Ingegneria (non) è per donne. La storia di Elisabetta Oliveri: dall’aspettativa (disattesa) della mamma alla presidenza di Autostrade per l’Italia
Non esistono tetti di cristallo, se si riesce ad uscire dal labirinto di cristallo. Elisabetta Oliveri, Presidente di Autostrade per l’Italia e SAGAT (società che gestisce l’aeroporto di Torino),...
Non è difficile prestare attenzione quando parla Elisabetta Oliveri, ligure nata a Varazze, madre di una figlia adolescente, ingegnere e manager con lunghe esperienze di vertice in società tecnologiche italiane ed internazionali, oggi Presidente e Consigliere indipendente nei Consigli di Amministrazione di alcune delle più importanti aziende del Paese. Le sue parole sono chiare, nette, precise. Trasmettono in modo diretto ed accurato il proprio pensiero. Sono scelte con cura, come chi ha l’attitudine a prepararsi sempre in tutto quello che fa.
Foto di PhotoRoom
“Sì, in effetti credo che la preparazione sia un aspetto fondamentale, nel lavoro come nella vita. Ho sempre cercato di non farmi trovare impreparata e di decidere con la forza degli argomenti e del mio pensiero, autonomo ed indipendente”
Questo a partire dal suo percorso di studi? Lo ha scelto da sola?
Beh quello a dire il vero non proprio! O meglio, non dal principio... Sono cresciuta nella Liguria di provincia degli anni ’70. Varazze è una bellissima città, ma molto piccola, allora senz’altro allineata agli stereotipi dell’epoca. Io avrei voluto studiare all’Istituto Tecnico, sentivo già la mia passione per le materie tecnologiche. Ricordo che andai ad informarmi in segreteria e tornai a casa con il modulo di iscrizione da far firmare ai miei genitori. Ma mia madre ci mise un secondo, lo strappò e con decisione mi disse: “tu farai il Liceo Classico, come tua sorella”. Sognava per me un futuro da bancaria o farmacista. Credo che volesse “difendermi” dalle insidie di un mondo “maschile” come quello degli ingegneri e al contempo volesse orientarmi verso professioni di più facile conciliazione con gli impegni familiari.
E quindi come è riuscita ad andare avanti per la sua strada di ingegnere?
Ho assecondato mia madre nella scelta del Classico, anche perché sapevo che non mi avrebbe precluso la strada per iscrivermi ad ingegneria, anzi. Quando in seguito ho dovuto scegliere l’Università ho fatto di testa mia, e con il supporto di mio padre, ho tirato dritto per la mia strada. Mia madre per un po' ha coltivato la speranza che cambiassi idea in corsa, ma dopo i primi esami superati brillantemente (quelli più difficili, come analisi 1 e 2), anche lei ha capito che quella era la mia strada e mi ha assecondato.
Una specie di vocazione la sua passione per la tecnologia. Come è nata?
Credo di aver sperimentato una formula ante litteram di quelli che oggi chiamiamo “role model”. Il primo fu alle scuole medie, un professore che credeva nella tecnologia e, da pioniere, sperimentava in aula le prime applicazioni informative. Uno di quei docenti che, trasmettendo una passione, ti cambiano la vita. Eravamo a cavallo tra gli anni ’70 ed ’80 ed iniziava ad affermarsi velocemente l’informatica. Un po’ come sta avvenendo oggi per l’Intelligenza Artificiale si intuiva che quel settore avrebbe contribuito a rivoluzionare il mondo. Così sul finire del Liceo Classico ripresi questo mio interesse per le tecnologie e iniziai a leggere, ad approfondire, a documentarmi, fino a quando non mi sono imbattuta in un articolo su Marisa Belisario (ndr importante dirigente in Olivetti ed Amministratore Delegato di Italtel negli anni ’80). Da quel giorno non ho più avuto dubbi su quale sarebbe stata la mia strada.
In effetti si può dire che ne ha seguito le orme.
Ci ho provato, ed il contesto mi ha aiutata. Partire dalle Liguria per intraprendere una carriera manageriale di successo non era facile. Ho avuto la fortuna, dopo un paio di brevi esperienze, di entrare in una grande azienda quale la Marconi, all’epoca un colosso delle telecomunicazioni. Un’azienda nella quale la tecnologia era la base, importantissima e imprescindibile. Al tempo stesso permeata di valori quali meritocrazia ed uguaglianza, in quegli anni davvero rari. In Marconi non c’era alcuna differenza tra uomo e donna, giovani e “anziani”, contava soltanto saper far bene il proprio lavoro e portare i risultati. Ricordo ancora il colloquio di assunzione: zero domande, ma soltanto un foglio bianco ed un progetto da elaborare in due ore. Se ci riuscivi entravi, altrimenti no. Nessuno stereotipo poteva influenzare la valutazione, contava soltanto essere preparati.
Una vera scuola di management.
Un’azienda seria, strutturata, internazionale. Che aveva cura dei suoi dipendenti e della loro formazione. Ho potuto studiare nella business school aziendale, fare esperienze all’estero, cambiare ruolo di frequente alternando ruoli tecnici e ruoli gestionali. Grazie ai miei risultati sono stata selezionata per entrare nell’ufficio strategie ed ho vissuto in Inghilterra confrontandomi con persone preparatissime e con le problematiche più complesse nella gestione di un’azienda.
Avere la possibilità di vivere un’esperienza del genere è stata la svolta del mio percorso professionale e consiglio a tutti gli studenti, una volta che inizieranno a lavorare, di non accontentarsi, ma cercare ambienti di lavoro che investano sulla formazione e offrano la possibilità di mettersi alla prova, anche andando alla scoperta di altri Paesi.
L’esperienza in Marconi l’ha aiutata a “fare carriera”.
Marconi ha avuto una fine traumatica ed improvvisa, a causa di scelte finanziarie che hanno portato al suo fallimento, nonostante un business solido ed una rilevante reputazione.
Dopo 11 anni mi sono trovata a dover ripartire, ma avevo a quel punto un’esperienza ed un Curriculum importanti con il quale ambire a posizioni di rilievo. Sono entrata in SIRTI (importante azienda italiana di impiantistica e tlc) come capo delle strategie, a 39 anni sono stata nominata Direttore Generale e dopo 5 anni Amministratore Delegato, incarico che ho ricoperto per 6 anni. Un’azienda grande (5.000 dipendenti), complessa, ramificata, molto operativa, con solo il 4% di donne in organico. Senz’altro l’esperienza in Marconi mi ha preparato a gestire al meglio queste sfide.
Vivere all’estero e fare un lavoro impegnativo non le ha impedito di diventare madre. Come ha conciliato tutto questo?
Credo che un punto di partenza fondamentale sia chiarire alle persone che ti stanno vicino che famiglia e lavoro sono aspetti che nella tua vita vuoi che abbiamo entrambi un ruolo importante.
Penso anche per le donne la sfida non sia tanto infrangere il tetto di cristallo, ma uscire dal labirinto in cui rischiamo di rimanere intrappolate: quell’insieme di impegni, aspettative, stereotipi che, soprattutto quando siamo più giovani, ci toglie la possibilità di competere in un mondo dove i maschi sono più liberi da vincoli e obblighi familiari.
Anche per me non è stato facile uscire da questo labirinto, anche perché purtroppo sono rimasta sola quando mia figlia aveva due anni. Mi sono organizzata, ho accettato dei compromessi senza cercare di rincorrere tutto (pazienza se ogni tanto si salta un ricevimento con il professore) e mi sono fatta aiutare da una bravissima baby-sitter che si chiama Elvira, che ancora ringrazio, senza sentirmi in colpa per non essere una mamma onnipresente.
Esiste un problema di gender gap nel mondo del lavoro?
Credo che sia innegabile, ma allo stesso tempo è importante non banalizzare o semplificare. Esprimersi su questo tema è molto delicato perché corriamo il rischio, nel voler superare uno stereotipo, di crearne altri. Mi è capitato di accompagnare alla pensione dirigenti (uomini) che, nei loro saluti l’ultimo giorno di lavoro, mi raccontavano di avere come rimpianto quello di aver vissuto una sorta di blackout: momenti preziosi dell’infanzia e dell’adolescenza dei propri figli persi, nessuna recita di Natale a scuola, o festina di compleanno con gli amichetti. Il lavoro si era come “mangiato” quel tempo. Credo che anche in quel caso non si fosse trattato di scelte consapevoli, ma di prigioni create da uno stereotipo.
Ci sono consigli che darebbe a chi sta terminando gli studi e si affaccia al mondo del lavoro?
Vivete la vita e le scelte lavorative con entusiasmo. Preparatevi per ottenere ciò che pensate di meritare e non accettate compromessi. Andate alla ricerca di ciò che vi stimola, fino a quando non troverete la vostra passione.
Gregorio Moretti
Sono nato nel 1980, laureato in Teorie della Comunicazione, da oltre 20 anni mi occupo di persone nelle aziende
Data pubblicazione 17 Gennaio 2024, Ore 15:29
Data aggiornamento 17 Gennaio 2024, Ore 15:33
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