai diffuse ovunque. Solo il lavoro, la costanza e la diligenza possono riempire di beni la giara della vita e nutrirla di buone speranze, regalando così all'esistenza umana momenti di serenità in mezzo ai mali diffusi da Pandora, in ottemperanza alla punizione di Zeus. L'uomo, quindi, plasmato d'argilla, si distingue dalle bestie e dagli dèi andando a occupare una posizione tra questi intermedia, resa tale dalla parentela con gli dèi grazie alla pratica cultuale. Il sacrificio, l’agricoltura e il matrimonio riscattano gli uomini dalla bestialità e dall’oblio, collegandoli alla vita religiosa, che se da una parte li collega al mondo divino, a cui una volta erano uniti, dall’altra non fa che rammentarne l'incolmabile distanza.