Concetti Chiave
- Hegel, a key figure in German idealism, critiques predecessors like Fichte and Schelling, emphasizing the dialectical process of thesis-antithesis-synthesis to reach the absolute.
- His philosophy argues for the resolution of the finite into the infinite, asserting that the real is rational and the rational is real, thus advocating for the identity of thought and reality.
- Hegel's system outlines a tripartite structure of logic, nature, and spirit, where the spirit evolves through stages of consciousness, self-awareness, and absolute knowledge.
- The Phenomenology of Spirit is a central work, illustrating the spirit's journey through historical and philosophical phases, achieving self-realization and understanding of reality.
- Hegel views the state as a manifestation of ethical life, arguing against liberalism and democracy in favor of a totalitarian state where individual freedoms align with state objectives.
Hegel
Hegel è un filosofo tedesco che fa parte del circolo di Jena, si inserisce sia nella filosofia romantica che in quella idealista. Se Fichte è il fondatore dell’idealismo, Hegel è la massima espressione. É il filosofo che meglio di tutti è riuscito a raccontare che cosa sia l’idealismo e a sottolineare i difetti dei suoi predecessori, sia di Fichte, sia di Schelling. Nasce a Stoccarda nel 1770 e muore nel 1831, anche lui a cavallo tra il 700 illuminista e l’800 romantico.
Fa studi teologici, si forma ne seminario di Tubinga e studia filosofia, teologia e diritto. Ha preso il dottorato in filosofia, si trasferisce a Berna; questo periodo viene chiamato come il periodo di Berna. A Berna concentra l’attenzione soprattutto sugli studi religiosi, si occupa di religioni positive (religioni dell’antica Grecia), tutto questo caratterizzerà le opere che scriverà nel periodo giovanile. All’interno di queste opere religiose sottolinea i difetti di tutte le religioni e anche gli aspetti positivi, nel periodo in cui sta a Berna, muore il padre, tutta l’eredità che il padre gli lasciò gli servi per proseguire gli studi e poter continuare tranquillamente senza chiedere l’elemosina.
Da Berna si trasferisce a Francoforte, dove proseguirà gli studi a carattere religioso. Da Francoforte si trasferisce a Jena nel 1801, qui ha già terminato gli studi universitari e diventa professore universitario. Questo periodo è quello in cui, lasciando gli interessi religiosi, si occupa di Fichte e Schelling. Leggerà le opere dei suoi contemporanei rimarrà abbastanza ammirato di quello che scrivono ma sottolineerà i difetti per poter portare avanti una sua filosofia. É un periodo in cui mette in evidenza la differenza tra la filosofia di Fichte e Schelling e i corrispettivi aspetti positivi e negativi. Successivamente scriverà la “Fenomenologia dello spirito”, a Jena.
Nel 1808 è il periodo di Norimberga dove diventerà preside del ginnasio, si occuperà di logica, preparerà un’altra sua grande opera “L’enciclopedia delle scienze e dello spirito”. Scriverà l’impianto logico dell’opera. É il periodo in cui inizierà ad avere un’attenzione particolare nei confronti della Francia di Napoleone, di cui lui è “innamorato” -testo pagina 459-. Vuole sottolineare la sua magnificenza.
Di fronte a una rivoluzione francese che ha perso i presupposti che l’avevano mossa, il progetto venne meno con la caduta della monarchia e l’istituzione della Repubblica a degli scompigli tra le diverse classi sociali, sino a che prenderà il potere Napoleone.
Hegel sottolinea che tutta la Rivoluzione non è servita a niente, ma fortunatamente c’è stato Napoleone che ha dato alla Francia la sua identità.
Nel 1816 si trasferisce a Heidelberg dove avrà una cattedra universitaria, elaborerà “L’Enciclopedia delle scienze e dello spirito” il cui impianto aveva iniziato negli anni precedenti.
L’ultimo periodo nel 1819 è quello a Berlino dove diventa rettore dell’università, tutti lo conoscono. SI occuperà di filosofia del diritto e di filosofia morale. É il periodo in cui si dedica ai viaggi.
Viene contagiato dalla moglie, malata di colera e muore nel 1831. Nell’ultimo periodo, prima di morire, affronta il problema religioso e scrive delle filosofie della religione. Scriverà anche delle filosofie della storia. Pertanto, tutto il suo percorso si può dividere in tre momenti:
periodo giovinezza (dedicato alla religione)
periodo della maturità (scrive le sue due più grandi opere)
periodo della vecchiaia (filosofia del diritto e della religione)
Il problema religioso sarà una costante di tutto il suo pensiero, ritornerà anche nella Fenomenologia e nell’Enciclopedia.
Analisi critica alle filosofie precedenti
Critica:
l’illuminismo e gli illuministi, in particolare Kant
alcuni aspetti del Romanticismo, Fichte e Schelling
la Rivoluzione Francese
La critica che fa agli illuministi è la critica che già Fichte e Schelling avevano fatto, c’è una nuova interpretazione del concetto di ragione. Perché il pensiero illuminista aveva peccato di astrattezza, la ragione aveva la presunzione di voler oltrepassare il campo della fisica, l’Illuminismo quindi presuntuosamente pensato di poter accedere alla conoscenza, aveva il limite dell’astrattezza, ciò che è astratto in realtà è limitato perché non può essere conosciuto. Secondo Hegel la ragione è capace di poter conoscere il tutto e andare al di là del finito. Supera il limite del finito perché il processo con il quale agisce la ragione è un processo non solo circolare, ma è una spirale che inizia da un punto che è la tesi, procede attraverso l’antitesi per trovare una sintesi. Studiando Fichte e Schelling ci si ferma a tesi-antitesi-sintesi; secondo Hegel la spirale continua perché la sintesi diventa nuova tesi che si oppone ad un’altra antitesi ritrova una sintesi soltanto alla fine di un processo che è in sé raccorda l’assoluto. L’assoluto non è un’entità indifferenziata di spirito e natura, ma l’assoluto è un processo dialettico in fieri che a partire da una tesi si oppone ad un’antitesi.
Quando è finito il percorso raggiunge l’assoluto.
Esempio del fiore: prima c’è il bocciolo, poi il fiore sboccia. Il fiore non è fiore da subito, in potenza c’è già quello che poi si realizzerà. La ragione dialettica è una ragione che permette a ciò che è in potenza di realizzarsi, di divenire altro. Il divenire è il finito che deve realizzarsi nell’infinito. La tesi trova la sua massima espressione nell’infinito che è assoluto. Hegel sottolinea che la ragione non deve rimanere qualcosa di astratto e non deve avere la pretesa di conoscere semplicemente come se si trattasse di un puro approccio intellettuale ma la ragione ha proprio la capacità di creare la realtà, perché dialetticamente è la ragione che ci racconta di come la realtà so crea e si realizza, di come il finito si realizza nell’infinito, in un percorso che troverà il suo compimento.
Critica Kant e dice “Kant ha voluto insegnare a nuotare stando fuori dall’acqua”. Kant, nella Critica della ragion pura parlando di giudizi sintetici a priori determinanti, in realtà ha fatto solo teoria. Teoricamente ha detto come si deve conoscere ma è rimasto distaccato rispetto alla realtà che voleva conoscere. Hegel dice che non ci deve essere questo distacco anzi “si impara a nuotare, nuotando”, la realtà si realizza nel momento in cui la si sta conoscendo perché la realtà viene creata da noi. Non c’è un creatore prima e una realtà poi, ma c’è un atto unico di creazione e creatura, così come creazione e creatura sono un’identità, allo stesso modo si può dire che si impara a nuotare nuotando. Kant, secondo Hegel, ha sviluppato una teoria della conoscenza puramente teorica, senza entrare direttamente nel merito dell’oggetto che stava conoscendo. Quindi, risulta ancora una volta una filosofia astratta, per cui si deve dubitare di una verità kantiana e riappropriarci di una verità nuova, quella di un IO che non solo pensa ma crea.
Critica la Rivoluzione Francese perché è partita da presupposti positivi e poi alla fine ha rovinato il suo intento, per fortuna (secondo Hegel) è arrivato Napoleone. Critica l’inefficacia della Rivoluzione. Ma Napoleone è già in un periodo successivo all’Illuminismo. Nel 1801 viene proclamato imperatore e console a vita. Hegel vuole uno Stato che forgia i cittadini, è una sorta di totalitarismo.
Un altro aspetto che sottolinea della filosofia kantiana è il fatto che Kant ci teneva a sottolineare la differenza tra fenoumenico e noumenico, aveva scisso la realtà in una dimensione conoscitiva e in una non-conoscitiva. Il fenomeno era la realtà così come ci appare. Il noumeno era una realtà metafisica. Per Hegel non esiste la differenza tra la realtà fenomenico e noumenico. Poiché la ragione è dialettica, non c’è limite alla ragione, la realtà noumeni, cioè non accessibile all’uomo, non esiste; esiste un’unica realtà che è creata dall’io.
Critica alcuni aspetti del Romanticismo, condivide del Romanticismo l’idea di infinito quindi quella che poteva essere una possibilità del passaggio dal finito all’infinito per lui è una certezza, quindi appoggia la Sensucht e lo streben. Accetta anche l’idea di amore come cifra dell’assoluto. Non è d’accordo con il fatto che il Romanticismo ha dato alla fede un primato. Nel passaggio dall’Illuminismo al Romanticismo, mente gli illuministi avevano messo la fede in secondo piano mettendosi in una posizione deistica, il Romanticismo dà un valore di primo piano al sentimento, sia quello della fede rivalutando le religioni teiste, sia il sentimento dell’arte e della natura ai vari sentimenti che sono espressione dell’individuo. É una scelta profondamente individuale, a Hegel piace la collettività, il valore della collettività è primaria rispetto all’individualità proprio per quell’idea che è lo Stato che forgia gli individui, la collettività è prima rispetto all’individuo. Tuttavia la religione rimarrà un filone conduttore di tutto il suo pensiero filosofico, perché lui dice che l’uomo si è formato attraverso la religione. La storia è caratterizzata da uomini che hanno avuto un sentimento di fede, ma questo sentimento non deve avere il primato.
Critica Fichte e condivide la critica che già gli aveva fatto Schelling, quello di avere fatto un’assassinio della natura e ridotto la natura a semplice non-io. Per Hegel quello di Fichte è un cattivo infinito. Per Fichte è una sorta di strada per cui in senso orizzontale si vede il procedere della tesi-sintesi-antitesi ma ci possiamo incamminare verso l’infinito ms poiché è infinito non sapremo mai se raggiungeremo quell’infinito, allora è cattivo infinito perché non sappiamo se il finito si realizzerà mai nell’infinito. Hegel preferisce il processo dialettico a spirale, dove tesi-antitesi-sintesi troveranno la sintesi delle sintesi in quella che è la conclusione del processo che è l’assoluto. Si chiude perché c’è coscienza, autocoscienza, ragione, spirito, religione, sapere assoluto.
Critica Schelling perché Schelling aveva definito il suo assoluto come un cerchio che si chiuse, senza parlare di una spirale, l’assoluto era l’unità indifferenziata di spirito e natura, natura incosciente e spreto cosciente, quindi era necessario quel processo di anamnesi che lo spirito fa per naturalizzarsi e viceversa; mai si comprenderà totalmente dove inizia l’uno e dove finisce l’altro. Hegel sostiene che l’assoluto di Schelling può essere definito come una notte scura in cui, tutte le vacche sono nere.
Dopo aver criticato i suoi contemporanei e non solo, elabora la sua filosofia. Ci sono 3 capi saldi:
Risoluzione del finito nell’infinito
Identità di ragione e realtà
Funzione giustificatrice della filosofia
É un percorso non semplice in cui cercherà di spiegare come, visto il limite delle filosofie precedenti, il finito si realizza nell’infinito, che non c’è alcuna differenza tra realtà e pensiero (tutto ciò che è razionale è reale, tutto ciò che è reale è razionale) e poi qual è la funzione, lo scopo, il fine della filosofia che è quello di giustificare la realtà.
Il pensiero di Hegel è abbastanza articolato perché lui costruisce un impianto filosofico solido, assieme a Kant non hanno portato avanti una corrente di pensiero ma hanno posto delle strutture funzionali a raccontare due filosofie che sono l’una in opposizione e in alternativa all’altra, sono non semplici correnti filosofiche ma dei sistemi filosofici.
La corrente filosofica ha delle idee comuni condivise, il pensiero diventa semplicemente un’accomunanza di idee. La corrente illuminista ha tante idee comuni, ognuno con una propria specificità ma che trovano un tratto di sintesi.
Il sistema ha bisogno di alcuni punti fermi, ci deve essere un impianto, un legame tra i vari punti che devono permettere il passaggio e il collegamento, non c’è semplicemente un’idea comune che viene condivisa ma c’è una struttura di base dove le idee comuni non sono le idee comuni ad altri filosofi ma il pensiero di Hegel p di Kant ha cercato di trovare un collegamento tra quelli che sono i presupposti delle altre filosofie e a partire da quei legami hanno costruito un pensiero filosofico. Non è il punto in comune tra vari pensatori ma i tratti identificativi di una filosofia come l’uno imprescindibile all’altro a creare un sistema, reti di connessioni a spiegare qual è il legame, le relazioni che esistono tra i vari punti. I vari punti sono quei tre capi saldi. La base dell’impianto è data dalla risoluzione del finito nell’infinito, solo a partire da qui si può comprendere il pensiero di Hegel; si passa poi all’identità di ragione e realtà e per dare un fine giustificativo alla filosofia per spiegare perché la realtà coincide con la ragione e come mai è possibile che il finito si realizzi nell’infinito. C’è un filo conduttore che porta il filosofo a spiegare logicamente come è arrivato da A a B.
Così come ha fatto Kant con le tre critiche, Hegel lo fa con i tre capi saldi. Tutti i capisaldi che lui metterà in evidenza nella prima opera: Fenomenologia dello spirito.
Risoluzione del finito nell’infinito
La realtà è un organismo unitario e non un insieme di sostanze autonome. Ossia, «il vero è l’intero».
Questo è un presupposto che era proprio del Romanticismo, la natura è organicistica. La natura è un organismo, è un tutto dove le parti e tutti i vari elementi contribuiscono al tutto. La verità della realtà è l’intiero. Il vero è l’intero. La realtà vera coincide con il tutto, la parte non può essere vera, è vera se quella parte è collegata al tutto. Non esistono parti vere a prescindere dal tutto, così come non esistono individui a prescindere dalla collettività (in senso storico, e politico).
A partire da questa realtà, che è la natura, la natura è tale perché costituita da tante parti e la verità della natura è l’insieme delle parti, non solo una parte a prescindere dal tutto. Esistono tante sostanze finite, che sono le parti (cose empiriche) e apparentemente sono autonome ma solo insieme costituiscono il tutto che è la natura. Le parti di un tutto servono a raccontare la verità di questo tutto, apparentemente le cose finite sono sufficienti a loro stesse in realtà sono da pensarsi in relazione al tutto.
Come si fa a isolare una parte dal tutto? L’intelletto è funzionale ad astrarre, ha questa funzione di togliere qualcosa dal tutto e a pensarla come isolata; ma in realtà è solo nel pensiero astratto che noi isoliamo perché la parte deve essere sempre comprensiva di quel tutto.
Il finito è la parte, quindi l’infinito il tutto, che lui lo chiama assoluto. Quindi il tutto, l’assoluto non sono semplicemente una parte ma parte più parte rapprendano il vero. Non si può pensare il finito senza l’infinito e viceversa. Perché il finito si realizza nell’infinito e l’assoluto (infinito) si presenta e si manifesta nel finito, ma non possiamo vedere l’assoluto. La natura si esprime attraverso le sue parti, le parti si realizzano e trovano il completano attraverso le altre parti che formano il tutto. É un po’ come dire che l’uomo è manifestazione di Dio e Dio è la realizzazione dell’uomo, in termini religiosi. Il soggetto si manifesta nell’oggetto e l’oggetto si realizza nel soggetto.
Risoluzione è il compimento del finito nell’infinito, diventa reale soltanto quando comprendiamo che quella parte è parte di tutto. Se noi non fossimo partiti dall’idea che c’è un sistema, un impianto da dove tutto parte non avremmo potuto comprendere delle parti rispetto al tutto. Prima si deve comprendere che la natura è un organismo vivente le cui parte sono funzionali al tutto e poi possiamo comprendere che il finito si realizza nell’infinito.
Come tutti i romantici anche Hegel ci tiene a sottolineare l’identità di finito infinito, questa identità è una sorta di percorso in fieri, a spirale, dove si evidenzia che il finito senza l’infinito non può essere una realtà, ma viceversa anche l’infinito non sarebbe conoscibile se non ci fosse il finito (Dio-uomo, Spirito-natura).
Il finito muovendosi si realizza nell’infinito, questo movimento dialettico a spirale è un processo di inveramento. Il processo a spirale è un processo di INVERAMENTO, deve raggiungere il vero che non si vede all’inizio del processo ma si vede alla fine, quindi quando l’intero si completo. Il vero è l’intero, e l’intero non si ha all’inizio ma alla fine del processo. Il finito diventa infinito, e vediamo l’infinitizzarsi solo alla fine (si pensi al feto che diventa uomo solo alla fine, ma è uomo in potenza da subito, si pensi al fiore che inizialmente è un bocciolo che ha in sé il seme del fiore). Il processo di inveramento è il processo dialettico che il finito fa per poter diventare infinito. Il finito è niente se non diventa infinito e l’infinito non è visibile e comprensibile se non attraverso al finito che deve percorrere quel processo. Il finito è reale solo in quanto è parte dell’infinito. Il finito è qualcosa di incompleto che si deve realizzare e si deve inverare, deve diventare vero nell’assoluto. L’assoluto non è come diceva Schelling, unità indifferenziata di spirito e natura, non c’è un’unità indifferenziata, c’è un processo in fieri, dialettico che porta il finito a diventare infinito, a realizzarsi. Aristotele avrebbe detto è in potenza ciò che poi diventa atto. Se non ci fosse questo processo tutto sarebbe monco, e quindi non sarebbe reale. Il vero vuol dire reale.
In che rapporto sarà il reale con l’ideale? L’infinito è ideale, perché è ciò a cui si aspira. L’ideale che è lo spirito, che è l’infinito e che è l’assoluto, è ciò a cui il reale aspira. Il reale aspira a diventare ideale. Allora se il reale può diventare vero solo se diviene ideale, allora tutto ciò che è reale, è ideale e tutto ciò che è ideale è reale.
Identità di ragione e realtà
Tutto ciò che è razionale è reale e tutto ciò che è reale è razionale. Il vero coincide con l’assoluto e coincide anche con l’infinito. L’ideale, lo spirito, l’infinito e l’assoluto sono la stessa cosa. Solo tutto questo è vero, ed è vero perché ciò a cui si aspira. É la fine di un processo di realizzazione. All’ideale si oppone il reale, il reale in quanto tale è finito e limitato e cosciente di sé. Ma questo reale non è senza l’ideale. Reale e ideale non diventano due opposti ma sono due realtà, due cifre che si completano a vicenda. Il reale si realizza nell’ideale , pertanto tutto ciò che è ideale deve coincidere con ciò che è reale e viceversa.
Ci deve essere questa duplice relazione, non è la stessa cosa dire l’uno nei confronti dell’altro. Perché dire che ciò che è razionale è reale vuol dire che la razionalità, il pensiero non è semplicemente qualcosa di astratto o un puro pensiero ma qualcosa che ha a che fare direttamente con la realtà e non essendo pura astrazione governa la realtà, è in diretto contatto con la realtà. Ciò che è nel mio pensiero corrisponde sempre e necessariamente a qualcosa di reale, tutto il resto è pura fantasia.
Ciò che è reale è razione, vuol dire che la realtà non è semplicemente caotica o pura materia, ma è qualcosa che viene formalizzata e acquisisce una forma e un’organizzazione. Chi da organizzazione e forma alla realtà, come aveva già detto Kant, è l’intelletto (nel caso di Hegel la nostra ragione). Quindi dando forma alla materia, mettendo ordine fa in modo che sia manifestata in modo che il nostro pensiero la possa cogliere così com’è. Esiste un caos della materia nel senso che la realtà deve essere colta, per Kant bisognava dare una forma, per Hegel bisogna crearla, dandole quella forma che è corrispondente al pensiero che noi di quella realtà abbiamo. Pertanto non esistono pensieri vuoti e non esistono realtà caotiche per essere colte da noi. Hegel non lo dice come Kant ma dice che: la ragione che è l’intelletto stesso e non c’è differenza tra l’uno e l’altro ha il compito di essere in stretta relazione della realtà perché non rimanga un pensiero astratto ma dà organicità alla realtà disordinata in modo tale che quella realtà venga creata dalla stessa ragione. Tutto ciò che è pensabile è reale, tutto ciò che esiste deve essere razionalizzato, dobbiamo poter dare una forma. Tutta la realtà viene dal nostro pensiero e dalla nostra ragione organizzata.
C’è identità tra la realtà e la razionalità. Qui c’è il superamento di Kant; per Kant essere e dover essere erano due identità diverse, per Hegel esser e dover essere coincidono. Il dover essere kantiano è conoscere le regole del nuoto senza saper nuotare, l’uno è il dover sapere e l’altro è il saper veramente; perché secondo Kant c’era una realtà non accessibile. Per Hegel non c’è una realtà non accessibile, non c’è la distinzione noumenico-fenoumenico. Dunque essere e dover essere coincidono, dove per dover essere si intende ciò che fa la ragione.
Affinché l’infinito possa diventare visibile si deve “finitizzare”, il finito non è vero se non quando raggiunge l’infinito.
"Il vero è l'intero. Ma l'intero è soltanto l'essenza
che si compie mediante il suo sviluppo.
Bisogna dire dell'assoluto che esso è
essenzialmente risultato,
che esso solo alla fine è ciò che è in verità."
Il vero è l’intero, il vero è nell’identità circolare dove tutto è compreso.
C’è la tesi, l’antitesi e la sintesi che corrispondono alla filosofia dell’idea, alla filosofia della natura e allo sviluppo dell’idea. L’intiero è soltanto l’essenza che si compie mediante il suo sviluppo. Noi dell’uomo consideriamo vero quella sua qualità spirituale, umanità che è in potenza e poi si realizza. L’essenza è quella che Protagora aveva indicato come la qualità che rende l’uomo uomo. C’è qualcosa che è nella natura di ognuno di questi elementi, che fa di loro qualcosa che li distingue da altri L’intero non è semplicemente tutte le parti che costituiscono il corpo ma ciò che è identificativo di quel corpo piuttosto che di un altro.
Bisogna dire dell’assoluto che esso è essenzialmente risultato. L’assoluto non è ciò che è all’inizio, nasce prima l’idea (prima la gallina dell’uovo). L’assoluto non può essere tale se non alla fine del processo.
La coscienza individuale è chiamata a superare per gradi la sua costitutiva duplicità, cioè le opposizioni tra io e non io, soggetto e oggetto, per cui la coscienza avverte l’oggetto come altro da sé.
Affinché avvenga questo inveramento, il finito si deve necessariamente scontrare con l’altro da sé (il non-io). Come è possibile che la natura diventi spirito e l’io individuale diventi io universale? É necessaria quell’inquietudine di cui parlavano i Romantici che porta il finito a mettersi a confronto non solo con sé stesso ma con qualcosa che è diverso da sé, l’altro da sé. Ci deve essere necessariamente uno scontro, un confronto. Dopo lo scontro ci deve essere una “sintesi” che non cancella lo scontro perché l’io sarà sempre diverso dal non-io e deve mantenere la sua diversità. Nella sintesi deve esserci una sorta di superamento dell’uno nei confronti dell’altro. L’uno, pur mantenendo la sua identità, è riuscito a superarsi; l’io finito si è confrontato con il non-io finito entrambi si sono realizzati divenendo infiniti assoluti. É nello scontro che poi si verifica l’inveramento, non sarebbe il possibile l’essenza del vero se non ci fosse il confronto. La La ragione si confronta con la realtà per scoprire che non può fare a meno dell realtà e viceversa. La realtà è tutto parte di un unico assoluto, non a caso la triadicità in sei figure o momenti dello spirito, in realtà sono altrettanto figure o momenti. Ogni individuo ha il suo processo triassico ma ognuno di noi nel contesto in cui vive insieme procede ad un macro processo triadico, ma in realtà l’assoluto è uno.
I tre presupposti sono:
- il vero è l’intero
la verità non è sostanza ma è soggetto
Se fosse sostanza ci saremmo fermati a Spinoza, la realtà non è semplicemente quella che ci è data, ma è la realizzazione di quella realtà nel suo essere spirito. La totalità non è qualcosa di già dato, ma il risultato di un processo che coinvolge lo stesso soggetto. La ragione interviene sulla realtà, quella realtà che apparentemente ci è data, irrealtà è creata da noi, dal soggetto. Solo nell’interazione tra soggetto e oggetto si realizza la verità, quindi è il soggetto che rende vero l’oggetto, quindi in quel processo di inveramento che il tutto si realizza. Realtà che diviene.
Funzione giustificatrice della filosofia
Hegel dice che la filosofia deve giustificare la realtà. La filosofia è uno strumento che l’uomo utilizza per ragionare e darsi ragione delle cose. La filosofia tenta di dare risposte all’uomo. La domanda che Hegel si pone è: esiste una relazione tra l’idea e la realtà, tra il pensiero e la realtà, tra il soggetto e l’oggetto, tra la natura e lo spirito? La filosofia dà giustificazione di un rapporto, dice si esiste un rapporto tra la ragione e la realtà, tra il pensiero e la cosa che io penso. Inizialmente la filosofia dice soltanto che esige un rapporto, è un fatto di fatto, ls realtà non è staccata del pensiero. Prende coscienza al termine del processo, quando la realtà che si presenta in potenza diventa atto allora la filosofia potrà confermare quello che ha sostenuto all’inizio. Altrimenti rimarrebbe sempre il dubbio, ecco perché c’è bisogno di tesi,antitesi, sintesi. Perché se sapesse già non avrebbe bisogno di scontrarsi con qualcos’altro, o dimettersi in discussione. Mettersi in discussione è quel tormento ella Sensucht, dover andare continuamente oltre che deve essere superato in questa dialettica tesi, antitesi, sintesi. Dove la sintesi diventa tesi di una nuova antitesi. La sintesi coincide con la tesi.
Differenza tra il processo di conoscenza come l’ha presentato Kant e come l’ha presentato Hegel
Per Kant i giudizi servivano a organizzare la realtà, doveva essere un’applicazione degli schemi mentali a priori alla realtà, c’era un tentativo di applicare uno schema alla realtà, aveva trovato una strada attraverso l’io-penso che nel prendere coscienza di sé era anche cosciente del rapporto tra i pensieri e la realtà. C’è un tentativo di applicazione. Per Hegel non c’è bisogno di schemi e categorie, elementi a priori, perché parte dal presupposto che la realtà esiste perché può essere pensata e solo ciò che può essere pensato esiste, non c’è bisogno di uno schema mentale a priori ma semplicemente rendiamo atto che se lo vedo, se lo penso vuol dire che esiste. Il pensiero deve sempre corrispondere ad una realtà.
Fase giovanile: volge l’analisi sulla religione (leggi necessarie per poter avere un legame interiore con la divinità) e sulla politica (leggi necessarie affinché un uomo possa vivere in una società). Secondo Hegel non esiste una distinzione tra la politica e la religione perché la religione studia la dimensione interiore dell’individuo mentre la politica studia e si occupa della dimensione esteriore dell’individuo. Non sono l’una separabile all’altra, si occupano di ambiti differenti ma così come l’individuo non può essere solo interiorità o solo esteriorità allo stesso modo non è possibile comprendere la religione senza la politica. Una trasformazione interiore non può essere slegata da una trasformazione esteriore e quindi affinché ci sia un cambiamento nella società prima di tutto l’individuo deve cambiare interiormente. C’è una maturità interiore, quello che deve diventare un’ideologia politica, deve prima di tutto un’ideologia personale e individuale. Scrive delle opere a carattere religioso che però gli servono a capire la politica del contesto nel quale lui vive (800, periodo rivoluzionario, grandi cambiamenti anche negli stati, rivolte ecc).
Tra le figure più significative per il cambiamento dell’umanità c’è sicuramente quella di Gesù, è stato determinante nel cambiamento della società sia per chi ci crede sia per chi non ci crede. Il fatto che alcuni credono che Cristo sia venuto ha cambiato la concezione del tempo già per il fatto che si parla di a.C. e d.C. Ha rappresentato una scissione nel contesto individuale e umanitario.
“La vita di Gesù” “La positività della religione cristiana” “Lo spirito del cristianesimo e il suo destino”
Costante del cristianesimo come una vicenda importante nella vita dell’uomo. Hegel predilige il cristianesimo rispetto le altre religioni.
Nelle prime 2 opere (La vita di Gesù e La positività della religione cristiana) racconta tutte le vicende che hanno caratterizzato la vita di Gesù. Analizzando la figura di Cristo si sente vicino all’analisi che Kant ha fatto del cristianesimo (morale vicina a quella cristiana). E’ vicino a Kant nel senso che la morale Kantiana, che era la morale dell’interiorità (c’è un’adesione interiore alle leggi) coincide con ciò che pensa Hegel, la religione è interiore. Secondo Hegel, Kant ha sbagliato nel momento in cui ha detto che la morale oscilla tra la ragione e l’istinto perché l’uomo è lacerato dalla sua istintività e dunque per non dare ragione al proprio istinto segue una legge. Secondo Hegel la morale Kantiana è una sorta di “legalismo” laddove non ci dev’essere niente di legale nel rapporto tra uomo e Dio ma dev’essere semplicemente un rapporto di affinità che si crea a prescindere da una legge.
Riassume: Hegel parte dal presupposto che la religione è qualcosa d’interiore e dunque è un legale che si crea al di là delle leggi tra l’uomo e Dio; partendo da questo presupposto Hegel è vicino a Kant in quanto dice che la legge morale è qualcosa di interiore che non dipende da leggi esteriori. Tuttavia Hegel dice che Kant ha parlato di un dovere morale come di un dovere che è l’equilibrio tra la ragione e l’istinto. Secondo Hegel non si tratta semplicemente di un equilibrio quello che si viene a creare ma secondo lui Kant ha voluto dare al senso morale una legge (un senso di legalità) che secondo Hegel non può coincidere con il legame privo di regole che deve esserci tra l’uomo e Dio. L’equilibrio di cui parla Kant per Hegel è un prevalere della legalità sull’istintività.
Kant ha agito come quegli uomini di chiesa che dopo la morte di Cristo hanno costruito le chiese e hanno fatto della religione non un modo per vivere pienamente il messaggio di Cristo ma hanno costruito un apparato (chiesa) che si è staccato dal messaggio effettivo e quindi hanno costruito una sorta di setta. Cristiani contro non cristiani, quelli che credono contro quelli che non credono. Gesù invece ha voluto dare il messaggio dell’amore per tutti invece gli uomini hanno creato una sorta di setta. Kant ha creato una sorta di setta, Hegel si sente superiore perché ha superato l’equilibrio Kantiano. Hegel vuole sottolineare che il Cristianesimo ha portato una nuova legge che è la legge dell’amore, la legge della fratellanza e ciò è il messaggio anche politico della pace tra i popoli.
Nella terza opera (Lo spirito del cristianesimo e il suo destino) Hegel fa una descrizione molto precisa del passaggio tra l’ebraismo e il cristianesimo. Gli ebrei vedevano Dio come un Dio personale ma che sceglie un unico popolo, di un Dio che è anche molto autoritario (leggi che da a Mosè, non uccidere, non…), impone delle regole solo a quel popolo e dunque fa una scelta. Gli ebrei sentono questa scelta come un privilegio che è toccato a loro e quando la natura si ribella con le cavallette, con i maremoti e con le varie sciagure raccontate nell’Antico Testamento, ritengono che la natura si è ribellata nei loro confronti perché è gelosa del fatto che Dio abbia scelto proprio loro. Conseguentemente Hegel dice che gli Ebrei si sono staccati dalla natura perché l’hanno considerata matrigna e dunque hanno creato un rapporto sempre più stretto con Dio ma d’altra parte si sono anche staccati dagli altri uomini i quali hanno continuato ad avere un rapporto forte con la natura ed ecco perché si è creata quella inimicizia che dura da sempre tra gli ebrei e la natura, gli ebrei e il mondo (secondo questo pensiero Hegel ritiene che gli ebrei si siano andati a cercare le persecuzioni e questo suo pensiero ha sicuramente animato i regimi totalitaristi). La scissione è diventata sempre più grande quando, venuto Cristo, loro non l’hanno riconosciuto o perlomeno non hanno accettato l’idea che quell’uomo (Gesù) sia figlio di Dio. Gli ebrei non credono nel messaggio di amore e fratellanza che Dio ha voluto dare, ritengono che Dio abbia scelto loro e il messaggio d’amore sia solo per loro. Gli ebrei non hanno accettato che Gesù sia figlio di Dio. Il Cristianesimo fa una nuova proposta di Dio, viene visto non come un padre padrone che impone delle regole ma si propone come testimone e lo fa attraverso il figlio. Purtroppo però c’è stato un crudele destino del Cristianesimo: è stato male interpretato. Dopo Cristo gli uomini hanno cambiato l’idea di quello che è il vero messaggio Cristiano. I cristiani si sono sentiti superiori rispetto gli altri e si è creato la scissione tra chi è cristiano e chi non lo è, il destino delle religioni è quello di allontanarsi dal messaggio originale. Hegel sottolinea anche un altro aspetto: tra il cristianesimo e le antiche religioni greche c’è un rapporto di affinità molto stretto perché il pensiero etico greco si caratterizzava dal senso fortissimo dell’armonia, bellezza greca, senso dell’equilibrio, bellezza ideale e anche il Cristianesimo rappresenta proprio quest’armonia, tra l’astratto e il concreto. L’astratto è Dio e il concreto è l’uomo/Gesù. Legame tra ciò che era irraggiungibile a ciò che in realtà è raggiungibile. Tutto questo discorso verrà ripreso nella fenomenologia.
La fenomenologia dello Spirito
Quest’opera ha questo titolo perché riprende un concetto molto caro a Kant (fenomeno) e Hegel gli da lo stesso significato: il fenomeno era l’insieme di tutto ciò che è visibile, rappresentabile e conoscibile. La fenomenologia dello Spirito è quindi la manifestazione dello Spirito. Lo Spirito è il protagonista il quale attraverso dei momenti/figure si presenta e noi attraverso questi momenti ripercorriamo le fasi della vita di ogni singolo uomo e le macro frasi della vita dell’umanità, è un percorso storico. Viene considerato un romanzo di formazione, un romanzo è una storia che ha uno sfondo storico, un romanzo di formazione ha in più che le vicende dei protagonisti insegnano qualcosa, serve ad una formazione, a costruire un’identità. Lo spirito per poter rendere coscienza di sé deve attraversare delle tappe.
Lo spirito prende coscienza di se attraverso 6 tappe:
coscienza (tesi), autocoscienza (antitesi), ragione (sintesi),
spirito (tesi), religione (antitesi) e sapere assoluto (sintesi delle sintesi).
Anche il percorso che ci presenta Hegel è un percorso dialettico , c’è un confronto di tesi e antitesi.
La tesi è il primo momento, c’è un’astratta o teoria o parziale affermazione da parte dello Spirito, c’è una conoscenza parziale: l’in sé dello Spirito o l’idea in sé e per sé.
E’ un momento astratto. E’ un momento intellettivo. L’intelletto è astratto, statico ed è l’organo del finito.
E’ il momento dell’affermazione o momento astratto intellettuale. Lo Spirito si afferma come puro Spirito.
Nell’antitesi viene negato ciò che è stato affermato, è un momento concreto ed è definito negativo in quanto nega ciò che è stato affermato nella tesi, seppure parzialmente. Rappresenta ciò che è diverso dall’in sé e quindi è l’altro da sé, l’idea fuori di sé.
E’ un momento razionale. La ragione è concreta, dinamica ed è l’organo dell’infinito. Poiché infinto e finito coincidono, intelletto e ragione alla fine del processo sono uno parte dell’altro (secondo Hegel). L’intelletto rappresenta il guscio, la ragione è ciò che sta dentro.
E’ il momento della negazione dell’affermazione o momento negativo razionale.
La sintesi è una presa di coscienza della necessità della rapporto tesi-antitesi e quindi si un confronto tra l’in sé e l’altro da sé, c’è una piena consapevolezza di ciò che solo parzialmente si era affermato nella tesi e quindi è il per sé dello spirito, l’idea che ritorna in sé. E’ un’idea che aveva una parziale coscienza di sé, si è confrontato con ciò che era diverso da sé e finalmente è ritornato in sé. E’ un momento concreto.
E’ il momento della negazione della negazione dell’affermazione ovvero riaffermazione o momento positivo razionale.
Per Kant l’intelletto era l’organo della conoscenza, funzione attraverso il quale era possibile conoscere la realtà, la ragione è ciò che segnava il limite conoscitivo. Per Hegel la ragione è la funzione concreta e dinamica, quell’organo proprio dell’infinito.
Hegel elabora un sistema filosofico che applica alla tesi, antitesi e sintesi 3 momenti importanti.
Logica: momento attraverso il quale si studia logicamente l’idea in sé e per sé.
Filosofia della natura: studia il momento dell’antitesi ovvero l’idea fuori di sé.
Filosofia dello spirito: si sofferma a spiegare ciò che ci viene detto nella sintesi ovvero l’idea che ritorna in sé.
Coscienza (L’Io come oggetto) è la tesi, momento intellettivo astratto. Come una matriosca ha in suo interno una tesi, antitesi e sintesi. La coscienza è un processo triadico che ha 3 momenti: certezza sensibile, percezione, intelletto. Per avere consapevolezza di me devo cogliere l’oggetto.
Certezza sensibile (tesi). Quando noi dobbiamo cogliere la realtà delle cose che abbiamo di fronte, pensiamo che i sensi sono l’organo che ci permette più degli altri di cogliere la realtà. Mi illudo che attraverso i sensi io posso cogliere la realtà. Hegel dice che in verità attraverso i sensi stiamo cogliendo “QUESTO”, ciò che ci rimane attraverso i sensi è “Questa penna, Questo registro”.
Non è LA penna, IL registro. Affinché il “Questo” diventi qualcosa di reale e di concreto,
Percezione (antitesi): devo attivare la percezione che anti teticamente si pone contro i sensi che mi permettono di cogliere tutte le parti di cui la penna è costituita, avviene inconsapevolmente. Percepisco le parti oppure la penna? Questa penna è uno o molti?
Intelletto (sintesi): posso dire che la penna è tanti non con la percezione ma con l’intelletto. I sensi colgono i caos della materia, percepiamo che ogni punto costituisce una parte e l’intelletto organizza il tutto. I sensi colgono soltanto dettagli della realtà in maniera non certa quindi dobbiamo passare attraverso la percezione che ci fa cogliere le varie parti di un oggetto, c’è bisogno infine dell’intelletto.
Kant aveva detto che tutta la realtà conoscibile poteva essere colta attraverso sensi, intelletto e ragione. Kant dice che la realtà si conosce prima con i sensi, attraverso le categorie e con l’Io penso. Conosciamo prima una realtà caotica, le diamo forme e ne prendiamo coscienza. Allo stesso modo ha fatto Hegel passando dal “Questo” all’oggetto vero. I sensi colgono la realtà ma non hanno chiarezza della realtà, sanno che esiste qualcosa ma non sono sicuri di quel qualcosa.
Autocoscienza (L’altro come oggetto) è la sintesi, momento negativo razionale. Racconta delle fasi storiche realmente accadute e sono i momenti della: signoria e servitù, stoicismo e scetticismo, coscienza infelice. Ogni io prende coscienza di sé mettendosi a confronto con gli altri io.
Signoria e servitù (tesi). Durante il Medioevo la società era divisa secondo delle categorie: i signori e i servi. Rousseau ci disse che il giorno in cui qualcuno disse “Questo è mio”, gli altri gli diedero ragione e si creò la disuguaglianza tra ricchi e poveri. Il signore ha messo a repentaglio la sua vita (quando ha detto questo è mio), ha avuto il coraggio di sfidare gli altri per avere una posizione privilegiata. Lo schiavo è colui che si è accontentato, non ha voluto mettere alla prova ciò che aveva più caro. Storicamente il signore ha avuto più coraggio del servo. Il servo deve agire, lavorare e dunque impara anche a procurarsi quello che gli serve per la sua esistenza. Il signore disimpara quest’arte perché c’è qualcun altro che lo fa per lui. Il signore dunque diventa, paradossalmente, servo del servo perché dipende dal suo servo. Il servo non dipende più dal signore ma dal suo lavoro.
É un processo logico e non cronologico, si sviluppa in tappe. La coscienza si avvia a diventare autocoscienza.
AUTOCOSCIENZA
L’autocoscienza è il passaggio dall’oggetto al soggetto, consapevoli del fatto che la realtà che sta di fronte a noi può essere conoscibile, allora l’autocoscienza si concentra su di sé. Consapevole del fatto che non c’è una sola autocoscienza, ma che ci sono tante autocoscienze. Il rapporto dell’autocoscienza non è solo di fronte a se stessa, per comprendere se è in grado di conoscere ma è di fronte ad altre autocoscienze che a loro volta si sono messe di fronte all’oggetto consapevoli di poter conoscere ciò che hanno di fronte.
Ogni coscienza deve prendere consapevolezza di sé e lo fa mettendosi di fronte l’oggetto che deve conoscere, quell’oggetto che deve conoscere triadicamente lo concepisce attraverso quel passaggio che va dalla certezza sensibile alla percezione e all’intelletto. L’intelletto da alla coscienza la consapevolezza dell’oggetto, che non è tante parti ma che le parti costituiscono il tutto. La coscienza può conoscere l’oggetto e se lo può fare può essere cosciente di sé. per poter essere certa che il suo modo di conoscere è identico a quello delle altre coscienze, non deve più concentrarsi sull’oggetto, ma si concentra su se stessa. La coscienza diventa autocoscienza, si autoconosce, nell’autoconoscersi non solo sa attraverso la ragione, di poter prendere coscienza del soggetto che lei stessa è, ma prende consapevolezza che non esiste una sola autocoscienza ma ne esistono tante. Gli individui si confrontano consapevoli che possono conoscere tutti allo stesso modo.
L’autocoscienza è il momento dialettico per eccellenza, è il momento dell’antitesi. É il momento negativo razionale, è il momento in cui si nega ciò che è stato affermato, la ragione è concreta non è più l’intelletto astratto.
Tra le autocoscienze non si crea amore, non c’è un riconoscimento dell’altro attraverso un’affinità, non c’è un legame forte. Ma il riconoscimento dell’altro avviene attraverso uno scontro, attraverso un dialogo. Si mette a confronto e misura se stessa attraverso le altre autocoscienze e quindi c’è una lotta, è un fuoriuscire da noi per conoscere l’altro ma ogni altro esce da se stesso per conoscere l’altro ancora. C’è uno scontro, un confronto dialettico e forte.
Il primo momento è quello servo/padrone, il secondo stoicismo/scetticismo, il terzo momento è quello della coscienza infelice. Nell’autocoscienza c’è dunque una tesi, un’antitesi e una sintesi. Pertanto signoria/servitù è quello intellettivo razionale, proprio della tesi. L’affermazione. Quale delle autocoscienze deve affermarsi, quale deve prevalere sull’altra. Il secondo momento è quello negativo razionale, è il momento dialettico per eccellenza, l’opposizione forte. Negazione dell’affermazione. Si nega quello che è stato affermato nel primo momento. Il terzo momento è quello della sintesi è la riaffermazione di ciò che solo astrattamente era stato detto nella tesi. Negazione della negazione dell’affermazione.
Servo/padrone: Signoria e servitù sono due autocoscienze, ognuna con una propria identità. ma non si nasce signori e non si nasce servi, si diventa signori e si diventa servi, perché in questa autoaffermazione delle coscienze, c’è un cercare di essere qualcosa, affermando la propria soggettività. Ognuno mette a repentaglio la propria vita, c’è chi è più coraggioso e chi lo è meno. Il signore, così come disse Rousseau, è chi ebbe il coraggio di dire “questo è mio”, affermandosi di fronte agli altri, è stato legittimato a diventare signore perché ha avuto il coraggio che altri non hanno avuto. Quelli che non hanno avuto la forza di mettere a repentaglio la propria vita sono quelli che si sono adattati e si sono messi al servizio. Hanno preferito tutelare la propria vita, perdendo la loro libertà, mettendosi alle dipendenze di qualcun altro.
Ci sono tanti signori e tanti servi, ma tutti nello stesso rapporto. Il padrone e il servo non si amano, ma il signore ha bisogno del servo, come il servo ha bisogno del signore. C’è uno scontro continuo, c’è un accordo tacito (si pensi al Medioevo quando c’era il “Patto di fedeltà” del servo nei confronti del signore). Apparentemente chi ha messo in gioco la vita è superiore a chi non l’ha fatto.
Tuttavia, il servo lentamente diventa superiore al signore perché il signore che si adagia a questa condizione di signore disimpara qualunque arte. Oziosamente disimpara il lavoro e ha bisogno del servo perché senza il servo non potrebbe neanche mangiare. Pertanto, c’è un’inversione di ruoli. Il signore diventando dipendente del servo, si mette al servizio del servo e diventa lui stesso servo. Il servo che non dipende dal signore ma che può fare da sé perché si è esercitato nel lavoro, diventa signore del suo signore. Chi è servo diventa signore, chi è signore diventa servo.
Il servo si è messo al servizio e mettendosi al servizio la coscienza si autodisciplina e impara a vincere gli impulsi naturali, impara l’autocontrollo. Mettendosi al servizio, si sottopone alle regole, alla legge e risponde costantemente alla legge.
In che modo risponde alla legge? La legge per eccellenza è il lavoro, deve rispondere all’esigenza del lavoro. Quindi impara un’attività che è funzionale non solo alla sua esistenza ma anche a quella del signore. Il servo però non può smettere di lavorare perché il lavoro è funzionale a procurare il cibo necessario per la propria esistenza. Nell’ottica pensata da Hegel il lavoro che forgia di più e aiuto di più a comprendere il senso del lavoro è il lavoro manuale. Il lavoro diventa un valore, il lavoro è il valore di cui non si può fare a meno.
Il servo diventa schiavo del lavoro. Quel lavoro che gli ha dato la dignità perché gli ha permesso, paradossalmente, di diventare signore del suo signore; tuttavia l’ha messo in una nuova condizione di schiavitù. Il servo non dipende dal signore, tuttavia dipende dal lavoro.
Fa questo ragionamento per spiegare come le autocoscienze si sono affermate, è il momento intellettivo astratto, è il momento dell’affermazione. Il servo ha l’identità di servo, solo in un momento iniziale. Il servo è colui che è dipendente dal lavoro. Il signore è servo e continuerà a rimanere servo, perché non soltanto è servo del suo servo ma è servo anche del lavoro perché non sa fare e non ha la dignità di saper lavorare. “Smonta” il signore, gli toglie dignità.
Pertanto una volta che il servo prende coscienza della dignità del lavoro è ha consapevolezza che il lavoro è ciò da cui dipende, è necessario passare al secondo momento che è quello dello stoicismo/scetticismo.
Il momento signoria/servitù nella storia della critica hegeliana è il momento più importante nell’analisi della Fenomenologia dello Spirito, perché ha portato altri studiosi, non ultimo Carlo Marx a fare un’analisi critica.
Signoria e servitù nell’ottica marxiana è stato interpretato come il rapporto tra il proprietario della fabbrica e l’operaio. Il socialismo di Marx mette in evidenza che c’è una differenza tra le classi sociali e Marx propone di eliminare le classi, per dar vita ad una forma di comunismo. Nel contesto dell’800 e nello sviluppo della società di massa ci sono due classi sociali:
I proprietari della fabbrica
Gli operai
Il proprietario decide per l’operaio, l’operaio è semplicemente al servizio con una logica di esecuzione del lavoro come una catena di montaggio, e svolge delle funzioni senza avere la consapevolezza di quello che svolge. È al servizio del padrone, perché deve rispondere alle esigenze del padrone. Nella catena di montaggio, ognuno ha una sua funzione quindi c’è un sistema dove ognuno svolge sempre la stessa cosa; ma svolgendo la stessa attività sempre allo stesso modo, non c’è bisogno di pensare. Dunque, è anche al servizio di una macchina; sono incapaci di poter avere un’attività pensate e di poter prendere delle decisioni, quindi dipendono completamente dall’attività che svolgono, dal signore che comanda e non si conoscerà mai il prodotto finito perché vedo soltanto quello che faccio. Per Marx, il lavoro non dà dignità, il lavoro che dovrebbe darla, come dice Hegel, in realtà porta ad una situazione di alienati, di scissi con noi stessi; perché siamo operai, ma in realtà siamo al servizio di qualcosa.
Si parte dallo stesso presupposto, ci sono signori e ci sono servi - ci sono proprietari e ci sono operai nella fabbrica, il lavoro che dovrebbe essere ciò che dà dignità in realtà diventa ciò che toglie la dignità. Mentre per Hegel, l’alienazione (momento tra signore e servo) era semplicemente il momento dialettico ed era un momento necessario, per Marx l’alienazione assume una sfaccettatura negativa ed è la scissione dell’uomo con se stesso, che non si riconosce più con una propria dignità perché perde la caratteristica dell’uomo, diventa dipendete da tutti sempre. Non acquisirà mai una propria indipendenza, il servono continuerà a rimanere per tutta la sua esistenza servo, l’operaio rimarrà sempre operaio, senza capacità di slegarsi.
Aggiunge Marx, l’uomo è bestia laddove dovrebbe essere uomo, e uomo laddove dovrebbe essere bestia. Nel lavoro, laddove svolge la sua attività, dovrebbe essere un uomo.Dovrebbe distinguersi dalle bestie, per poter svolgere il suo lavoro tramite la sua capacità di scelta; in realtà nel luogo di lavoro è una bestia perché diventa un mero esecutore. In casa dove potrebbe essere una “bestia” , perché deve semplicemente sopperire le esigenze di mangiare, dormire, bere e rilassarsi; diventa uomo. Perché parzialmente acquisisce la sua dignità di uomo, può avere la capacità di pensare ma non ha né tempo, né voglia di mangiare e curare il proprio corpo. Quindi non soltanto è allineato perché dipendente da tutti ma è scisso da se stesso perché modifica il suo status. Sbaglia dove essere uomo e dove essere bestia. L’alienazione che doveva essere per Hegel qualcosa di positivo, per Marx assume un carattere negativo. Il lavoro che doveva essere dignitario, gli toglie la dignità così per come viene fatto.
La proposta di Hegel è quella di passare dalla condizione di servo, alla condizione di signore, quindi di non dipendere da nessuno.
Questo vale dal punto di vista filosofico, ma per Marx è una categoria sociale ed economica, il superamento di quell’alienazione può avvenire soltanto con una rivoluzione.
Si può passare da una condizione capitalistica alla condizione comunista, c’è la rivolta dei proletari. Quindi non una rivoluzione per Hegel, ma una rivoluzione per Marx.
Stoicismo/scetticismo
dalla condizione di schiavitù in dipendenza dal lavoro si deve passare a un processo stoico, che cronologicamente è avvenuto nel 4º secondo d.C. ed è il periodo successivo alla filosofia Aristotelica, che è il periodo della filosofia ellenistica.
Deve imparare a non dipendere da niente e da nessuno, diventando stoico. Gli stoici ci hanno insegnato che bisogna allontanarsi dalle passioni e a non dipendere da esse. Il lavoro è una passione, perché è quello che dà dignità all’uomo e l’uomo si appassiona al suo lavoro, lo stoico insegna a non dipendere da niente per diventare veramente liberi. Questo non significa che non si deve lavorare, ma che il lavoro deve essere fatto senza esserne dipendenti. Mentalmente, dobbiamo fare quello che facciamo senza che ciò diventi una dipendenza. L’essere dipendenti è il non poterne fare. Bisogna imparare anche a farne a meno, qualora la situazione ci porti a non avere quella condizione, diventando liberi, non dipendendo né dal signore, né dal lavoro. Il lavoro deve essere fatto non come un bisogno, non come una necessità, ma come un piacere. (É il lavoro che dipende da me, non io dal lavoro, realizzando la vera libertà.)
Gli stoici dicevano che non bisogna dipendere né dalle paure, né dai timori attraverso la prevenzione. Non si deve dipendere dalla felicità dei sensi. Per acquisire questa libertà devo negare il bisogno di qualcosa, devo riuscire a farne a meno.
Lo stoicismo significa imparare a diventare liberi, negando ciò da cui si dipende.
In questo percorso di non dipendere da niente, inevitabilmente si passa alla condizione dello scettico, il quale nega tutto ciò che trova perché ha dubbi su tutto. Nel suo percorso di trovare la libertà, l’autocoscienza scetticamente nega tutto ciò che lo limita, cerca e nega, cerca e nega.
Il punto al quale arrivava lo scettico è negare la sua stessa esistenza e sospende il giudizio, non c’è niente per il quale vale la pena ricercare. L’autocoscienza cerca e nega e alla fine nega anche se stessa, ma alla fine non è felice. Quindi la coscienza che era alla ricerca della sua libertà, si riduce ad essere coscienza infelice. La coscienza diventa infelice perché non trova nessun appagamento.
Coscienza infelice
Diventa coscienza infelice perché negando se stessa non trova più ragione della sua stessa esistenza e quindi non trova più ragione dell’obiettivo che doveva raggiungere, quindi trovare il legame tra il finito e l’infinito. Nella Fenomenologia dello spirito la coscienza deve raggiungere il sapere assoluto, quindi dal finito deve arrivare all’infinito. La libertà era quel senso di infinitezza che l’uomo raggiunge. Nel momento in cui la ricerca della libertà, diventa infelicità la coscienza deve dire a se stessa “io sono infelice”. Quindi si passa al terzo momento che è quello della sintesi. Momento della negazione della negazione dell’affermazione, siamo al momento razionale positivo, nonché momento della riflessione. Quello che era detto solo astrattamente adesso lo si dice con certezza. Hegel riprende il discorso relativo al legame che l’uomo ha con Dio, riprende tutti quei discorsi affrontati in età giovanile, che concernono lo sviluppo della religione ebraica e la religione cristiana. Affronta il legame tra l’uomo e Dio, per rivedere come dev’essere il legame tra il finito e l’infinito.
Dice che la coscienza è infelice perché si è creato un distacco molto forte tra la sua finitudine l’infinito, si è creato una distanza fortissima tra l’uomo e Dio, bisogna riavvicinarsi. Storicamente l’ha fatto attraverso la fede ebraica prima e la fede cristiana poi. La fede ebraica è una fede riferita solo ad un popolo e che non ha avuto un seguito positivo in quello che è il rapporto con Dio, anzi si è creata una distanza tra gli uomini. É con il cristianesimo che ci si riavvicina a Dio e insieme agli uomini, anche se si compie l’errore dopo la morte di Gesù, si crea nuovamente una distanza; perché ch non ha visto Gesù si trova nella stessa condizione di quei che hanno iniziato ad avere un rapporto con Dio prima che Dio mandasse il figlio. Si è creata una condizione di non conoscenza reale del rapporto che l’uomo deve avere con Dio.
I credenti per rapportarsi a Dio pregano, la coscienza infelice crede che per poter ritrovare la felicità deve mettersi in quest’atteggiamento di devozione. La devozione è proprio la preghiera, il richiamo a Dio che deve ricostruire un rapporto con Dio (brusio di campane e una calda nebulosità, un pensare musicale che non è ancora arrivato al concetto). La devozione è astratta, è un legame di fede. Si torna alla triadicità (devozione, fare, mortificazione dell’io).
Devozione: è il momento della tesi, momento astratto intellettivo, astrattamente siamo in contatto con lui attraverso la preghiera. Per ricominciare a trovare la felicità si prega. Dall’astratto si passa al concreto con il fare.
Fare: c’è una nuova rivalutazione del lavoro. Ogni agire della coscienza è fatto per Dio, si lavora per Dio, le buone azioni, le buone opere, è un fare per Dio. Non la sola preghiera come semplicemente dichiarazione di legame con Dio, ma tutta l’esistenza è protratta d un’azione che è per Dio (una sorta di preghiera agita). Riconosce il suo legame con Dio attraverso il lavoro.
Se fa tutto per Dio, non fa niente per sé; quindi tutto il suo agire è una sorta di mortificazione a sé.
Mortificazione a sé: Raggiunge il concetto e concretamente comprende Dio, soltanto quando si spoglia di sé stesso e fa tutto per Dio, ma facendo tutto per Dio e non dipendendo più da nessuno perché si è liberato dalla condizione propriamente umana. L’uomo, nel suo fare, crea qualcosa.Prendo coscienza che io sono creatore come lo è Dio, “io non dipendo più da nessuno”.
Quindi da autocoscienza infelice io divento RAGIONE che crea, nel mio mettermi in devota relazione con Dio prendo coscienza che io stesso sono Dio e come Dio posso creare e da autocoscienza diventa ragione - tutto ciò che è razionale è reale e tutto ciò che è reale è razionale-.
RAGIONE
Ogni autocoscienza che fa il suo lavoro produce, crea al pari di Dio; quindi l’autocoscienza non è più qualcosa di diverso di altro o di inferiore rispetto a Dio, ma l’autocoscienza è Dio stesso. Nel momento in cui l’autocoscienza prende consapevolezza di questo, si crea la prima delle sintesi. La ragione dà ragione di sé del fatto che tutto ciò che è reale è razionale e tutto ciò che è razionale è reale. Quindi dà ragione al secondo caposaldo della filosofia hegeliana, dando ragione alla funzione di creare la realtà quindi l’autocoscienza artefice delle cose che esistono, le cose esistono perché la ragione le ha create. Non può esistere miete che la ragione non abbia creato e tutto ciò che esiste può essere pensabile.
Si è nel momento della negazione della negazione, quindi della riaffermazione, si è nel momento positivo razionale. In che modo la ragione si sviluppa?
La ragione a sua volta per realizzare se stessa perché il vero è l’intero, procede per tappe di tesi, antitesi e sintesi.
Ragione che osserva (tesi) - ragione in sé- momento intellettivo astratto
Ragione attiva (antitesi) - ragione fuori di sé- momento negativo razionale
Individualità in sé e per sé (sintesi) - la ragione in sé e per sé- momento positivo razionale, intero della ragione nonché fine del processo
Ragione che osserva: anch’essa si divide triadicamente in:
Osservazione astratta della natura
Osservazione dell’autocoscienza nel suo rapporto con le leggi logiche e psicologiche della natura
Osservazione dell’autocoscienza in rapporto agli effetti che quell’osservazione determina
Osservazione astratta della natura: La ragione deve osservare perché è inquieta ha appena scoperto di creare la realtà e quindi di essere Dio stesso, in questo inquieto cercare deve cercare di affermare se stessa attraverso l’oggetto. Quindi per affermare sé osserva la natura, guarda l’oggetto altro da sé. Il momento storico di riferimento è il naturalismo del Rinascimento, ma richiama anche quel periodo antico della filosofia greca dei fisici pluralisti (Talete, Anassimando, Anassiméne, Eraclito, Empedocle, Anassagora, Democrito); tutti quelli che andavano alla ricerca dell’arché o del principio primo della natura, osservavano che cos’è che ha dato origine alla natura. I naturalisti si riappropriano di quel processo e con un’ottica nuova guardano la natura e le leggi della natura. C’è una pura osservazione. Dalla pura osservazione si passa al momento successivo.
Osservazione dell’autocoscienza nel suo rapporto con le leggi logiche e psicologiche della natura: La ragione si rende conto che esistono in natura delle leggi e le regole della natura sono in rapporto con l’ordine che è proprio della ragione stessa. C’è un legame tra l’individuo e la natura. Questo è dovuto al fatto che nel periodo hegeliano ci sono stati gli studi di Lavater di fisiognomica, e gli studi di Gall di frenologia. Gli studi di fisiognomica consistono nel fatto che secondo Lavater la costituzione e la fisionomia del nostro corpo determinerebbe anche il carattere di ognuno di noi. A seconda di come sono fatte le cose nella natura determinano un comportamento piuttosto che un altro.
Gall con la frenologia sostiene che non serve osservare tutto il corpo ma solo le fattezze del cranio e a seconda di come è fatto un cranio si può determinare il carattere. Già fisicamente da ragione di come noi siamo.
Osservazione dell’autocoscienza in rapporto agli effetti che quell’osservazione determina:Quando diciamo che l’autocoscienza si mette in rapporto con le leggi stiamo dicendo che la natura (l’oggetto che stiamo osservando) è dotato di leggi e regole che hanno una loro specificità e c’è un determinato effetto.
Osservando tutti o tratti e tutte le parti del corpo, consapevoli che ogni parte ha una sua funzione e quindi ha una sua specificità la ragione che osserva finisce per fissare l’attenzione, non su tutto l’oggetto ma solo su un dettaglio. Addirittura dice Hegel la natura si riduce ad un osso. Quindi del corpo ch osserva l’attenzione viene fermata su un dettaglio, sull’osso del cranio che è determinante di tutta la costituzione.
Dopo aver scoperto tutto questo non ha colmato la sua inquietudine, anzi è più confusa e della ragione che osserva sente il bisogno di attivarsi e passare antiteticamente alla sua dimensione fuori di sé, e quindi da una ragione che osserva si passa a una ragione che agisce. La natura non va solo contemplata ma va vissuta.
Ragione attiva: Si passa al momento negativo razionale, la ragione è attiva. La ragione non deve semplicemente contemplare. I vari studiosi e osservatori che nell’arco della storia della filosofia hanno osservato la natura sono insufficienti secondo Hegel a dare ragione del rapporto che esiste tra l’uomo e la natura stessa. Bisogna agire nella natura e con la natura, uscendo dalla dimensione puramente teorica che è propria dell’intelletto razionale che osserva astrattamente, parzialmente. I momenti della ragione attiva sono tre e sono:
Il piacere e la necessità
La legge del cuore e il delirio della presunzione
La virtù e il corso del mondo
Il piacere e la necessità: (testo pagina 489) Non basta più lo so studio teorico, non bastano semplicemente le leggi; hegel metaforicamente dice che “se io ho fame non guarda la mela ma la prendo e la mangio”. La natura si offre non per essere guardata ma per essere presa. Prendere la natura è un piacere, è una necessità uscire fuori dalla dimensione osservativa, per il piacere di prendere le cose. Il gettarsi della vita, il godere la vita è i “carpe diem”, sfruttare e vivere la vita pienamente per poterla godere. Il godimento è un piacere frutto della necessità di passare da una dimensione teorica a un momento attivo, di lasciare la scienza come pura contemplazione per attivarci. Il passaggio successivo sono le difficoltà che in questo passaggio si incontrano.
La legge del cuore e il delirio della presunzione: Nella ricerca del piacere e per tutto ciò che procura piacere da tutti i punti di vista, si crea una sorta di illusione, secondo la quale ognuno cerca il proprio piacere. Ogni ragione pensa di avere ragione e quindi vuole prendere tutto per sé, ma non esiste una sola ragione né un solo individuo che può godere perché tutti voglio godere. Quindi la legge del cuore non risponde a quel delirio e ha la presunzione di pensare che tutto è per sé, perché ognuno vuole per sé, quindi ognuno si illuderebbe del fatto che tutto è per sé. Quindi c’è una sorta di conflitto tra le varie ragioni e i vari cuori che entrano in conflitto perché si illudono del fatto che tutto è per ciascuno di loro. Pertanto si passa alla sintesi.
La virtù e il corso del mondo: per porre fine allo scontro si deve passare alla sintesi è il momento in cui si procede a limitare le proprie inclinazioni personali. Si prende coscienza razionalmente del fatto che esiste un comportamento corretto, un comportamento virtuoso e quindi ogni cuore deve lasciare spazi agli altri cuori (la mia libertà finisce dove comincia la tua). Quindi i fanatici come Robespierre e i vari rivoluzionari devono sedare i loro umori e porre fine alle loro scelte estrose. Bisogna seguire il corso del mondo quindi le leggi del mondo. La nostra legge, il delirio di presunzione di ciascuno di noi deve fare i conti con il corso degli eventi. Quindi l’essere e il dover essere devono coincidere, in questa logica secondo la quale bisogna trovare un equilibrio tra le parti. A questo punto la ragione che si è ripresa la ragione di sé e quindi ha preso consapevolezza che non è lei che detta le leggi ma che le sue leggi devono coincidere con quelle della natura, finalmente torna in sé. La sintesi è diventata tesi, ma è diventata tesi perché c’è questo passaggio triadico.
Individualità in sé e per sé: Arriva alla sintesi e ritrova se stessa, pura contemplatrice e attiva in questa lotta continua con tutte le altre autocoscienze e ritrova se stessa. Per ritrovare se stessa deve procedere secondo una dialettica tradisca:
Regno animale dello spirito
Ragione legislatrice
Ragione esaminatrice delle leggi
Regno animale dello spirito: Stiamo prendendo coscienza di come la ragione si muove, c’è una dimensione umana che si identifica con quella parte animalesca, istintiva dell’uomo; esiste anche nello spirito e per lo spirito un regno animale. un regno nel quale l’unica funzione dello spirito è quella di soddisfare i piaceri più bassi: mangiare, dormire, riposarsi e procrearsi. Il regno animale dello spirito racconta di questa dimensione dell’uomo che è impegnato a cercare quello che gli serve per vivere. Da questa dimensione puramente astratta si passa al secondo momento che è quello dell’antitesi.
Ragione legislatrice: è il momento in cui bisogna dare una regola ai vari istinti. Se gli uomini devono convivere bisogna che gli uomini trovino un accorso; i giusnaturalisti, Hobbes, Locke hanno detto tutti che bisogna passare da uno stato di natura ad uno stato civile. Gli uomini per poter vivere assieme devono darsi delle leggi, il momento in cui gli uomini si sono dati delle leggi è il momento in cui la ragione diventa legislatrice, cioè regolatrice. Cerca di darsi delle leggi a vantaggio di tutti, “Perdo parte dldl amai libertà per ottenere sicurezza”. Ci deve essere qualcuno che stabilisce se le regole sono giuste, Hobbes e Locke dicevano di cercare il legislatore, Rousseau diceva che c’è una sovranità popolare. Tutti in modi differenti hanno stabilito che ci deve essere qualcuno che è al di sopra delle parti, preferibilmente scelto dal popolo stabilisce se leggi sono corrette o meno, altrimenti uno si stabilirebbe le leggi ad personam. Dalla ragione legislatrice si passa ad una ragione esaminatrice delle leggi.
Ragione esaminatrice delle leggi: si passa ad una funzione della ragione che nega ciò che ha negato e quindi è positiva razionale che con intelligenza controlla che tutto sia regolato secondo un ordine. Ecco l’ordine del mondo, il corso del mondo, il mondo ha seguito un corso che rispetta le leggi che sono funzionali al bene di tutti. Quindi a questo punto la ragione è diventar individualità in sé e per sé. L’individuazione in sé e per sé è tale solo dopo aver proceduto per queste tappe.
Quindi quando si dice che dalla ragione attiva siamo arrivati all’individuazione in sé e per sé, e perché si è fatto tutto quel cammino.
Perché l’ha chiamato individuazione in sé e per sé? L’individuo afferma se stesso perché l’individuo giustifica anche la sua individualità nei confronti dell’altro, in sé e per sé (per dare giustificazione di sé nei confronti degli altri). Il corso individuale che procede insieme al corso collettivo significa che l’individuo non deve sapere semplicemente di sé astrattamente ma è consapevole di sé nel suo rapporto con l’altro, non conosce solo se stesso (quell’osso) ma si conosce completamente per tutti e che attivamente ognuno è in rapporto con l’altro seguendo delle leggi comuni per tutti.
La seconda parte triassica è spiegata sinteticamente, perché quello che accenna verrà spiegato meglio nell’Enciclopedia delle scienze e dello spirito.
SPIRITO
Quando la ragione raggiunge l’individuazione in sé e per sé, in realtà sta diventando spirito. Ha preso piena consapevolezza della sua essenza di ragione, è come se si fosse spiritualizzata capendo il “quid”. La ragione non è semplicemente qualcosa di materiale e che ha a che fare con ciò che crea, ma è lo spirito stesso, quindi l’energia, l’essenza che è presente in ogni cosa. Questo spirito è tesi di un nuovo processo. Lo spirito di cui si parla è quello dell’antica età greca, quindi il riferimento storico è all’accezione che i greci davano allo spirito, secondo il quale i greci erano accomunati dal fatto che non faceva distinzione tra la parte corporea e quella spirituale. C’è un’armonia tra la forma e la materia. Lo spirito era ciò che teneva uniti gli uomini tra di loro, in termini storici, lo spirito dei greci è il senso di politicità tra gli uomini. La polis greca era il sentimento di partecipazione nazionale di ciascuno ad una stessa comunità.
L’ideale politico è lo spirito che muove il pensiero greco, questa visione dei greci viene considerata come la tesi, e viene identificata come una categoria che noi indichiamo con: l’eticità, il primo momento dello spirito coincide con il senso etico che i greci avevano. Per i greci l’eticità era l’insieme dei comportamenti, necessari per tenere unita la comunità. Da questa dimensione in sé, si passa a quella fuori di sé.
É il momento storico in cui, i greci hanno preso contatto con gli altri popoli (romani), hanno unito la loro cultura con le altre eticità, quindi con le altre culture. I greci incontrano con le altre realtà, questo secondo momento è identificato da Hegel come momento della cultura. Lo spirito si estranea da sé per incontrare altri spiriti. Storicamente è il passaggio dalla civiltà greca antica alla civiltà moderna.
L’ultimo momento è la moralità. Oggi si considerano eticità e moralità come sinonimi, Hegel fa una distinzione. Chiama eticità il momento intellettivo astratto, il momento in cui non si è ancora consapevoli dello status di vita; la moralità è la presa di coscienza dello spirito di qual è lo status di vita (usi, costumi, tradizioni), è il momento positivo razionale. Lo spirito nostalgico dell’unità etica greca, dopo essersi incontrato con le altre culture vuole ritornare alla vecchia unità (c’è la sintesi, il ritorno in sé e per sé), dall’incontro con le altre culture, insieme si stabilisce un senso etico comune, e quindi un senso morale. Si esplica l’universalità del vivere civile. Da questa presa di coscienza lo spirito passa alla sua antitesi, quindi la religione.
RELIGIONE
La religione rappresenta il momento in cui la moralità si rappresenta attraverso le forme di fede, quindi attraverso le varie religioni. La religione è un modo di rappresentare lo spirito e raccontare come agisce lo spirito. Si passa dalla religione naturale, alla religione ebraica, e infine alla religione cristiana. Mette in evidenza che il cristianesimo è più completo rispetto alle altre fedi perché crea quel senso di unità che era proprio dell’eticità greca, dando ragione del senso vero dello spirito. Il cristianesimo rappresenta il massimo senso della dignità e quindi dell’infinito, quindi a quel punto il processo dello spirito si è completato, dalla coscienza si passa al sapere assoluto.
SAPERE ASSOLUTO
Una volta che si è preso coscienza di questo, lo spirito rappresentatosi attraverso le varie fedi è diventato sapere assoluto. C’è l’identificazione completa del finito con l’infinito e il processo è terminato. 10.33L’Enciclopedia delle scienze e dello spirito
Scrive l’Enciclopedia nel 1817 ed è l’altra grande opera di Hegel. É l’opera dove Hegel racconta com’è il suo sistema e com’è organizzato il suo sistema filosofico. Lo racconta attraverso una tripartizione.
Logica (tesi) -momento intellettivo astratto- soggetto
Filosofia della natura (antitesi) -momento negativo razionale- oggetto
Spirito (sintesi) -momento positivo razionale -relazione soggetto/oggetto-
La logica racconta della dimensione in sé, l’io in sé. La natura è l’io fuori di sé e lo spirito è l’io in sé e per sé.
III. Spirito
Lo spirito a sua volta secondo una logica triadica:
Momento soggettivo: è il momento della tesi, il momento in cui il soggetto si esplica nelle sue varie parti e funzioni e quindi è il momento astratto intellettivo (lo spirito in sé). Si afferma.
Momento oggettivo: è il momento dell’antitesi, è la parte “sovraindividuale”, quindi ciò che è al di là dell’individuo e quindi è ciò che concerne la società, l’insieme degli individui. É la società intesa, come sovrastrutture della società, regole che devono essere seguite da tutti. Tutto ciò che è società.
Spirito Assoluto: l’ultimo momento è quello della sintesi. Si tratta del sapere assoluto, lo spirito che sa di sé ed è consapevole di sé attraverso le varie forme dell’arte, della religione e della filosofia. Arte e religione sono rappresentazioni, entrambe astratte, l’unica realtà concreta e concettuale è la filosofia; che per Hegel è il pensiero più alto, in particolare quella idealistica.
Dall’individuo si passa alla filosofia. Il processo cronologicamente procede così, ma logicamente c’è prima la filosofia dell’individuo, c’è prima lo Stato dell’individuo. Gli individui si fondano sullo Stato e non gli individui a costruire le sovrastrutture, tutto ciò verrà contestato da Marx.
Momento soggettivo
Lo spirito soggettivo è il momento della tesi, astratto intellettivo si divide triadicamente:
Antropologia
Fenomenologia
Psicologia
Il soggetto si esplica nelle sue parti e nelle sue funzioni, l’individuo antropologicamente, quindi nella sua identità storica, fenomenologicamente così come appare e come si presenta e psicologicamente ciò che sente e ciò che percepisce.
Antropologia: Si parla della dimensione spirituale del soggetto, l’anima è scissa tra sé e l’oggetto (il proprio corpo); questa sua dimensione e relazione anima-corpo servono a far prendere coscienza lo spirito del fatto che ogni individuo ha un proprio sviluppo che consiste nel passaggio dall’infanzia, alla giovinezza e alla maturità (anch’esse tesi-antitesi-sintesi). Il momento dell’infanzia è il momento in cui pur sapendo di avere un corpo, non si ha la percezione chiara del proprio corpo. Il momento della giovinezza, presenta lo scontro, perché ognuno percepisce il proprio corpo come diverso dagli altri corpi. Lo scontro generazionale genitori-figli è necessario affinché i figli staccandosi dai genitori diventino maturi e acquisiscano una propria identità completa. Il soggetto diventa consapevole di sé e diventa maturo (vecchiaia). Antropologicamente l’individuo deve superare delle parti di sviluppo, c’è una storia di sviluppo dell’individuo.
Fenomenologia:L’individuo non si sviluppa solo nel rapporto io-corpo, ma c’è uno sviluppo dell’indiviso insieme alle altre individualità, si ripete ciò che Hegel aveva detto nella Fenomenologia dello spirito, è il passaggio dalla coscienza al sapere assoluto.
Psicologia: Da un punto di vista psicologico, c’è una triadicità:
Spirito teoretico: è la dimensione dello spirito che ha lo scopo di conoscere, teoricamente si deve avere una funzione conoscitiva di noi stessi e della realtà. Prendere coscienza da un punto di vista psicologico e sentimentale di noi e della realtà teoricamente e astrattamente, ma questo non basta.
Spirito pratico: C’è un’applicazione di ciò che conosciamo, bisogna sperimentare la felicità, l’amore, l’odio e tutti i sentimenti positivi e negativi che si provano nei confronti dell’altro. Dalla dimensione pratica si arriva alla libertà dello spirito.
Spirito libero: La libertà dello spirito non è quella di essere teoricamente libero ma di saper decidere cosa vuole e quindi si dà ragione della sua volontà. Lo spirito è uno spirito libero e ha una volontà libera, ha capacità di intendere e di volere.
E allora se l’uomo è libero, se lo spirito è libero può realizzare se stesso nel contesto sociale e quindi quelle che sono le istituzioni mettendosi alla prova nella dimensione oggettiva dello spirito.
Momento dello spirito
Lo spirito oggettivo si divide in:
Diritto astratto (tesi)
Moralità (antitesi)
Eticità (sintesi)
Si noti che c’è un’inversione di parti rispetto a quello che aveva detto nella Fenomenologia laddove aveva messo come tesi l’eticità e come sintesi la moralità. L’eticità è ultima e sintesi perché l’eticità rappresenterebbe lo stato etico per eccellenza, che secondo lui è sintesi e logicamente primo rispetto alla tesi. Il diritto è astratto perché indica il momento intellettivo astratto, cioè quella che è la legge la regola ma soltanto nella sua dimensione puramente astratta senza l’applicabilità che viene applicato nella moralità. Non si parte dal soggettivo all’oggettivo ma viceversa. Il diritto astratto è oggettivo, universale e valido per tutti. La moralità è la sfera soggettiva, l’eticità che è essa stessa oggettiva e universale.
Logica (sintesi), natura (antitesi), spirito (sintesi).
Lo Spirito si divide in:
soggettivo (tesi)
oggettivo (antitesi)
assoluto (sintesi).
Spirito oggettivo
E’ il momento dell’antitesi dove lo spirito si realizza nelle varie istituzioni, come lo spirito agisce. Si divide in:
DIRITTO ASTRATTO (tesi). Momento intellettivo astratto.
MORALITA’ (antitesi). Momento intellettivo astratto (prima e unica volta).
ETICITA’ (tesi). Razionale positivo.
DIRITTO ASTRATTO (sfera oggettiva). Il diritto deve garantire la libertà dell’individuo. Il diritto ha a che fare con la dimensione civile e quella penale e dunque deve stabilire le norme che regolamentano il vivere civile. Il diritto deve garantire a tutti la libertà, chi va oltre la libertà dev’essere punito. E’ astratto e non concreto perché indica il modello ideale di diritto, non è applicabile a un individuo specifico ma è applicabile a tutti. E’ la dimensione teorica della legge, è ciò che in teoria dovrebbe essere fatto da tutti. Vale nel tempo, nello spazio e per tutti. Teoricamente dovrebbe essere la cosa giusta, non ha un soggetto preciso di riferimento.
Affinché il diritto esista ci sono 3 condizioni:
- Proprietà (oggettivo): è esterna all’individuo ed è dunque oggettivo. Affinché si possa parlare di diritto dobbiamo considerare che il diritto è su un bene. E’ effettivo il diritto sulla proprietà solo quando gli altri lo riconoscono come tale. C’è la proprietà sulla libertà ovvero il riconoscimento della libertà che appartiene a ciascuno di noi.
- Contratto (soggettivo): C’è un contratto tra persone che hanno lo stesso diritto ma nel momento in cui si stabilisce c’è implicito il fatto che il contratto debba essere rispettato.
- Diritto contro il torto: se non rispetto il contratto devo essere punito. La pena è un diritto perché è implicito nel contratto stesso. Se punisco una persona non sto facendo un torto a nessuno, farei un torto se non lo punissi perché è la naturale conseguenza di chi non ha rispettato il contratto.
MORALITA’ (sfera soggettiva). E’ ancora un momento teorico. Ci spiega come il soggetto prende coscienza del diritto astratto, come l’individuo astrattamente prende consapevolezza di quello che è il diritto, come lo applica a se stesso sempre nella dimensione teorica. La moralità è un’insieme di comportamenti che vengono adottati da ciascuno di noi affinché ci si rispetti gli uni con gli altri. La moralità è quell’insieme di azioni che noi facciamo nel rispetto dell’altro, anche istintivamente. La morale è teorica perché è il soggetto che la pensa, è il pensiero dell’agire, come il soggetto pensa che debba essere un comportamento morale affinché si raggiunga il bene comune. Come il soggetto pensa di doversi realizzare nella società.
Ci sono degli atti necessari a realizzare il diritto astratto:
- Proponimento e responsabilità: proporsi di rispettare la legge, noi dobbiamo rispettare le leggi. La responsabilità consiste: nel momento in cui uno prende un impegno sai che lo devi rispettare. Teoricamente bisognerebbe rispettarlo.
- L’intenzione e il benessere: il proponimento diventa intenzione a livello pratico. Ci dev’essere un’intenzionalità. Non è detto che cerca sempre il comportamento giusto ma l’intenzione ci dev’essere sempre, l’intenzione di rispettare. L’intenzione ci richiama alla mente Kant nella Ragione Pratica quando parla dell’imperativo categorico dove dice che nonostante ci siano delle leggi da rispettare, quello che conta è l’intenzionalità. Nel momento in cui tu hai intenzione di rispettare il contratto, lo fai non solo per te ma lo fai per il benessere di tutti. I 2 soggetti devono pensare al bene comune.
- Il bene e la coscienza morale: si raggiunge il bene di tutti quelli che stabiliscono il contratto. La coscienza morale è quella comune consapevolezza di ciò che è bene per tutti e per ciascuno, non è semplicemente ciò che è bene per me teoricamente ma ciò che è veramente bene nella realizzazione pratica. Qua avviene il distacco con Kant il quale partiva dal presupposto che la legge morale sta dentro di noi e quindi non c’è bisogno di un’applicabilità della legge morale per il bene comune. Per Kant essere e dover essere erano 2 categorie differenti. Per Hegel essere e dover essere coincidono perché il bene comune coincide con la coscienza morale.
La moralità il senso comune del vivere insieme per il bene di tutti e di ciascuno.
ETICITA’. E’ a livello pratico e oggettivo perché indica la volontà del soggetto nel contesto in quale vive di quella che è la possibile realizzazione della libertà, come il soggetto si realizza nella società.
- Famiglia: è soggettivo. Matrimonio, patrimonio ed educazione dei figli. Affinché ci sia una famiglia ci devono essere un uomo e una donna che decidono di vivere insieme, si devono unire nel matrimonio. Nell’ottica di quest’unità spirituale si presuppone uomo e donna altrimenti non potremmo parlare di famiglia. Ci devono essere 2 persone che si sposano ma devono avere una casa, un patrimonio. Dall’unione deve nascere la famiglia e devono esserci figli e la loro educazione.
- Società civile: è oggettivo. Bisogni, giustizia e polizia e corporazioni. La famiglia si muove in un contesto sociale che è la società civile. Non è da intendersi come tante famiglie ma come le famiglie agiscono nel contesto civile. Lo Stato è primo rispetto i cittadini. I bisogni sono tutto ciò che serve all’uomo per vivere in un contesto sociale/civile, l’uomo deve soddisfare delle esigenze che vengono realizzate da delle categorie di persone: contadini, fabbricanti e commercianti, pubblici funzionari. La società civile affinché sia di diritto dev’essere una società nella quale si dividono i compiti. I contadini svolgono una funzione materiale. I fabbricanti elaborano la materia, hanno una funzione formale, danno forma al prodotto. I commercianti rivendono la materia. I pubblici funzionari svolgono funzioni pubbliche ma non svolgono attività di produzione e trasformazione del prodotto, quelli che Quesnay chiamava “parassiti della società”, non producono niente, svolgono una funzione universale, sono utili a tutti. La giustizia stabilisce che ognuno rispetti proprio compito, che il contadino faccia il contadino, che il commerciante faccia il commerciante ecc. Per evitare che ci sia un disordine nella società, ci devono essere delle leggi che regolano il diritto pubblico. Polizia e corporazioni si occupano di controllare la società civile, renderla sicura affinché la legge sia applicata e rispettata.
- Stato: è sintesi tra soggettività e oggettività. E’ l’insieme di tutte le famiglie, una sorta di grande famiglia.
Diritto statale interno, esterno, storia del mondo. Hegel dice che la storia è il “grande contenuto razionale”, tutto quello che noi sappiamo è l’insieme di quello che hanno fatto gli altri. La storia è fatta di grandi e piccoli personaggi, tutti sono importanti allo stesso modo. Il fine ultimo della storia è uguale a quello dello Spirito oggettivo che è quello di realizzarsi, lo Spirito si manifesta attraverso tutti gli individui passati nel tempo. La storia deve permettere allo Spirito di realizzarsi.
Lo Stato etico NON E’:
Liberale: la libertà dell’individuo non c’è perché è condizionata dal senso ideale di stato. L’individuo è libero di fare quello che lo stato vuole. Ha un suo spazio di pertinenza in cui è libero ma la sua libertà è condizionata dallo stato.
Democratico: affinché uno stato sia democratico ci dev’essere un popolo che decide.
Contrattualistico: i contrattualisti erano Rousseau, Locke e Hobbes. Tutti concordano con il fatto che si debba passare da uno stato naturale a uno civile. Il contratto era bilaterale. Per Hegel non dobbiamo passare da nessuno stato a un altro stato, non è uno stato dunque contrattualistico. Gli uomini non possono scegliere un sovrano e operare tutti insieme.
Giusnaturalistico: i giusnaturalisti erano Tommaso Moro, Grozio ecc, color che ammettevano l’esistenza di una ragione di natura che deve essere rispettata. Per Hegel non esiste una ragione di natura ma una ragione di stato.
Dispotico: lo Stato non esercita il suo potere con violenza ma sembra tutto naturale. I cittadini non si accorgono che lo stato decide per loro ma naturalmente pensano di fare quello che liberalmente devono fare. In realtà non sono liberi e neanche democratici.
Non ha una Costituzione formale: gli uomini non decidono le leggi, non stabiliscono le leggi.
Lo Stato etico E’:
Ha una costituzione materiale: gli uomini scrivono delle leggi che sono la conseguenza di un condizionamento del quale non si rendono conto, eseguono inconsciamente ciò che lo stato vuole.
Di diritto: è uno Stato che si fonda sul diritto astratto che presuppone l’intenzionalità, il rispetto della legge ecc.
3 poteri: legislativo, i rappresentati di una classe fanno le leggi. Governativo, i governanti devono far rispettare le leggi, hanno in mano il diritto contro il torto, devono punire. Principesco, tutto lo Stato deve convergere nella figura unica del principe che converge anche con la funzione che svolge. Stato e persona convergono nella stessa unità. (Stalin e lo stato, Hitler e lo stato). A partire dal principe tutto il resto si forgia.
Totalitario: lo diciamo noi secondo le analisi che facciamo.
Volontà divina, non è soggetto alla legge morale: lo Stato è esso stesso la legge morale. Essere e dover essere coincidono.
Non esiste diritto internazionale: non ci sono rapporti con altri Stati perché c’è solo uno Stato: la Germania!
La guerra preserva l’umanità dalla putredine della pace perpetua: la guerra è positiva, serve. Solo i migliori devono rimanere vivi.
Quando Schelling ha elaborato la teoria dello spirito, nella fase dell’antitesi ha parlato dell’attività dello spirito e parlava nel momento pratico di moralità, diritto e storia. C’è una certa analogia con la filosofa di Hegel nello sviluppo dello spirito oggettivo, perché si parla di diritto astratto, di moralità e di eticità ma quell’eticità e ciò che racconta dello storia dello spirito. Come Schelling, anche Hegel, mette in evidenza come dal diritto che è necessario si passa alla moralità che è libera, per trovare una sintesi nell’unione tra necessità e libertà.
SPIRITO ASSOLUTO (tesi)
Lo spirito assoluto è chiamato anche il vero, ciò che noi cogliamo alla fine del processo e quello che si andava ricercando. Quali sono i modi attraverso i quali lo spirito si rappresenta?
Si rappresenta attraverso
Arte
Religione
Filosofia
Arte e religione sono due forme di rappresentazione astratte, la filosofia è concreta, dunque è concettuale. La filosofia è il livello più alto del sapere assoluto perché si traduce in concetto. Con la filosofa si raggiunge il concetto, si riesce a capire l’essenza dello spirito. Attraverso l’arte e religione troviamo modi diversi di manifestarsi dello spirito ma non capiamo in maniera pregnante che cosa sia lo spirito. Solo una filosofia in particolare è in grado di cogliere l’essenza dello spirito e trovare ciò che concerne nella più alta dimensione. La filosofia in questione è l’idealismo.
ARTE: A sua volta ci sono diverse forme di arte: simbolica, classica, romantica. L’arte simbolica è la prima forma d’arte e non rappresenta le immagini, l’immagine è semplicemente stilizzata e ci sono le rappresentazioni attraverso i contorni ma non è evidente il contenuto. É la forma più astratta d’arte. L’arte classica è un’arte equilibrata, riconduce tutto all’ordine e alla misura, l’equilibrio è dato dalla forma e dal contenuto, c’è un’uguale rappresentazione nella parte formale e nel contenuto.
L’arte romantica è una sintesi tra le due, mantiene l’astrattezza proprio dell’arte simbolica ma anche l’equilibrio dell’arte classica. Le forme sono ben chiare e evidenti, non c’è incongruenza tra la forma e il contenuto, tuttavia poiché l’arte romantica ha portato una serie di esperienza dal punto di vista artistico, esistono diversi modi di rappresentare artisticamente il contenuto dello spirito, attraverso diversi di arte (architettura, musica, scultura), la molteplicità delle forme d’arte si realizza ricollegandosi al simbolismo (astrattezza), mentre l’ordine rappresenta l’arte classica. L’arte romantica è molteplice ma ordinata.
Attraverso l’arte si riesce a vedere lo spirito. L’arte permette di andare oltre se stesso, mettendo in una dimensione più alta. Tutte le forme d’arte cercano di rappresentare lo spirito. Essendo una dimensione astratta è difficile vederlo, ma lo si vede.
RELIGIONE: altro modo di rappresentare lo spirito è la religione, dalle religioni panteistiche, passando attraverso le religioni orientali, per arrivare alla religione ebraica e il cristianesimo, tutte le religioni hanno tentato di rappresentare in qualche modo lo spirito: quell’infinito che ogni fede tenta di esprimere a modo suo. Il panteismo rappresenta Dio attraverso la forza divina che è presente nella natura, teologia secondo la quale Dio è uno tutto con la natura. Questa dimensione è ancora astratta. Le religioni panteistiche (astratte più che mai) raccontano dello spirito, pensando all’energia presente nella natura. Nelle religioni orientali (taoismo, buddismo) rappresentano Dio come figure mitologiche che rappresentano la divinità, cercano di raffigurare Dio, ma non hanno l’idea di un Dio persona, trovano solamente delle rappresentazioni che raccontino della divinità, sono astratte ma meno rispetto alle altre.
Con l’ebraismo e il cristianesimo c’è la concretizzazione, che diventa reale con il cristianesimo perché Dio si fa uomo. Quello spirito che sembrava solo rappresentato, si concretizza. Ancora una volta, per Hegel il cristianesimo si mantiene fedele a quello che ha sempre detto: la religione più di tutte è in grado di raccontare cosa sia lo spirito. Dalla religione si passa alla filosofia.
FILOSOFIA: concretizza l’entità dello spirito. Attraverso la filosofia idealista, che racconta del passaggio finito-infinito si è ingrano di cogliere l’essenza stessa dello spirito. per la prima volta nella storia della filosofia, la filosofia è superiore alla teologia, a partire da Aristotele in poi o coincidevano, oppure la teologia era superiore ( filosofia ancella della teologia). L’unica filosofia che lo racconta in maniera premiante è l’idealismo, perché è la storia dell’avvento della realtà, verità, storia dell’inveramento.
Domande da interrogazione
- Chi era Hegel e quale ruolo ha avuto nella filosofia idealista?
- Quali sono i tre periodi principali della vita di Hegel e le loro caratteristiche?
- Qual è la critica di Hegel all'Illuminismo e a Kant?
- Come Hegel vede la Rivoluzione Francese e Napoleone?
- Quali sono i tre capisaldi della filosofia di Hegel?
Hegel era un filosofo tedesco, considerato la massima espressione dell'idealismo, che ha criticato e superato i difetti dei suoi predecessori come Fichte e Schelling.
I tre periodi principali sono: la giovinezza, dedicata alla religione; la maturità, in cui scrive le sue opere più importanti; e la vecchiaia, focalizzata sulla filosofia del diritto e della religione.
Hegel critica l'Illuminismo per la sua astrattezza e Kant per aver sviluppato una teoria della conoscenza distaccata dalla realtà, sostenendo che la ragione deve essere in grado di creare la realtà.
Hegel critica la Rivoluzione Francese per aver fallito nei suoi intenti, ma elogia Napoleone per aver dato alla Francia una nuova identità.
I tre capisaldi sono: la risoluzione del finito nell'infinito, l'identità di ragione e realtà, e la funzione giustificatrice della filosofia.