Concetti Chiave
- Il flusso migratorio italiano iniziò intorno al 1880, principalmente per sfuggire alla povertà rurale.
- Nel 1913, l'emigrazione raggiunse il picco con 900.000 italiani che lasciarono il Paese, formando comunità all'estero.
- Negli anni Sessanta, l'emigrazione si concentrò su persone con titoli di studio e qualificazioni professionali.
- Le migrazioni interne italiane videro spostamenti verso aree industriali, riducendo il numero di emigrati all'estero.
- Dalla metà degli anni Settanta, più italiani ritornarono in patria di quanti ne emigrarono, in un contesto di crisi economiche.
L'emigrazione italiana dalla fine dell'Ottocento
Il flusso migratorio cominciò intorno al 1880, quando numerose persone, per lo più semplici contadini, con bassa professionalità e senza istruzione, cominciarono a espatriare per sfuggire a una vita di stenti nelle campagne. All'inizio del Novecento le emigrazioni si trasformarono in un vero e proprio esodo, soprattutto verso l'America (Stati Uniti e Argentina): nel 1913, all'avvicinarsi della Prima guerra mondiale, ben 900.000 persone lasciarono l'Italia. Nascono così grandi comunità italiane negli Stati Uniti (le cosiddette Little Italy, "Piccola Italia"), in Brasile, in Argentina e in altri Paesi, dove i nostri connazionali hanno contribuito allo sviluppo economico locale e promosso cultura e prodotti italiani. Nell'intervallo tra le due guerre mondiali ebbero luogo altre emigrazioni dall'Italia, allo scoppio della Seconda guerra mondiale (1940) si arrestarono e nell'immediato dopoguerra ripresero con forza.
All'inizio degli anni Sessanta si ebbe la punta massima: lasciarono il Paese ben 400.000 italiani l'anno.
Dagli anni Sessanta, però, le emigrazioni cambiarono sotto due punti di vista: se cambiò il tipo di emigrazione. Infatti le migrazioni all'estero coinvolsero sempre più persone dotate di titoli di studio e di qualificazione professionale, che cercavano in altri Paesi retribuzioni più elevate, condizioni di lavoro più soddisfacenti e ambienti ove i meriti professionali fossero riconosciuti meglio che in Italia.
Continuarono invece le emigrazioni interne al nostro Paese. Lo spostamento si effettuò dalla montagna verso le pianure, dalla campagna verso le città, dall'interno verso le coste, da una regione a un'altra, specialmente dal Veneto e dal Sud verso le città del Nord, dove si trovavano i grandi complessi industria li che offrivano lavoro (il cosiddetto triangolo industriale Torino-Milano-Genova); diminuì il numero degli emigrati. Le ragioni furono diverse: da un lato, in Italia si creavano nuovi posti di lavoro, dall'altro lato alcuni Paesi come la Germania cominciarono a frenare l'ingresso di nuovi lavoratori. Infine, dalla metà degli anni Settanta crisi economiche produssero disoccupazione in molti Paesi .
Da quel momento si verificò un fatto del tutto nuovo per l'Italia: erano più le persone che rientravano in patria di quelle che emigravano.
Domande da interrogazione
- Quando iniziò il flusso migratorio italiano e quali furono le sue cause principali?
- Quali furono le destinazioni principali degli emigranti italiani all'inizio del Novecento?
- Come cambiarono le emigrazioni italiane dagli anni Sessanta?
Il flusso migratorio italiano iniziò intorno al 1880, principalmente a causa delle difficili condizioni di vita nelle campagne, spingendo molti contadini a cercare migliori opportunità all'estero.
All'inizio del Novecento, gli emigranti italiani si diressero principalmente verso l'America, in particolare gli Stati Uniti e l'Argentina, formando grandi comunità come le "Little Italy".
Dagli anni Sessanta, le emigrazioni italiane coinvolsero sempre più persone con titoli di studio e qualificazioni professionali, che cercavano migliori retribuzioni e condizioni di lavoro all'estero, mentre le emigrazioni interne si concentrarono verso le città industriali del Nord Italia.