Concetti Chiave
- Kierkegaard critica Hegel, sostenendo che la filosofia debba concentrarsi sull'individuo e sulla sua esistenza unica, piuttosto che sui concetti astratti. La sua critica si basa sull'idea che Hegel ignori l'esperienza del singolo.
- La filosofia di Kierkegaard si focalizza sulla verità come soggettività, sostenendo che la verità è un'esperienza personale e non può essere ridotta a un sistema oggettivo. Questo approccio enfatizza il rapporto personale di ogni individuo con Dio.
- Nel suo lavoro "Aut aut", Kierkegaard esplora la scelta tra la vita estetica, centrata sul piacere e l'indifferenza, e la vita etica, che implica responsabilità e impegno. La scelta è fondamentale per passare da uno stadio all'altro.
- Kierkegaard descrive la fede come un salto oltre l'etica, utilizzando il sacrificio di Abramo come esempio di fede che va contro la logica e l'etica. La fede cristiana, secondo lui, è intrinsecamente paradossale e non può essere giustificata razionalmente.
- L'angoscia e la disperazione sono elementi costitutivi dell'esistenza umana, legati alla libertà e alla possibilità. Kierkegaard sostiene che l'uomo è definito dalla sua capacità di scegliere e dalla consapevolezza della propria precarietà.
Il filosofo Kierkegaard è difficile da esporre sistematicamente. Per introdurre possiamo dire che se Marx e prima la sinistra hegeliana hanno rappresentato una reazione ad Hegel in nome delle esigenze dell’uomo concreto, reale, non la pura astrazione, Kierkegaard rappresenta una reazione ad Hegel in nome di uomo singolo, che coglie il suo essere contingente, precario e riscatta la sua precarietà con la fede in Dio. Per cui rimette in primo piano la religione dopo le critiche illuministiche e dopo un 800 che è un secolo ateo.
Indice
Rinascita e esistenzialismo
Il personaggio rimase emarginato, non fu un protagonista della filosofia della sua epoca e venne riscoperto alla fine dell’800 e soprattutto alla fine del 900 quando ci fu una sua rinascita in ambito religioso e filosofico (scrisse in un suo diario, quasi come una profezia, che lui e le sue opere sarebbero rimasti).
L’esistenzialismo (nel 900) venne ripreso da lui; l’esistenzialismo ha come slogan “l’esistenza precede l’essenza”.
Questo sottolinea la specificità dell’uomo rispetto all’animale → l’animale è determinato dalla sua essenza e quindi l’essenza precede la sua esistenza e invece tipico dell’uomo è la scelta e perciò l’uomo esistente decide cosa essere. Quindi l’uomo è libero, il regno dell’uomo è la scelta e quindi l’esistenza precede l’essenza nell’uomo.
Approccio al cristianesimo
Alcuni aspetti della sua vita ci fanno capire come si approccia al cristianesimo. Un’interprete, per far capire in cui il modo si approccia al cristianesimo, ha fatto questa differenziazione: noi da bambini veniamo introdotti al cristianesimo con il Natale, con l’immagine idilliaca del presepe, poi veniamo informati del fatto che quel bambino è stato anche messo in croce e quindi quel bambino è anche l’immagine tragica della morte. In Kierkegaard la prima parte non c’è perché per lui c’è solo Cristo morto in croce, presenta Cristo come una cosa seria, in opposizione al mondo, al vivere al senso borghese, perché il cristianesimo non è un compromesso, è una cosa seria. Lui dice che l’eresia più pericolosa è quella di giocare al cristianesimo.
Fu l’ultimo figlio di un padre che aveva avuto un primo matrimonio infecondo, poi si risposò con la domestica e fu l’ultimo di sei fratelli. Cinque morirono prima di lui. Secondo lui il padre ha una colpa segreta: potrebbe essere una maledizione a dio o un fallo con Bezzabea (aver avuto rapporti con la domestica dopo la morte della moglie). Qualunque sia il fatto in sé, questo terremoto (terremoto = colpa paterna) lo portò a pensare che il padre era un condannato a sopravvivere ai figli.
Quindi il rapporto con il padre è un rapporto religioso visto come una colpa.
Sempre di natura religiosa è la “spina nella carne” che gli fece rompere il fidanzamento e fece sì che non si sposò più. Questa spina nella carne era presa da San Paolo. Kierkegaard dice che uno che ha abbracciato l’ideale della vita che è serio, non può inserirsi nel compromesso mondano di un felice matrimonio. Sposarsi vuol dire conciliare il rapporto con dio con la tranquilla esperienza del matrimonio, ma per lui dio ha la precedenza perché per uno che ha preso l’ideale della vita così seriamente, dio ha la precedenza. Per questa precedenza non diventò neanche pastore.
Rapporto con la Chiesa
Polemica inoltre con la Chiesa dell’epoca (luterana) sul modo in cui viene vissuto il cristianesimo (lo avrebbe criticato in qualsiasi altra chiesa): quando muore il vescovo lui si chiede se era un testimone di verità e lui dice che non può esserlo perché ha vissuto nell’agio senza timore né tremore. Un vero testimone di verità deve essere disprezzato, schernito,aborrito (come lui insomma perché un giornale umoristico li aveva preso di mira. Si definisce un poeta cristiano di cui bisognava spezzare il cuore per far rinascere il cristianesimo, ma non perché si vuole vantare). Lui vuole far emergere il cristianesimo vero. Il fatto che l’Eterno nasca cresca e muoia come un uomo è una cosa paradossale, scandalosa, questa che è la verità del cristianesimo. Quindi non si può coprire questo scandalo anzi lo evidenza, divarica l’opposizione tra fede e ragione e si oppone a chi vive il cristianesimo come superficialità, chi lo usa per vivere facilmente, ma questo è scandalo è rifiuto del compromesso.
Conclude che il cristianesimo non esiste perché non è preso sul serio e quindi formula il detto “giocare al cristianesimo”. Non è preso come opposizione alla vita borghese. per un cristiano le cose non diventano facili, ma ancora più difficili.
Pur avendo studiato per fare il pastore decise di non farlo per questa questione con la Chiesa e visse scrivendo.
I suoi testi filosofici sono pubblicati sotto pseudonimi. Scrisse anche tutta una serie di commenti ai brani del Vangelo, Discorsi religiosi o edificanti ,di commenti religiosi che pubblica con il suo nome.
Critica a Hegel
La filosofia per Kierkegaard è qualcosa di diverso da quello che faceva Hegel. ed è fatta in nome di quella realtà che è il singolo, e per questo critica l’hegelismo.
Il singolo è caratterizzato dall’esistenza e dalla sua precarietà (guarda pagina 290), quindi la filosofia hegeliana sbaglia perché è unicamente interessata ai concetti e non al singolo e per questo non coglie l’irripetibilità di ogni singolo uomo. Hegel si occupa dell’essenza dell’uomo, non della sua realtà singolare. Ma l’esistenza di ognuno di noi non è una realtà concettuale ed è sulla base di questa teoria del singolo che Kierkegaard critica Hegel (qui c’è la battuta che Hegel costruisce un bellissimo castello ma poi va da solo a vivere in un fienile). Per Hegel la storia è uno strumento e in questo senso va a vivere nel fienile, perché non si occupa del singolo.
Critica inoltre la sua pretesa di spiegare tutto, ma non si coglie l’esistenza nella sua unicità e quindi per Kierkegaard è comica la situazione di Hegel che vuole spiegare tutto ma non riesce a dire niente del singolo.
Inoltre per Kierkegaard, Hegel pretendere di vedere tutto con gli occhi di dio ma non si accorge del singolo.
Quindi la filosofia di Hegel viene criticata non nelle fondamenta ma nel fatto che vuole parlare dell’assoluto ma non si occupa dell’esistenza umana, non coglie l’esistenza del singolo. Quindi l’attacco di Kierkegaard è di natura retorica nel senso che non val nemmeno la pena di criticare il sistema dalle radici, ma non interessa l’intero sistema perché non serve a nulla per comprendere l’esistenza. Il singolo è sempre e comunque fuori del sistema(vive da solo nel fienile non nel castello); è per questo che il sistema di Hegel non gli interessa minimamente perché per lui la filosofia è una sorta di autobiografia religiosa cioè si occupa del singolo e poi del suo rapporto con dio. Queste critiche sono fatte a Hegel nel nome del singolo.
Kierkegaard contrappone alla filosofia speculativa disinteressata di Hegel una filosofia che si occupa del singolo e poi del singolo rispetto a dio.
Inoltre per Kierkegaard è più importante il singolo rispetto al genere animale.
Verità soggettiva
Al singolo corrisponde la verità come soggettività. Il pensiero di Kierkegaard non viene mai esposto sistematicamente come fa Hegel, anzi prende in giro il tentativo di chiudere al verità in una casella oggettiva. Per questo lui intende la verità come soggettività, cioè quella in cui ognuno di noi è coinvolto. Questa considerazione è tratta dall’opera Postilla conclusiva non scientifica.
Definisce la verità soggettiva come la conformità di uno spirito esistente con quell’essere che sia capace di colmare la sua passione.
Il compito del pensiero soggettivo è comprendere la propria esistenza.
Per spirito esistente intende il soggetto Singolo, non l’io dell’idealismo, un soggetto interessato all’esistere, un soggetto singolo al quale la sua esistenza preme perché ne coglie la precarietà. Ognuno di noi è interessato alla propria esistenza perché ne coglie la precarietà, ecco la passione.
Si coglie la precarietà perché esistere è divenire, cioè non siamo eterni. In questo senso la esistenza ci preme e bisogna colmare la passione.
La verità soggettiva è il modo in cui ciascun esistente si mette in rapporto con l’assoluto. Questo rapporto non è già dato ma bisogna costruirlo, cioè bisogna prendere una decisione.
L’essere capace di colmare la passione è dio.
Abbiamo parlato di assoluto e con questo Kierkegaard intende il dio della Bibbia e per questo nelle sue opere non troviamo una descrizione sistematica, ma il modo in cui il singolo esistente si rapporta a dio perché solo dio può colmare la sua passione.
Per Kierkegaard affinchè ci sia verità oggettiva non è necessario che si sfoci nel credere in dio,nella fede in senso concreto, l’importante è che ci sia un rapporto vissuto in maniera appassionata.
Questo si capisce bene negli esempi che fa del giudizio universale :
1) io non ho creduto ma ho riflettuto sul cristianesimo tutta la vita
2) ho perseguitato i cristiani perché il cristianesimo ha talmente infiammato la mia anima che ho voluto estirparlo, tanto ha infiammato la mia anima, perché ne ho compreso il terribile potere
3) io ho abiurato il cristianesimo perché ho visto che se gli avessi dato un dito mi avrebbe preso tutto e io non volevo appartenergli completamente
4) un libero docente dicesse io non sono come i precedenti, non ho solo creduto nel cristianesimo ma l’ho giustificato razionalmente. Proprio questo si troverebbe nei guai perché questo non l’ha preso seriamente perché l’ha colto come una dottrina filosofica e per questo ha cercato di razionalizzarlo, non l’ha vissuto in maniera appassionata. Si troverebbe nei guai per la pretesa di giustificare il cristianesimo sul piano filosofico.
I primi tre esempi invece dimostrano il rapporto con dio in maniera appassionata e no non prenderlo adeguatamente come fa il quarto, che lo prende come qualcosa che non incide sulla vita.
Il singolo soggetto è direttamente coinvolto perché si cerca di trovare chi colmi la sua passione: questa è la verità oggettiva.
Anche per questa verità come soggettività è difficile esporlo sistematicamente.
Nei suoi scritti usa anche la comunicazione indiretta (anche questo non rende facile l’esposizione sistematica), non tanto perché si sia nascosto dietro pseudonimi, ma perché non esprime teorie, dottrine direttamente, ma esprime il suo pensiero esprimendo figure che lui ritiene emblematiche o esprimendo stati d’animo che sono tipici del singolo uomo.
Stadi della vita
Per Hegel la filosofia è mediazione degli opposti; per Kierkegaard invece il motto è “out out” e in particolare è scelta tra stadio etico o estetico. Non sono gradini che portano a una sintesi; tra uno stadio e l’altro c’è un abisso.
Quest’opera è presentata come l’edizione da parte di un Victor Eremita di due manoscritti (a e b) che corrispondono i due stati tra cui bisogna scegliere, a che rappresenta lo stadio estetico e b quello etico.
Lo stadio estetico rappresenta bene quello che aveva vissuto, cioè lo stadio edonistico, dedito al piacere. Ci sono varie figure che incarnano la vita estetica e il più significativo è il Don Giovanni di Mozart. Questa è una incarnazione della vita estetica e fa notare che è un’opera classica, un capolavoro perché c’è piena fusione tra forma e contenuto. La forma qui è la musica e il contenuto è l’erotismo, la sensualità quindi l’aspetto dei sensi (Don Giovanni è il seduttore; avrebbe sedotto 1003 donne nella sola Spagna). È un capolavoro perché ha trovato che la musica come linguaggio è fatta per il senso.
Mentre la parola come linguaggio è adatta a scrivere piuttosto idee, tanto che il Faust di Goethe è la ribellione a dio dal punto di vista dello spirito (vende l’anima) e come idea è espressa dalla poesia.
Don Giovanni invece che è una forza della natura può essere espresso soltanto con la musica perché è la perfetta incarnazione dell’erotico e l’erotico può essere espresso solo dalla musica. Questa ribellione a dio nel senso della carne è espresso con la musica. Per questo è un’opera classica.
Don Giovanni
Faust
La vita edonistica rappresenta la vita senza impegnarsi, senza scegliere. L’esteta vuole tener aperte tutte le possibilità senza sceglierne nessuna. Tutte le possibilità si equivalgono e bisogna tenerle aperte tutte perché sceglierne una vuol dire inibire le altre. Questo l’esteta non vuol farlo.
Nella vita estetica l’uomo non sceglie cioè che è, l’uomo è cioè che è per essenza. La dimensione estetica è quella in cui non c’è la scelta perché il principio del piacere non lo scegliamo.
Se la prima parte è incarnata da don Giovanni, la seconda parte contiene gli scritti che vengono attribuiti a un certo assessore o magistrato Guglielmo (cioè Kierkegaard), cioè a un uomo sposato e che ha un lavoro (elementi tipici della vita etica. In questi scritti esalta i valori del matrimonio e del lavoro. L’assessore Guglielmo dice al suo amico esteta che il matrimonio rappresenta la serietà della vita, ma che non togli alla vita stessa della bellezza, della poesia legata anche all’eros. Serietà significa che impone quel minimo di disciplina necessaria per valorizzare gli attimi della vita. L’estate invece pretende di cogliere il piacere dell’attimo senza impegnarsi nella scelta, lasciando aperte tutte le possibilità, perché se uno sceglie una via rispetto alle altre, si preclude la possibilità di prendere qualsiasi altra strada. L’esteta vuole vivere il piacere dell’istante senza impegnarsi e tenendo aperto tutte le altre. L’esteta diventa una banderuola cioè si trova in balia di circostanze e della ricerca del piacere dell’attimo.
Quindi l’atteggiamento edonistico non è una manifestazione di vitalità ma è mancanza di coraggio, di impegnarsi che permette di vivere nel tempo e non nell’attimo. L’esteta manca di coraggio di impegnarsi nella scelta ripetuta.
Sempre l’assessore Guglielmo insiste anche sulla doverosità del matrimonio inteso come scelta. Mentre l’atteggiamento estetico (l’esteta) è quello secondo cui tutte le possibilità si equivalgono, l’atteggiamento etico è scelta, out out, non tutto ha lo stesso peso.
Guglielmo fa anche un’allusione alla parabola delle vergini, e dice che a mezzanotte bisogna smascherarsi cioè scegliere.
Secondo l’assessore Guglielmo ciò in cui sfocia la vita estetica è la disperazione, non nel senso che ti viene a mancare quello a cui era legato, perché l’esteta non è legato a niente. Allora la disperazione dell’esteta è la disperazione di ogni possibilità della vita e fa un paragone evangelico: paragona la condizione dell’esteta che alla fine è disperato con quella degli operai della vigna, per soffermarsi che gli operai sono ansiosi finché qualcuno non li chiama a lavorare.
Come si esce da questa disperazione? Si esce con la scelta, cioè entrando nella vita etica. La scelta originariamente non è scelta tra bene e male perché sarebbe già dentro alla dimensione etico. La scelta in cui si esce dallo stadio estetico è la scelta di scegliere cioè uscire dall’indifferenza. Con un salto, out out non et et si entra nella vita etica. Il punto fondamentale è quindi la scelta.
Nello stadio estetico l’uomo è ciò che è; nello stadio etico l’uomo diventa ciò che diventa (=sceglie) e non si tratta di scegliere di essere altro da quello che si è, ma assumere quello che si è.
Neanche questa è lo stadio completo della vita. Non basta essere un buona lavoratore, un buon marito, perché c’è qualcosa che va oltre e infatti lui rompe il fidanzamento perché ha la precedenza la vita religiosa.
C’è una nuova rottura tra vita estetica e vita religiosa, un altro out out.
Il simbolo qui è Abramo costretto a sacrificare il figlio. È assurdo eticamente l’ordine dato da Dio, ma tuttavia Abramo obbedisce, sceglie l’assurdo e nega l’etica. Tra stadio etico e religioso c’è un salto più grande tra stadio estetico e etico. Kierkegaard non fa nulla per attenuare le contraddizioni religiose.
Il salto è enorme nell’arrivare a Dio perché credere con la ragione è impossibile (credere che la sua vita sia stata come quella di un uomo). Quindi non fa nulla per attenuare il salto tra fede e ragione per far notare che è una scelta assurda, paradossale.
L’opera è Timore e tremore (ripresa paolina: “badate alla vostra salvezza con timore e tremore”). Il passaggio tra lo stadio etico è religioso è dato dal pentimento. Tra vita etica e vita religiosa c’è un salto, ma lo scacco della vita etica per il quale ci si può aprire (non è necessario, non deve avvenire per sempre) è il pentimento. Devo sempre pentirmi ed è il paradosso dell’etica per cui spunta la possibilità della vita religiosa. Dal punto di vista etico devo sempre essere insoddisfatto di me, non c’è niente di perfettamente adeguato alla vita morale, al massimo cerco di adeguarmi alla vita morale. Non c’è niente di interamente buono nella mia vita e in questo senso devo pentirmi. Questa coscienza della mia incapacità mi paralizzerebbe, mi scoraggerebbe, se non riconoscessi che c’è qualcuno altro che può ricostruirmi moralmente, che può redimermi, e questo è Dio. Quindi c’è qualcuno altro che mi rimette in grado di fare il bene. Da sola sono nello scacco etico del pentimento. Di qui l’apertura a dio.
La fede però è un salto oltre l’etica. Abramo, che accetta di sacrificare il figlio Isacco,è il modello perché crede che nonostante sia disposto a sacrificare suo figlio, dio possa restituirglielo per miracolo (Abramo a Sara matrimonio sterile quindi anche la concezione è stata miracolosa perché arrivano tre personaggi).
Abramo è simbolo della vita religiosa, che va contro la ragione, perché Abramo credeva che Dio gli potesse restituire il figlio. Quindi la fede è contro ogni ragione e anche contro l’etica (l’etica non può chiedere la vita di suo figlio).
Kirkeegard non si pone davanti al brano come un esegeta; lui vuol rivivere la fede di Abramo e capirne la grandezza; la grandezza di uomo si misura con ciò che ama, si misura dalla speranza e chi spera l’impossibile è il più grande, si misura dalla lotta e chi lotta contro tutti è il più grande. La croce come dice san Paolo ha carattere folle e scandaloso anche se per chi crede è salvezza. Quindi grande è Abramo che vince dio con l’impotenze, è sapiente nella sua stoltezza, è grande per l’amore che è odio contro sé stesso.
Sottolinea il carattere scandaloso della religione rispetto all’etica. Il sacrificio richiesto ad Abramo è chiesto senza ragioni morali e quindi a differenza dell’eroe mitico, l’eroe religioso non è confortabile, in quanto risponde a una chiamata personale di Dio. Pagina 283 → la vita religiosa.
Sospensione teleologica dell’etica = l’affermazione del principio religioso sospende interamente l’azione del principio morale.
Angoscia e disperazione
Quando parla dell’angoscia e della disperazione non sta parlando di due stati d’animo esistenziali che possono capitare o anche no; secondo lui sono due caratteri dell’esistenza in quanto tale dell’uomo. Ci sono situazioni esistenziali che uno può vivere o non vivere a seconda delle esperienza, ma queste situazioni non sono di questo tipo, sono costitutive dell’esistenza umana.
Kierkegaard sottolinea che nell’uomo il singolo è più importante della specie perché è creato a immagine e somiglianza di Dio.
L’animale ha un essenza, è determinato quindi il suo regno è quella della necessità; l’animale segue il suo istinto non può fare scelte.
Nell’uomo il discorso è diverso perché l’esistenza precede l’essenza cioè è l’uomo che decide quel che è. La sua esistenza precede ciò che è, la sua essenza.
Per quanto riguarda il singolo esistente (l’uomo) è quindi all’interno del regno della libertà, della scelta nel senso che l’uomo è ciò che sceglie di essere; diventa ciò che diventa. Il che vuol dire che la categoria dell’uomo è la possibilità non la realtà e nemmeno la necessità.
Questa della possibilità è la più pesante delle categorie, a differenza di come siamo portati a pensare; l’esempio più emblematico è la parola di Cristo, cioè quella riportata in un Vangelo quando Cristo parla a Giuda e gli dice affrettati in quello che stai per fare perché non ha sofferenza per il fatto di essere in croce, perché è realtà, ma esprime l’angoscia per quello che poteva accadere, quindi l’angoscia rispetto alla possibilità, non verso la realtà.
La possibilità è più pesante della realtà perché di fronte alla possibilità si aprono tutti gli aspetti negativi; ogni possibilità positiva ha un numero infinito di possibilità negative; si apre la “minaccia del nulla”, dal non scegliere allo scegliere e sbagliare.
Per Socrate la realtà era una categoria meno pesante perché la realtà è già data. Il discepolo della realtà non deve far altro che inserirsi in un mondo già dato (come il treno che corre sui binari) e non si prova angoscia.
Chi si trova di fronte alla possibilità deve scegliere, cioè il mondo se lo fa lui e da questo nasce l’angoscia. Socrate accetta la situazione (cioè assume il veleno) come qualcosa da lui voluto.
Nella possibilità di scelta ci sono tante possibilità terribili. Kierkegaard dice che quando si esce dalla possibilità si esalterà la realtà e si vedrà che la realtà pesa meno della possibilità.
Senza possibilità non ho angosce.
La possibilità è il sentimento di angoscia di fronte a ciò che può accadere. Quindi l’angoscia è il puro sentimento della possibilità.
Sul piano temporale il possibile corrisponde al futuro. Kierkegaard dice che solo il futuro può angosciare; il passato angoscia solo se non è tale, cioè se può ripetersi, perché si colloca nel futuro come possibilità di ripresentarsi. Se è solo passato può generare pentimento.
Secondo Kierkegaard la parola più emblematica di Cristo per esprimere l’angoscia, in quanto uomo, non è “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato”, che indica un figlio che si vede abbandonato dal Padre, perché questa è una sofferenza per ciò che sta accadendo; quindi è realtà, non possibilità. Secondo lui la più emblematica è quella rivolta a Giuda “quello che devi fare fallo in fretta”; questa è angosciante perché esprime l’angoscia per ciò che può accadere, angoscia verso la possibilità.
L’angoscia per Kierkegaard è educatrice; bisogna darle il benvenuto, perché scaccia i pensieri e questa può aprire a chi può liberarci dall’angoscia, che è Dio → guarda bene pagina 285
La disperazione è la condizione esistenziale, non evitabile,legata alla possibilità, ma possibilità di rapporto dell’uomo con sé stesso, non con il mondo, com’era per l’angoscia. La disperazione è la colpa dell’uomo che non si accetta nella sua profondità.
Questa disperazione non è quella in cui culmina la vita estetica, che si risolve con la scelta. Questa disperazione può essere vinta solo con la fede.
L’uomo non si accetta com’è, l’uomo non accetta di dipendere da Dio e questa è la disperazione. Dio è “l’unico pozzo” da cui possiamo attingere acqua. La disperazione è la colpa di chi non accetta la sua creaturalità.
Nel non accettarsi ci sono due alternative:
1) l’uomo può voler essere pienamente sé stesso; pensa di poter realizzarsi in maniera autosufficiente, vuole sostituirsi a Dio. Questo porta alla disperazione perché tutto questo è un’illusione, perché non siamo finiti, non siamo autosufficienti.
2) L’uomo evade da sé stesso, cioè fugge da sé stesso dissipandosi in attività varie che non fanno riflettere su sé stessi. Ma neanche questo si possiede e quindi si cade nella disperazione.
La malattia mortale viene intesa come morte dell’io, perché entrambi i tentativi sono impossibili e si giunge in entrambi alla disperazione.
L’antidoto è la fede. Bisogna rifugiarsi in colui che ci ha creato, riconoscere la propria dipendenza da Dio, perché non siamo autosufficienti. Se eliminassimo l’angoscia e la disperazione, secondo Kierkegaard, non saremo più umani, ma il rapporto con Dio aiuta a superarle.
[pagina 286: la disperazione è strettamente legata alla natura dell’io. Infatti l’io può volere, come può non volere, essere sé stesso. Se vuole essere sé stesso, poiché è finito e quindi insufficiente a sé stesso, non giungerà mai all’equilibrio e al riposo. Se non vuole essere sé stesso e cerca di rompere il proprio rapporto con sé, che gli è costitutivo, urta anche qui contro un’impossibilità fondamentale.]
L’istante e la storia
Verità e fede
Nelle Briciole filosofiche Kierkegaard si pone il problema di come arrivare alla verità e cita la soluzione socratica “il maestro sollecita l’alunno a partorire la verità (=maieutica)”. Kierkegaard non è d’accordo perché questo implica che la verità è già dentro di noi, la possediamo già e si tratterebbe solo di ricordare (Kierkegaard legge Socrate attraverso platone). Se l’abbiamo da sempre, allora la nostra anima è eterna. Questa soluzione in senso cristiano non può essere accettata perché io non sono eterno. Siccome l’uomo è nato non deve avere in sé la verità; quindi Kierkegaard dice questo per salvare la nostra temporalità. L’uomo deve nascere privo di verità e quindi deve essere qualcun altro che gliela dà e questo è Cristo.
Noi ci siamo privati delle condizioni per giungere alla verità perché abbiamo usato la nostra libertà per peccare e non abbiamo la possibilità di uscire da soli da questa situazione di non verità (peccato).
Colui che ci toglie questa situazione è il maestro che è redentore e salvatore.
La verità è un dono di Dio che ci fa nuovi. Come avviene questo? L’uomo non è in grado di elevarsi a Dio, ma è Dio che si è fatto uomo. Quindi ci vuole un abbassamento di Dio all’uomo e questo è una cosa miracolosa: non è comprensibile razionalmente. Non si può capire come Dio si sia fatto uomo, come l’eterno diventi tempo.
Di fronte a questa verità paradossale ci sono due possibilità:
-- accetti con la fede
-- rifiuti
Se uno imbocca la via della fede è un aiuto, per la fede, aver conosciuto direttamente Gesù? (Hegel). Kierkegaard risponde di no perché aver visto un uomo non basta a farmi capire che quello è Dio, ci vuole qualcos’altro, un salto. Il salto della fede l’ha fatto sia colui che era contemporaneo, sia i posteri di Cristo. Credere che l’uomo sia Dio è una salto sia per chi è stato contemporaneo di Cristo, sia per chi non l’ha visto.
Si può distinguere tra: → discepolo di prima mano = contemporaneo di Cristo
→ discepolo di seconda mano = vissuto dopo Cristo
Per Kierkegaard i due sono sullo stesso piano.
1) speculazione = filosofia hegeliana
Mediazione = et et cioè giustificazione razionale
2) ogni giustificazione razionale avviene nella filosofia. Ma se il cristianesimo è l’antitesi della filosofia, non è giustificabile.
Il paradosso è essenza della fede cristiana, non è giustificazione. Le verità fondamentali del cristianesimo sono paradossali.
3) comunicazione di esistenza: è un messaggio che ci dice come vivere non è una dottrina.
4) esistenza = vita vissuta
5) la speculazione si occupa dell’astratto non della vita. La dottrina degli Eleati (Parmenide) si rapporta alla speculazione perché non dice niente alla mia vita. Non avrebbe senso essere Eleati. Nel cristianesimo, che ha valore esistenziale, è diverso sapere cos’è il cristianesimo o essere cristiani. Questa differenza non c’è nel conoscere la dottrina degli Eleati i essere eleato. Per uno che crede nella fede la sua esistenza è da vivere.
Scandalo della fede
Per accettare la fede bisogna passare per lo scandalo,sia che poi la continui a seguire, sia che la rifiuti.
1) chi giunge alla fede superare lo scandalo. Chi non raggiunge la fede si imbatte e si ferma allo scandalo.
2) l’uomo – dio in Hegel esprimeva l’unità non finito e infinito.
3) non fa niente per attenuare lo scandalo: quel singolo uomo è anche Dio , questo è lo scandalo.
4) riferimento al giudizio universale: vedere Gesù nel prossimo. La ragione di fronte allo scandalo non può andare avanti; ecco allora che credere con la ragione è impossibile.
Non si può conciliare dio e il mondo, se scegli Dio devi rinunciare al mondo quindi esistenza religiosa significa rifiutare ogni compromesso. Per questo lui si paragona alla vita monacale dove ci si ritira e quindi si rinuncia; è un paragone non nel senso che per Kierkegaard si tratta di farsi tutti monaci (anche perché nel mondo luterano non esistono) ma nel senso che chi aderisce alla vita religiosa esteriormente non cambia (saio..) ma cambia interiormente perché vive nel mondo ma non è del mondo. Ma il punto decisivo dell’esistenza religiosa è la coscienza della colpa, che c’è solo in rapporto a Dio nel senso che se non c’è il rapporto con dio certi tipi di comportamento sono spiegati come la situazione sociale dove si trova inserito, struttura psichica, ma colpa e peccato ci sono solo in relazioni a dio. Se non c’è il rapporto con dio i comportamenti vengono giustificati in diverso modo. Solo in relazione a dio certi atteggiamenti sono colpe, peccati.
Nell’ambito dell’esistenza religiosa Kierkegaard distingue due rapporti a dio e quindi due modi di raggiungere la felicità:
Il rapporto A è un rapporto in cui si concepisce la trascendenza di dio rispetto all’uomo, ma ritiene di poter trovare in sé questo rapporto e quindi è in qualche maniera autosufficiente.
Nel rapporto B l’uomo non si ritiene autonomo nel cercare dio (e quindi giungere alla beatitudine), ma ritiene di aver bisogno di un mediatore, che è cristo.
In un caso si pensa di essere autonomo, nel secondo caso riconosce la necessità di cristo come mediatore e questa è la religiosità del paradosso per eccellenza perché non si può spiegare razionalmente, perché non si tratta di credere in un assoluto, ma si tratta di credere che l’eterno si è fatto tempo cioè è venuto ad esistere in un determinato tempo. Ora che l’eterno si presenti nel tempo, diventi uomo nasca, cresca, muoia, questo è la rottura con ogni pensiero cioè non c’è possibilità di mediazione razionale. È una rottura con ogni pensiero che l’eterno diventi tempo. Non ci può essere alcuna giustificazione razionale e quindi per Kierkegaard certamente a Dio non si arriva nel ponte dei sillogismi ma con il salto della fede perché credere che l’eterno diventi tempo diventa del tutto irrazionale.
Domande da interrogazione
- Qual è la principale critica di Kierkegaard alla filosofia di Hegel?
- Come Kierkegaard definisce la "verità soggettiva"?
- Qual è il significato dello "stadio estetico" e "stadio etico" in Kierkegaard?
- Cosa rappresenta l'angoscia per Kierkegaard?
- Come Kierkegaard vede il rapporto tra fede e ragione?
Kierkegaard critica Hegel per concentrarsi sui concetti e non sull'individuo singolo, non cogliendo l'irripetibilità e la precarietà dell'esistenza umana.
La verità soggettiva è la conformità di uno spirito esistente con un essere capace di colmare la sua passione, sottolineando l'importanza del rapporto personale con Dio.
Lo stadio estetico è caratterizzato dalla ricerca del piacere senza impegno, mentre lo stadio etico implica la scelta e l'assunzione di responsabilità, rappresentando un passaggio verso una vita più autentica.
L'angoscia è il sentimento della possibilità, una condizione esistenziale inevitabile che deriva dalla libertà di scelta dell'uomo e dalla sua capacità di immaginare infinite possibilità.
Kierkegaard vede la fede come un salto oltre l'etica e la ragione, un atto paradossale e scandaloso che richiede di abbracciare l'assurdo, come illustrato dalla storia di Abramo.