Concetti Chiave
- Hegel ha introdotto una visione della continuità tra natura e umanità, proponendo che ogni livello della realtà contenga e superi quello precedente, con l'uomo come fine del processo naturale.
- La concezione dialettica hegeliana descrive il progresso attraverso la tesi, antitesi e sintesi, applicabile a vari aspetti della realtà, come l'evoluzione storica e la filosofia.
- Hegel distingue tra Spirito soggettivo, oggettivo e assoluto, con l'individuo che realizza la sua vera natura solo identificandosi con la cultura e le istituzioni della sua epoca.
- La visione hegeliana dello Stato è quella di un'entità etica superiore all'individuo, giustificando le istituzioni esistenti come razionali e necessarie per l'ordine sociale.
- La filosofia di Hegel ha influenzato il pensiero successivo, con critiche di Marx e Adorno che evidenziano limiti nella conciliazione dialettica e la dimensione storico-sociale della realtà.
1.2 La concezione dialettica della realtà
1.3 Il sistema metafisico
1.4 Spirito soggettivo e Spirito oggettivo
1.5 I rapporti tra individuo e Spirito oggettivo
1.6 La concezione etica dello stato
Sicuramente il merito principale della filosofia di Hegel (1770 -1831) è rappresentato dal suo contributo all’elaborazione del nostro modo di concepire l’uomo, la società e la cultura.
Da questo punto di vista Hegel ha, innanzitutto, il merito di aver proposto una concezione per cui esiste una continuità tra la natura e ciò che è umano, ovvero l’individualità, le istituzioni sociali e la cultura che Hegel indica complessivamente come lo Spirito. Continuità che però non è ancora concepita su base evolutive (come la derivazione di un livello dall’altro), bensì legata al fatto che ogni grado della realtà risulta da quello sottostante, perché lo contiene ma contemporaneamente lo supera (così, ad esempio il livello biologico non deriva ma contiene quello chimico oppure l’uomo non deriva dall’animale ma lo contiene). Inoltre , per Hegel, l’uomo costituisce il fine dell’intero processo naturale. Si tratta di una visione finalistica che la scienza e la cultura contemporanea hanno rifiutato, ma rispetto alla visione tradizionale il fine non è concepito come voluto da un agente esterno, trascendente (tipo Dio), bensì è concepito come interno, immanente al tutto.
La continuità tra natura e uomo sta nel fatto che al livello della natura compare, con l’animale, la prima forma di individualità perché l’animale non si limita ad assimilare passivamente l’ambiente in quanto instaura con esso un rapporto attivo determinato dalla sua capacità d’azione. Capacità d’azione che nell’uomo diventa cosciente consentendo il comportamento libero e volontario che lo caratterizza.
Un altro aspetto della visione hegeliana che ha contribuito a formare il nostro modo di veder l’uomo è costituito dal fatto che l’uomo non è visto come qualcosa di statico, immutabile, come lo è nella visione creazionista, bensì come il frutto di un processo evolutivo, di un processo in divenire.
Processo evolutivo che si svolge nella storia delle istituzioni sociali, in primis lo stato, e della cultura e che il singolo individuo ripercorre come tappe della sua educazione, della sua crescita individuale.
Hegel ha sicuramente il merito di aver colto il nesso, che in seguito è diventato un nesso condiviso dalla coscienza contemporanea, tra istituzioni politico-sociali, cultura, storia e individuo, inoltre egli ha, come vedremo, indicato nella dialettica lo strumento per comprendere tale nesso e comunque i processi storici.
Prima di Hegel prevaleva una concezione astorica della cultura e delle istituzioni che erano viste come qualcosa che si manifestavano nel tempo, rimanendo valide in ogni tempo. Con Hegel si afferma invece una concezione secondo cui le istituzioni politico-sociali e la cultura sono una forma di attività collettiva che si manifesta nell’ambito di un determinato contesto storico mantenendo con esso uno stretto legame.
Ed è proprio la scoperta della dimensione collettiva a costituire l’ultimo importante contributo di Hegel alla cultura contemporanea.
Secondo Hegel lo Spirito ovvero, come si è detto, ciò che riguarda l’uomo, si struttura a tre livelli gerarchici: al primo livello vi è lo spirito soggettivo, costituito dalla dimensione individuale caratterizzata dal comportamento libero e volontario. Al secondo livello troviamo lo Spirito oggettivo che rappresenta la dimensione sovra individuale, collettiva la quale si realizza nella cultura e nelle istituzioni politico-sociali che regolano il comportamento libero e volontario dell’individuo mediante la moralità sociale (eticità nei termini di Hegel) i cui contenuti sono fissati e trasmessi dalla famiglia, dalla società civile e dallo stato. Infine il terzo livello è costituito dallo Spirito assoluto che si incarna nell’arte, nella religione e nella filosofia attraverso le quali avviene la completa e progressiva comprensione della razionalità della realtà.
L’importanza della dimensione collettiva è per Hegel determinata dalla constatazione che il singolo non è immaginabile come uomo, in quanto da solo non è completo. Per essere veramente tale l’uomo deve, infatti, identificarsi con ciò che l’umanità ha creato che si incarna nella cultura e nelle istituzioni politiche che l’umanità si è data nelle diverse epoche storiche e che rappresentano oggettivamente quello che l’uomo è in quell’epoca storica. Si comprende allora perchè secondo Hegel il singolo individuo deve assoggettarsi all’oggettività e all’universalità delle istituzioni e delle credenze della cultura di cui fa parte.
Secondo Hegel qualsiasi processo in divenire, e quindi qualsiasi evoluzione, qualsiasi processo storico, può essere compreso attraverso una concezione dialettica della realtà. Infatti, il passaggio da uno stadio meno evoluto a uno più evoluto avviene come superamento delle contraddizioni, delle negatività presenti e quindi come ricerca di un equilibrio migliore.
Tale passaggio è descrivibile utilizzando un ragionamento dialettico che pone in relazione tre elementi di cui il primo (tesi) costituisce l’affermazione di una determinata tesi, il secondo (antitesi) l’affermazione di una tesi che nega la precedente e il terzo (sintesi) la conciliazione del conflitto tra tesi e antitesi.
Lo schema dialettico può essere utilizzato per descrivere qualsiasi tipo di mutamento, ad esempio le dinamiche dell’innamoramento o la storia della filosofia.
Nell’innamoramento il primo stadio, la tesi nei termini hegeliani, è rappresentato dalla situazione precedente l’innamoramento in cui l’individuo vive se stesso come una personalità più o meno completa e autonoma, il secondo stadio, l’antitesi, è costituito, invece, dall’innamoramento vero e proprio in cui l’esperienza vissuta è costituita dall’annullamento della propria personalità in quello della persona amata, rappresentando una rottura dell’equilibrio precedente, infine, il terzo stadio, la sintesi, è costituito dall’arricchimento, attraverso l’esperienza dell’innamoramento, della personalità che grazie al processo di identificazione con l’altro ristabilisce un nuovo equilibrio migliore del precedente.
Per quanto riguarda la storia della filosofia, ad esempio, il dibattito sulla conoscenza nella filosofia moderna è rappresentabile come un processo dialettico in cui la posizione di Cartesio, il razionalismo e quindi il riconoscimento del primato della ragione su cui si fondano le nostre conoscenze, rappresenta la tesi; la posizione degli empiristi inglesi, secondo cui è l’esperienza l’unica fonte della conoscenza vera, negando la tesi rappresenta l’antitesi; infine, la posizione di Kant, secondo cui la scienza è il frutto dei dati dell’esperienza, come volevano gli empiristi, elaborati dalle nostre strutture mentali, come esigevano i razionalisti, rappresenta la sintesi che contiene ciò che prima appariva inconciliabile.
La dialettica costituisce, dunque, uno strumento del pensiero in grado di cogliere gli aspetti contradditori della realtà attraverso l’opposizione tesi e antitesi, di far risaltare il conflitto ma anche il suo superamento, attraverso la conciliazione degli opposti in una nuova unità.
Un buon esempio del modo in cui Hegel utilizza il metodo dialettico è costituito dall’analisi dell’instaurarsi del rapporto servo-padrone come momento fondativo delle relazioni sociali nel mondo antico.
Secondo Hegel, l’uomo acquista l’autocoscienza (coscienza di sé) solo nel rapporto con le altre autocoscienze in quanto solo queste sono in grado di dargli la certezza di essere tale. Infatti, ogni autocoscienza è continuamente obbligata a far esperienza, oltre che di se stessa, anche di come le altre autocoscienza la vedono, ovvero di ciò che significano per gli altri gli atti in cui essa tende a esprimersi.
Questo reciproco riconoscimento delle autocoscienze passa necessariamente, secondo Hegel, attraverso un momento di lotta e di sfida, ossia attraverso il conflitto fra le autoco¬scienze, determinato dal fatto che ciascuna autocoscienza tende ad appropriarsi in modo esclusivo degli oggetti per soddisfare i propri appetiti. Tale conflitto, nel quale ogni autocoscienza, pur di affermare la propria indipendenza, deve essere pronta a tutto, anche a rischiare la vita, non si conclude con la morte delle autocoscienze contendenti (poiché in tal caso sarebbe annullata l’in¬tera dialettica del riconoscimento), ma con il subordinarsi dell’una all’altra nel rapporto servo-signore. Il signore è colui che, pur di affermare la propria indipendenza, ha messo a repentaglio la propria vita, sino alla vittoria, mentre il servo è colui che, ad un certo punto, ha preferito la perdita della propria indipendenza, cioè la schiavitù, pur di avere salva la vita.
Tuttavia, argomenta Hegel con una penetrante analisi dialettica, la dinamica del rapporto servo-signore (che corrisponde al tipo di società del mondo antico) è destinata a mettere capo ad una paradossale inversione di ruoli. Infatti, il signore, che inizialmente appariva indipendente, nella misura in cui si limita a godere passivamente del lavoro altrui, finisce per rendersi dipendente dal servo. Invece, quest’ultimo, che inizialmente appariva dipendente, nella misura in cui padro¬neggia e trasforma le cose da cui il signore riceve il proprio sostentamento, finisce per rendersi indipendente. Costretto a compiere il lavoro che il padrone non compie il servo non solo diviene la figura dominante, essendo il solo a saper fare ciò di cui l’altro ha bisogno, ma nel servizio al signore impara a vincere i suoi impulsi naturali e con il lavoro si rende conto di saper dominare la natura e, trasformandola in un suo prodotto, di oggettivizzare in quel prodotto le proprie capacità e quindi il proprio essere uomo.
Liberata dalla dipendenza della natura, delle cose che ha imparato a dominare attraverso il lavoro, l’autocoscienza esprime questa sua libertà sotto forma di riflessioni, concezioni e programmi di tipo spirituale. Il produrre da lavoro puramente manuale si eleva al pensare trasformandosi in attività intellettuale(epoca storica: età ellenistica). Da questo momento in poi le esperienze più significative per l’autocoscienza, ovvero l’evoluzione storica dell’uomo, non avverranno più sul piano storico-sociale bensì su quello storico-culturale coincidendo con l’elaborazione delle visioni del mondo di ciascun periodo storico.
Hegel sintetizza in questo modo l’intero processo: “Come la signoria mostrava che la propria essenza è l’inverso di ciò che vuol essere (cioè si mostrava dipendente), così anche la servitù nel proprio compimento diventerà piuttosto il contrario di quel ch'essa è imme¬diatamente... e si volgerà nell’indipendenza vera”. Ovvero, pur schematizzando ma per farne risaltare lo schema dialettico: Tesi l’indipendenza del signore che si afferma con l’assoggettamento del servo, cosa che lo libera dal lavoro manuale. Antitesi la dipendenza dal servo che nega l’indipendenza del signore e la liberazione del servo attraverso il lavoro manuale. Sintesi affermazione dell’attività intellettuale come nuovo stadio formativo dell’umanità e come “indipendenza vera” dalle cose e dalla natura.
Pur evidenziando la presenza delle opposizioni, dei conflitti, della negatività, che sono senza dubbio reali, Hegel ritiene che sia sempre possibile una sintesi e quindi procedere verso stadi superiori; in tal modo caratterizza il suo modo di utilizzare la dialettica con un significato globalmente ottimistico. Infatti, secondo Hegel, l’antitesi ha una sua esistenza solo come momenti di passaggio, è destinata ad essere superata in una sintesi superiore che comunque valorizza gli aspetti contrastanti, perché riesce a conciliarli.
La visione dialettica della realtà, ossia della realtà come qualcosa frutto di un processo storico, costituita di elementi concatenati fra loro e mossa dalle opposizioni, costituisce per Marx uno dei maggiori meriti di Hegel; Marx, il cui pensiero si è formato in uno stretto confronto proprio con l’hegelismo che rappresentava la filosofia dominante in Germania, critica però, tra il resto, proprio questo prevalere della sintesi che dimentica che nella realtà fra gli opposti spesso non c’è sintesi ma solo lotta e esclusione, tant’è che nella lotta tra le classi sociali, in cui la società attuale e la classe egemone rappresentano il primo momento dialettico e la sua negazione, o antitesi, è rappresentata dalle classi sottomesse, non vi è sintesi ma solo lotta ed esclusione.
Nel Novecento Adorno, uno dei maggiori rappresentanti della scuola di Francoforte, ritenendo che il compito principale della filosofia consista nel criticare la realtà ha individuato nella dialettica negativa lo strumento per assolvere tale compito. La dialettica negativa di Adorno vuole essere un atteggiamento che non cerca di conciliare le contraddizioni della realtà presente finendo per giustificarla ma che al contrario ne svela le contraddizioni, ne mostra l’irrazionalità fermandosi appunto al momento negativo, ovvero l’antitesi.
La dialettica hegeliana ha, comunque, il merito di aver fortemente influenzato l’attuale modo di concepire lo sviluppo.
Un processo in sviluppo è inteso da Hegel come una serie di stadi ognuno dei quali è raggiunto superando le difficoltà, i conflitti, le contraddizioni del livello precedente. Il superamento della crisi di una determinata fase dello sviluppo diventa così il movente per stabilire nuove forme di organizzazione espressione di un livello superiore che mantiene le conquiste del livello inferiore.
Un tale concetto di sviluppo è oggi alla base dei concetti di evoluzione biologica, di sviluppo storico e di evoluzione psicologica. Infatti, l’evoluzione biologica è vista come determinata dalle difficoltà legate alla sopravvivenza che costringono la specie a cercare nuove forme di adattamento; lo sviluppo storico è, a sua volta, visto come il superamento dei conflitti, delle crisi sociali che spingono alla formazione di nuovi ordini sociali; infine, l’evoluzione psicologica viene considerata come dovuta ai conflitti emotivi o cognitivi che determinano l’individuo a ricercare nuove forme di equilibrio che richiedono il potenziamento delle proprie capacità.
L’uso ottimistico della dialettica è d’altronde in sintonia con un’altra convinzione che sorregge il pensiero hegeliano ovvero che la realtà sia razionale, anzi che realtà e razionalità coincidano, e che quindi compito della filosofia sia prendere atto di tale razionalità elaborando i concetti che ci consentono di comprenderla.
Si capisce allora l’atteggiamento giustificazionista di Hegel. Infatti, se la realtà è razionale questo significa, ad esempio, che in un determinato periodo storico, il quale costituisce una manifestazione della realtà, tutto ciò che di essenziale in esso si realizza, che coincide con la cultura e le istituzioni politiche di quell’epoca, deve essere giustificato, accettato così come si presenta, poiché essendo reale deve necessariamente essere anche razionale. Atteggiamento che sul piano politico si traduce in un’accettazione della società e delle istituzioni esistenti in quanto in esse si esprime la razionalità.
D’altronde la dialettica, per Hegel, costituisca non solo un modo di procedere della nostra ragione, del nostro pensiero per comprendere i processi storici ma anche il modo di essere della realtà. Infatti, è la realtà stessa ad essere contraddittoria, conflittuale ed a procedere attraverso il superamento di queste contraddizioni verso stadi superiori. Partendo da questa convinzione Hegel non solo utilizza il metodo dialettico per analizzare i processi storici inerenti l’uomo ma anche per elaborare un proprio sistema metafisico.
L’intera realtà, ovvero l’Assoluto per Hegel, costituisce quindi un processo in continuo divenire dialettico che richiede il superamento dei conflitti, per cui la storia come manifestarsi dell’Assoluto può essere caratterizzata da tre momenti: 1 - la struttura razionale della realtà indipendentemente dalla sua concreta realizzazione nel mondo che Hegel chiama l'Idea in sé e per sé (oggetto della Logica). 2 - l'alienazione della struttura razionale nel mondo naturale (materializzazione dell'Idea), la cui massima realizzazione è costituita dall’organismo animale in cui appaiono le prime forme di rapporto attivo con l'ambiente (oggetto della Filosofia della natura). 3 - con l'uomo si manifesta lo Spirito (spiritualizzazione della materia) . Nella cultura umana lo Spirito arriva alla comprensione della struttura razionale della realtà (oggetto della Filosofia dello spirito).
Lo Spirito è a sua volta un processo in divenire costituito dai tre stadi dialettici di cui abbiamo detto: Spirito soggettivo, Spirito oggettivo, spirito assoluto che con l’arte, la religione e la filosofia (altra triade dialettica) arriva alla piena comprensione della razionalità della realtà.
Il sistema metafisico hegeliano è apparso a Feuerbach, uno dei primi critici di Hegel, una razionalizzazione della visione teologica tradizionale secondo cui il mondo materiale è creato da Dio immateriale e Cristo e la religione riconducono il mondo a Dio. In esso, dunque, come nella religione ciò che è materiale, la natura e l’uomo, è derivato da ciò che è immateriale, l’Idea. Anche Marx, come vedremo, evidenzierà la necessità di ricapovolgere la dialettica hegeliano facendo dello Spirito, della cultura e delle istituzioni una conseguenza delle condizioni storiche e non viceversa, indicando il suo modo di procedere come “misticismo logico”.
Rispetto alla visione religiosa comunque nel sistema metafisico di Hegel non vi è un agente trascendentale e lo Spirito prelude sostanzialmente a ciò che Marx e gli antropologi contemporanei indicano come il processo di acculturazione-umanizzazione dell’uomo. In effetti, all’interno del suo sistema metafisico, che costituisce l’aspetto meno fecondo del suo pensiero, Hegel ha potuto così elaborare una serie di analisi e di concetti, nonché individuare una serie di problematiche legate alla dimensione collettiva della nostra esperienza che sono invece risultate profondamente feconde per la cultura contemporanea.
D’altronde occorre anche osservare che, se il sistema metafisico di Hegel non si è rivelato l’aspetto più fecondo del pensiero hegeliano, non così si può dire dello spirito sistemico indissolubilmente legato al pensiero dialettico. Tale pensiero infatti si fonda sulla convinzione che il singolo elemento possa trovare una sua spiegazione solo nell’intero, ovvero se inserito nel sistema di cui fa parte. Infatti, tesi e antitesi appaiono gli aspetti parziali di un’unità che li comprende proprio nella misura in cui non li nega ma li assume in un sistema.
Come abbiamo visto, all’interno della dimensione sovraindividuale (Spirito oggettivo in termini hegeliani), al cui interno si colloca l’esperienza dell’individuo (Spirito soggettivo), Hegel evidenzia il ruolo della cultura e delle istituzioni politiche sociali.
La cultura è intesa da Hegel come l’insieme delle conoscenze, teorie, mentalità, pregiudizi, valori e modelli di comportamento di una determinata epoca storica in cui si situano le esperienze, le conoscenze e i valori dei singoli individui.
La portata del cambiamento di prospettiva operata da Hegel si può comprendere se teniamo conto, ad esempio, che Cartesio, Locke, Hume e Kant, e con loro tutta la filosofia moderna, si erano posti il problema di come l’uomo, inteso come singolo, riesca a conoscere la realtà utilizzando l’esperienza e/o le strutture mentali, Hegel, invece, pone al centro delle sue riflessioni ciò che hanno prodotto i tentativi di rapportarsi con la realtà condotti in una determinata epoca, ovvero la cultura, la mentalità di quell’epoca.
In questo modo Hegel evidenzia come il nostro rapporto con la realtà non sia esclusivamente fondato sulle facoltà del singolo individuo, in quanto le nostre esperienze, le nostre conoscenze, i nostri valori appartengono a un insieme che non viene elaborato individualmente ma viene acquisito mediante il processo educativo e formativo.
Gli individui che appartengono ad una società interiorizzano un certo modo di vedere il mondo e di reagire alle situazioni esterne, per cui hanno valori e concezioni comuni. Infatti, in genere tutti gli individui appartenenti a una certa cultura considerano i valori in essa prevalenti anche come propri valori personali.
La cultura (conoscenze, teorie, mentalità) e la moralità (valori e comportamenti) non hanno, dunque, per Hegel una dimensione individuale bensì storica e collettiva , in questo senso egli parla di Spirito oggettivo, esse sussistono indipendentemente dagli individui, anzi li determinano e li formano.
Hartmann "Lo spirito oggettivo”
L'esistenza dello spirito oggettivo
Spirito oggettivo e individuo
Per quanto concerne l’altro modo di manifestarsi dello Spirito oggettivo, della dimensione collettiva, ovvero le istituzioni politico-sociali, esse sono individuate come ciò che regola il comportamento libero e volontario dell’individuo, per cui tali istituzioni hanno per Hegel un valore etico e non solo politico, incarnando nei loro atti e nei loro rappresentanti valori che se sono storici, perché relativi alla propria epoca, sono però oggettivi e comunque superiori a quelli di cui si può far portatore il singolo.
L’individuo può agire, regolando di conseguenza il suo comportamento, in tre diverse direzioni. Innanzitutto, può agire in vista del proprio piacere, in tal caso obbedisce a un punto di vista completamente soggettivo e comunque destinato al fallimento, in quanto il piacere non è indefinitamente soddisfabile.
Invece di cercare di trarre il massimo dalla realtà l’individuo può agire per imporre alla realtà dei propri valori (ad esempio l’uguaglianza sociale), ma poiché questi valori sono soggettivi saranno inevitabilmente portati a scontrasi con i valori fatti propri da altri (ad esempio la libertà dell’individuo) e a essere inevitabilmente sopraffatti dall’imporsi di valori oggettivi.
Infatti, il destino di chi agisce in nome dei propri valori soggettivi è riscontrabile, secondo Hegel, ad esempio nel destino dei giacobini francese che per moralizzare la Francia, ovvero adeguarla ai loro valori, uccisero il 50% dei francesi. Il destino di chi invece si fa portatore dei valori oggettivi della propria epoca è rappresentato invece da Napoleone che è colui che, agli occhi di Hegel, ristabilisce l’autorità dello stato, minacciata dai rivoluzionari, e con essa impone i valori oggettivi della propria epoca.
Agire per puro dovere (il dovere per il dovere), come voleva Kant, appare a Hegel impossibile, in quanto, per prima cosa, fondare la morale sulla ragione dell’individuo e pretendere che essa sia universale implica ridurre l’imperativo morale a un imperativo formale che ci dice come agire, ma non affronta il problema della determinazione concreta dei doveri (cosa dobbiamo fare). Inoltre, il puro dovere finisce inevitabilmente per portare con sé un conflitto tra il dover-essere ideale che indica e la realtà concreta dell’individuo che finisce per essere un ostacolo alla sua realizzazione.
Voler individuare nell’individuo il regolatore del proprio comportamento conduce o al fallimento o allo scontro con gli altri o a una morale ideale che risulta irrealizzabile, occorre quindi cercarlo in qualcosa di esterno all’individuo in una sfera ad esso superiore che Hegel chiama eticità.
I valori oggettivi, che Hegel identifica nell’eticità, sono quelli che costituiscono la morale collettiva, quindi i valori dominanti nella propria società, rappresentati e imposti all’individuo dalle istituzioni politiche-sociali. L’agire dell’individuo, il suo comportamento per essere morale deve, secondo Hegel, conciliarsi con l’eticità, dunque con i valori condivisi dalla società a cui l’individuo appartiene perché solo in questo modo si adegua a valori che sono oggettivi e universali diventando, contemporaneamente autenticamente uomo e cittadino, ovvero, membro a pieno diritto della comunità a cui appartiene.
Secondo Hegel, poiché la stessa struttura della società civile e le istituzioni dello stato si organizzano sulla base di questi valori comuni, non vi può essere contrasto tra i valori espressi dall’individuo e quelli espressi dalle istituzione o il problema della libertà personale poiché l’autentica individualità coincide con ciò che le istituzioni richiedono all’individuo.
L’oggettività, l’universalità e la razionalità dell’eticità, della morale collettiva, risiede nel fatto che essa non è il frutto dell’individuo bensì di quello che Hegel chiama lo spirito del popolo che si manifesta nei suoi valori, nelle sue abitudini, nella sua cultura, nelle sue leggi e si oggettivizza nelle istituzioni che operano nella vita sociale e politica.
È dunque la morale collettiva che si manifesta nelle concrete e storiche tradizioni e istituzioni di un popolo a dare un contenuto, a indicare i doveri particolari.
Perché questo riconoscimento della storicità della morale non comporti una relativizzazione della morale stessa, giustificata dal possibile proliferare di punti di vista etici disparati, corrispondenti ai diversi popoli, alle diverse culture, occorre però che la storia costituisca un percorso progressivo, unidirezionale che mira autonomamente, indipendentemente dai popoli, al raggiungimento del proprio fine.
Il fine della storia consiste nella realizzazione di concrete istituzioni statali in grado di esprimere in modo sempre più compiuto lo spirito del mondo, ovvero, il grado di civiltà dell’umanità. Grado di civiltà che dipende dalla misura in cui una società riesce a esprimere nelle sue istituzioni, costumi, comportamenti, valori sempre più razionali e universali che diventano condivisi da tutti.
La storia del mondo consiste, per Hegel, nel progressivo manifestarsi dello spirito del mondo, il popolo che esprime meglio, più adeguatamente lo spirito del mondo acquista un predomino su tutti gli altri ed è conseguentemente il popolo dominante, il popolo storico-mondiale che impone la sua forza, il suo diritto, le sue istituzioni e la sua cultura agli altri. Quando, a causa dell’inarrestabile sviluppo dello spirito del mondo, lo spirito di un popolo non è più in grado di esprimere nuove e più elevate forme di oggettivazione dello spirito del mondo il ruolo dominante passa a un altro popolo.
Sulla base di questi principi Hegel individua quattro fasi fondamentali del pro¬cesso storico, cioè quattro mondi storici. Questi mondi sono connessi dal significato unitario del processo storico, nel quale si manifesta progressivamente il carattere essenziale del¬lo spirito del mondo, cioè la libertà. Pertanto, nel mondo orientale, nel quale lo spirito non è ancora giunto alla coscienza della propria libertà, gli uomini non sanno di essere liberi: soltanto uno di loro è libero - il prin¬cipe, l’imperatore - ma anche questi, esercitando una libertà solo arbitraria e dispotica, non è libero come uomo. Nel mondo greco e nel mondo romano sorge pro¬gressivamente la coscienza della libertà: presso di loro alcuni sono liberi, altri sono schiavi. La coscienza della libertà dell’uomo in quanto tale, ancora mancante nei due mondi classici, si schiude invece nel mondo cristiano-germanico, nel quale il cri¬stianesimo, abbracciato e diffuso dalle nazioni germaniche, mostra il valore assolu¬to dell’umanità attraverso il dogma dell’incarnazione. Ciò non significa ancora che tutti gli uomini sono liberi, ma soltanto che si sa che l'uomo in generale è libero: la progressiva realizzazione di questa consapevolezza è la struttura portante della storia europea dall’avvento del cristianesimo sino alla storia del mondo germanico moderno. Infatti, la monarchia moderna, abolendo i privilegi dei nobili e pareggiando i diritti dei cittadini, fa libero l'uomo in quanto uomo. Questa libertà che viene rivendicata dall'uomo, e che accomuna gli individui nel riconoscimento della loro comune dignità, secondo Hegel si può realizzare soltanto nello “Stato etico”, che risolve l’individuo nel¬l’organismo universale della comunità, e non certo in uno Stato di tipo liberale, in cui il singolo pretenda di far valere il suo arbitrio ed i suoi bisogni particolari. Infatti, per Hegel, “il diritto, la morale, lo Stato, e solo essi sono la positiva realtà e soddisfazione della libertà. L'arbitrio del singolo non è libertà”.
Marx, che riconosce a Hegel il merito di aver scoperto la dimensione storico-collettiva dell’esperienza umana, ritiene però che essa non possa essere spiegata ricorrendo ancora a un’entità di tipo spirituale quale lo spirito oggettivo o lo spirito del mondo, che rappresenta il concretizzarsi nella storia dello spirito oggettivo. Per Marx nella concreta dinamica storica non si può pensare che le istituzioni siano il frutto di valori universali, perché sono le concrete condizioni storico-sociali a determinare le istituzioni stesse. Inoltre per Marx anche l’universalità dei valori etici di Hegel è contestabile in quanto è possibile che all’interno della società ci siano più concezioni antagoniste tra loro ( perché frutto dell’espressione di valori diversi) di cui si fanno portatrici classi sociali diverse.
Secondo Marx ,lo “stratagemma” di Hegel consiste nel fare delle realtà empiriche delle manifestazioni necessarie dello Spirito. Questo significa che invece di limitarsi a constatare, ad esempio, che in certi ordinamenti storici esiste la monarchia, Hegel afferma che lo Stato presuppone per forza una sovranità, la quale si incarna necessariamente nel monarca, che è la sovranità statale personificata. Inoltre, poiché ciò che è necessario, per Hegel, è anche razionale, egli deduce la piena logicità della monarchia, identificandola con la razionalità politica in atto.
Marx definisce questo procedimento “misticismo logico”, poiché in sua virtù le istituzioni, anziché comparire per ciò che di fatto sono, finiscono per essere allegorie o personificazioni di una realtà spirituale che se ne sta occultamente dietro di essi. .
Invece, secondo Hegel, la sacralità dell’eticità, come morale sociale, e delle istituzioni politiche che la trasmettono, in quanto manifestazioni non della volontà umana ma dello Spirito, è tale per cui ciò che esse sono costituisce anche ciò che debbono essere. Non è pensabile quindi contrapporre all’eticità e alle istituzioni esistenti dei loro modelli ideali, poiché in quanto reali sono necessariamente anche razionali, per questo motivo vanno accettati e giustificati così come si manifestano nella storia.
Questo atteggiamento fa di Hegel il filosofo della conservazione, poiché tutto ciò che si manifesta nella storia, e in primis le istituzioni statali, costituiscono una manifestazione della razionalità insita nello spirito del mondo, e di Marx il filosofo della rivoluzione, poiché le istituzioni sono il frutto di condizioni storiche sociali negative, in quanto invece di generalizzare la libertà dello spirito del mondo fondano lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e quindi vanno cambiate.
L’eticità è trasmessa all’individuo dalle istituzioni sociali che sono: la famiglia, la società civile, lo stato.
Nel suo sistema filosofico complessivo queste istituzioni sociali hanno tra di loro un rapporto dialettico. Nella famiglia il singolo si armonizza spontaneamente con il resto della famiglia, per cui il suo comportamento è ispirato spontaneamente dai valori del gruppo. Nella società civile, invece, gli individui si danno consapevolmente degli scopi che entrano in contrasto con quelli degli altri. L’unità spontanea tra singolo e gruppo, tipica della famiglia, negata dalla società, come luogo di scontro tra gli interessi particolari, viene riaffermata dallo stato in quanto quest’ultimo costituisce il “bene comune” per i cittadini.
In quanto si identifica con l’organo in grado di decidere il bene comune, lo stato può legittimamente assumere sia il compito di controllare ed amministrare la società, sia quello di imporre all’individuo la moralità sociale regolando in questo modo il comportamento libero e volontario dell’individuo.
Concezione questa che si fonda sul presupposto essenziale della superiorità dello stato sull’individuo. La priorità dello stato sull’individuo è dovuta al fatto che, per Hegel, non sono gli individui a fondare lo stato, ma lo stato a fondare gli individui, sia dal punto di vista storico-temporale (in quanto lo stato viene cronologicamente prima degli individui che già nascono al suo interno), sia dal punto di vista del valore in quanto lo stato è superiore agli individui esattamente come il tutto è superiore alle parti che lo compongono.
La famiglia costituisce la prima espressione dello spirito oggettivo e dell’eticità in quanto è ancora legata alla natura (attrazione sessuale) ma svolge una funzione etica, perché consente la trasmissione ai nuovi individui della morale collettiva.
Questa funzione socializzatrice e moralizzatrice della famiglia rimarrà centrale anche per i dibattiti successivi ma, mentre per Hegel l’unità tra singolo e gruppo famigliare rappresenta qualcosa di spontaneo e positivo, i dibattiti successivi tenderanno ad evidenziare le funzioni di condizionamento che la famiglia svolge nei confronti dell’individuo.
La modernità della visione di Hegel per quel che riguarda la società civile sta innanzitutto nell’aver per primo distinto tra stato e società civile. Per il giusnaturalismo, e quindi per la filosofia politica moderna sino alla fine del settecento, la nascita della società coincideva con la nascita dello stato e, comunque, sostanzialmente società e stato coincidevano. Questa distinzione è stata condivisa dalla cultura contemporanea ed è anch’essa alla base dei successivi dibattiti economici, sociologici, politici e ha trovato in Marx un singolare interprete che ha capovolto i rapporti tra stato e società. Infatti, mentre Hegel teorizza la superiorità dello stato sulla società civile vedendo nello stato la massima espressione dello spirito oggettivo, il bene comune, Marx vede nello stato un prodotto delle condizioni storico-sociali, ovvero di determinate forme di produzione e dei rapporti sociali che esse determinano, e quindi della società stessa.
D’altronde lo stesso Hegel aveva già intuito la centralità del lavoro per la società, infatti, egli riteneva che quest’ultima si organizzasse per e attraverso il lavoro che consente agli individui di soddisfare i propri bisogni mediante la produzione. La produzione in società imponendo la divisione del lavoro determina la struttura sociale che si articola attorno a tre classi sociali che, nella visione organicistica di Hegel, sono destinate a collaborare naturalmente come le diversi organi di un corpo .
La prima di queste classi è costituita dalla classe “naturale” degli agricoltori, che lavora i prodotti naturali della terra, la seconda è rappresentata, invece, dalla classe “formale” degli artigiani, degli operai, dei commercianti che danno forma ai prodotti naturali, l’ultima, infine, è la classe “universale” dei pubblici funzionari che si occupa degli interessi di tutti, universali, del bene comune. I pubblici funzionari svolgono le loro funzioni in parte già direttamente nella società e soprattutto, come vedremo, all’interno dello stato. All’interno della società civile essi amministrano la giustizia, risolvendo i conflitti tra privati, e attraverso la polizia li prevengono. Inoltre essi, attraverso le corporazioni, intervengono per organizzare il lavoro nei suoi diversi settori. L’organizzazione corporativa della società riveste agli occhi di Hegel una particolare importanza, in quanto consente all’individuo di uscire fuori dall’ottica dei suoi interessi particolari per cercare di accordarsi con gli interessi comuni della propria categoria, prefigurando, seppure in maniera imperfetta, il momento in cui, con lo stato, l’individuo deve sottomettersi agli interessi comuni di tutti i cittadini.
Dal punto di vista dell’individuo la società svolge un ruolo formativo a più vasto raggio in quanto la dimensione collettiva, che è costitutiva dell’individuo, gli viene trasmessa dalla società sia dalla cultura, attraverso cui assimila gli atteggiamenti mentali e i comportamenti collettivi propri della comunità umana, che dal lavoro che lo inserisce in una concreta rete di rapporti sociali.
Lo stato nel sistema hegeliano rappresenta il terzo elemento della triade dialettica che costituisce lo spirito oggettivo ed è quindi la sua massima espressione. Né l’individuo né la società sono in grado di autoregolarsi in quanto agiscono solo in vista dei loro interessi particolari e non del bene comune, anzi la società si costituisce come il luogo dei conflitti privati, invece, lo stato agisce, come la famiglia, in vista del bene comune, ma, a differenza della famiglia che agisce spontaneamente in vista del bene comune, lo stato lo persegue intenzionalmente. Di qui, come abbiamo già visto, la concezione etica dello stato che riconosce allo stesso il diritto di imporsi alla società e all’individuo.
Questa concezione etica dello stato giunge a una esplicita divinizzazione dello stato quando Hegel afferma che:”L’ingresso di Dio nel mondo è lo stato”.
Una concezione di questo genere si oppone radicalmente sia al giusnaturalismo, l’insieme di concetti elaborati dalla filosofia politica in età moderna, sia al pensiero politico che si andava organizzando nei primi decenni dell’ottocento attorno alle tradizioni liberale e democratica.
Per quanto riguarda il giusnaturalismo Hegel critica l’idea del contratto quale momento fondativo dello stato, in quanto un contratto farebbe dipendere lo stato dalla volontà arbitraria degli individui occultando il diritto supremo che esso detiene nei confronti dei cittadini. Rifiuta anche il concetto di legge naturale perché la legge naturale in quanto ispiratrice delle leggi dello stato risulterebbe esistente prima e oltre lo stato , mentre per lui lo stato è superiore alla legge, in quanto quest’ultima e uno strumento dello stato.
Lo Stato di Hegel, però, pur essendo assolutamente sovrano non è, per questo, uno Stato dispotico, ossia illegale, in quanto il filosofo tedesco, conformemente ad una tradizione che va da Hobbes a Rousseau, ritiene che lo Stato debba operare soltanto attraverso le leggi e nella forma delle leggi. E ciò in omaggio al principio secondo cui a governare non devono essere gli uomini, ma le leggi.
Questa concezione etica dello Stato, visto come incarnazione suprema della moralità sociale e del bene comune, si differenzia nettamente dal modello politico elaborato da autori come Locke, ossia dalla teoria liberale dello Stato come strumento volto a garantire politicamente l’indipendenza privata sotto forma di diritti degli individui. Infatti, dal punto di vista di Hegel, una teoria di questo tipo comporterebbe una confusione fra società civile e Stato, ovvero, una sorta di riduzione della Stato a semplice tutore dei particolarismi della società civile.
Lo Stato di Hegel si differenzia pure dal modello democratico, vale a dire, dalla concezione secondo cui la sovranità risiederebbe nel popolo. Infatti, per Hegel, il popolo al di fuori dello Stato è soltanto una moltitudine informe. A queste concezioni Hegel contrappone la teoria secondo cui la sovranità dello Stato deriva dallo Stato medesimo, il quale ha dunque in se stesso, e non al di fuori di sé, la propria ragion d'essere ed il proprio scopo. Il che equivale a dire che lo Stato non è fondato sugli individui, ma sull’idea di Stato, ossia sul concetto di un bene un iversale. La polemica anti-liberale ed anti-democratica di Hegel ha perciò, come suo presupposto teorico, la persuasione organicistica secondo cui non sono tanto gli individui a fondare lo Stato, ma lo Stato a fondare gli individui.
Coerentemente con la sua ottica storicistica, Hegel sostiene che la costituzione, cioè « l'organizzazione dello Stato», non è il frutto di una elucubrazione a tavolino, ma qualcosa che sgorga necessariamente dalla vita collettiva e storica di un popolo: «Ciò che si chiama fare una costituzione non è mai... accaduto nella storia; come non si è mai fatto un codice: una costituzioni si è soltanto svolta dallo spirito», «ogni popolo ha quindi la costituzione che gli è adeguata». Tant'è vero, esemplifica Hegel, che se si vuole imporre a priori una costituzione ad un popolo (come fece ad es. Napoleone con gli spagnoli) inevitabilmente si fallisce, anche se la costituzione proposta è senz'altro migliore di quella esistente.
Dal momento che, come abbiamo visto, Hegel ritiene che ciò che esiste sia il frutto di un processo razionale, retto dallo spirito oggettivo, egli identifica la miglior forma di stato nel modello di stato che andava affermandosi nei primi decenni dell’ottocento, vale a dire la monarchia costituzionale.
Nel modello hegeliano lo stato prevede una serie di poteri; distinti, ma non divisi. Tali poteri sono: il potere legislativo, governativo e principesco (manca, come si può notare, il potere giudiziario, in quanto l'amministrazione della giustizia fa parte della società civile).
I1potere legislativo consiste nel “potere di determinare e di stabilire l'universale”, attraverso le leggi. A tale potere concorre l’assemblea che rappresenta le classi sociali. Pur insistendo sull’importanza mediatrice dei ceti sociali, che occupano un posto intermedio tra il governo e gli individui, egli si mostra diffidente nei confronti del loro agire politico, ritenendo che questi, per loro natura, siano inclini a far valere gli interessi privati a spese dell'interesse generale. Inoltre, esplicitando ancora una volta la propria lontananza dal pensiero democratico, Hegel annovera fra le “storte e false” opinioni correnti, quella per cui “i deputati del popolo o magari il popolo debba intendere nel miglior modo quel che torni al suo meglio”, giungendo persino ad affermare che i membri del governo possono fare ciò che è meglio in quanto essi possiedono una profonda conoscenza degli affari dello Stato, mentre il popolo non sa ciò che vuole. Coerentemente con queste premesse, Hegel dichiara che l'assemblea dei ceti è soltanto una parte, quella meno determinante, del poter legislativo, poiché a quest'ultimo concorrono anche, in funzione preminente, gli altri due poteri di cui dobbiamo ancora parlare: quello governativo e quelle principesco.
Il potere governativo, o esecutivo, che comprende in sé i poteri giudiziari e di polizia operanti a livello di società civile, consiste nel mettere in atto in riferimento ai casi specifici, l’universalità delle leggi. A questo compito sono adibiti i funzionari dello Stato. Il potere del principe rappresenta l’incarnazione stessa dell’unità,dello stato, cioè il momento in cui la sovranità di quest’ultimo si concretizza in un’individualità reale, cui spetta la decisione ultima circa gli affari della collettività. Tuttavia, al di là dell’enfasi posta da Hegel sulla figura simbolo del monarca, la sua funzione sembra consistere,in ultima istanza, nel «dire sì, e mettere il puntino sull’i», per cui, il vero potere politico, nel modello costituzionale hegeliano, è il potere del governo. Vera classe politica sono i ministri e i pubblici funzionari
Come vita divina che si realizza nel mondo, lo stato non può trovare nelle leggi della morale un limite o un impedimento alla sua azione. Infatti, secondo Hegel, la giustificazione del comportamento di uno stato non può obbedire agli stessi principi a cui obbedisce il comportamento dell’individuo.
L’azione dello stato non conosce limiti nemmeno per quel che riguarda i rapporti con gli altri stati. Hegel, infatti, dichiara che non può esistere un organismo superiore in grado di regolare i rapporti tra stati e di risolvere i loro conflitti. Il solo giudice o arbitro è lo Spirito universale, cioè la Storia la quale ha come suo momento strutturale la guerra. Hegel attribuisce alla guerra non solo un carattere di necessità ed inevitabilità, allor¬quando non vi siano le condizioni per un accomodamento delle controversie fra Stati, ma anche un alto valore morale. Infatti, il filosofo tedesco, con un paragone famoso, sostiene che “il movimento dei venti preserva il mare dalla putredine, nella quale sarebbe ridotto da una quiete durevole”, così la guerra preserva i popoli dalla fossilizzazione alla quale li ridurrebbe una pace durevole o perpetua.
Alcuni filosofi del novecento, il cui il maggior rappresentante è sicuramente K. Popper, hanno scorto nello Hegel politico un “profeta del totalitarismo”. Tale tesi sostiene che i teorici delle dittature totalitarie, sia di destra (nazismo e fascismo) che di sinistra (stalinismo), hanno trovato nell’opera di Hegel alcune idee, una tipologia di concezione atta a giustificarne la politica. Fra le tesi hegeliane che sono state riprese dai teorici del totalitarismo possiamo innanzitutto ricordare la tesi della superiorità dello stato sull’individuo per cui quest’ultimo trova consistenza solo all’interno dello stato in cui supera i sui interessi particolari per giungere al bene comune, universale. Anche la tesi antidemocratica per cui lo Stato non ricava la sovranità da quella “moltitudine informe” che è il popolo, ma da se medesimo venne ampiamente riproposta dai teorici dei fascismi novecenteschi. Allo stesso mondo venne riproposta l’idea che la sovranità statale si incarni in una classe di funzionari dedita al pubblico bene. Classe che, come i filosofi che reggevano lo stato ideale di Platone, «pensa» e «sa quello che vuole», mentre il popolo «non sa quello che vuole» e risulta privo della possibilità di controllare dal basso, mediante istituzioni e procedure democratiche, i propri governanti
Un ulteriore spunto totalitario è rintracciabile nella teorizzazione della superiorità dello stato sulla società civile per cui lo Stato deve permeare tutte le manifestazioni della vita in comune, subordinando a sé ed alla propria organiz¬zazione globale l’insieme dei rapporti sociali.
Vennero fatte proprie dai teorici del totalitarismo anche l’idea della superiorità dello stato sulla morale, della non esistenza, al di sopra degli Stati, del diritto internazionale, della guerra come un inevitabile strumento di composizione dei conflitti tra stati e comunque del suo valore evolutivo, poiché premia i popoli forti.
Occorre comunque tener presente sia che le forme dello Stato hegeliano non sono puntualmente identiche alle forme dello Stato fascista o nazista, sia che le teorie di Hegel non sono puntualmente coincidenti con quelle fasciste, naziste o sovietiche. Infatti, per quanto concerne il primo punto, sappiamo ad esempio come lo Stato del filosofo tedesco, pur non essendo uno Stato di tipo liberal-democratico, era pur sempre uno Stato costituzionale e di diritto. Da questo punto di vista sembrano incarnare, meglio dello stato fascista, lo stato ideale di Hegel le forme statali assunte dalla Germania durante il cancellierato (1862- 90) di Bismark che portò all’affermazione di uno stato rappresentativo (in quanto il parlamento era eletto a suffragio universale avendo, però, uno scarso potere legislativo e nessun potere di controllo sul governo) ma molto autoritario, caratterizzato dall’ampiezza dei poteri, anche legislativi, del governo e dei funzionari che erano però più che i rappresentanti del bene comune, come voleva Hegel, l’espressione del blocco sociale dominante costituita dall’aristocrazia terriera, su cui tradizionalmente si fondava lo stato prussiano, e dalla borghesia industriale.
Analo¬gamente, per quanto riguarda il secondo punto, è risaputo come i principali teori¬ci del Terzo Reich abbiano esplicitamente sostenuto che l’entità più alta e decisiva non sia lo Stato, ma il Sangue, il Popolo, la Razza (in rapporto ai quali lo Stato decade da fine a mezzo). D’altronde gli ideologi della superiorità della razza ariana hanno a loro volta abbondantemente attinto a Hegel e alla sua identificazione dell’attuale popolo dominante, del popolo storico nei popoli germanici.
In ogni caso i punti citati prima dimostrano come la filosofia politica di Hegel, magari anche al di là delle specifiche posizioni di Hegel, abbia fornito molti concetti all’autolegittimazione dei regimi totalitari del novecento. In par¬ticolare, la filosofia statalistica del pensatore tedesco sarebbe servita a diffondere e a giustificare l’idea del primato assoluto del Collettivo (comunque inteso: lo Stato la Nazione la Razza la Classe il Partito ecc.) sull’individuale.
In ogni caso, emblematica, a proposito dell’utilizzo delle tesi hegeliano dai fautori dei regimi totalitari, è la voce “Dottrina del fascismo” redatta per l'Enciclopedia Treccani da G. Gentile, il maggiore dei teorici del fascismo italiano, e firmata da Mussolini. Voce in cui si legge tra l'altro: «Caposaldo della dottrina fascista è la concezione dello Stato della sua essenza, dei suoi compiti, della sua finalità. Per il fascismo lo Stato è un assoluto, davanti al quale gli individui e i gruppi sono il relativo. Individui e gruppi sono pensabili in quanto siano nello Stato. Lo Stato liberale non dirige il gioco e lo sviluppo materiale e spirituale della collettività, ma si limita a registrarne i risultati; lo Stato fascista ha una sua consapevolezza, una sua volontà, per questo si chiama Stato etico».
Domande da interrogazione
- Qual è il contributo principale della filosofia di Hegel alla concezione contemporanea dell'uomo, della società e della cultura?
- Come Hegel descrive il processo evolutivo dell'uomo e della società?
- In che modo Hegel utilizza la dialettica per comprendere i processi storici?
- Qual è il ruolo dello Spirito oggettivo nella filosofia di Hegel?
- Come Hegel concepisce l'etica dello stato e il rapporto tra individuo e istituzioni?
Hegel ha proposto una visione in cui esiste una continuità tra la natura e ciò che è umano, ovvero l'individualità, le istituzioni sociali e la cultura, che egli chiama complessivamente Spirito. Questa continuità non è evolutiva ma si basa sul fatto che ogni grado della realtà risulta da quello sottostante, contenendolo e superandolo.
Hegel vede l'uomo non come statico ma come il frutto di un processo evolutivo che si svolge nella storia delle istituzioni sociali e della cultura. Questo processo è ripercorso dal singolo individuo come tappe della sua educazione e crescita individuale.
Hegel utilizza la concezione dialettica della realtà per descrivere il passaggio da uno stadio meno evoluto a uno più evoluto come superamento delle contraddizioni. La dialettica si articola in tre elementi: tesi, antitesi e sintesi, che rappresentano rispettivamente l'affermazione, la negazione e la conciliazione di un conflitto.
Lo Spirito oggettivo rappresenta la dimensione sovraindividuale e collettiva che si realizza nella cultura e nelle istituzioni politico-sociali. Queste regolano il comportamento libero e volontario dell'individuo attraverso la moralità sociale, i cui contenuti sono trasmessi dalla famiglia, dalla società civile e dallo stato.
Hegel ritiene che l'individuo debba assoggettarsi all'oggettività e all'universalità delle istituzioni e delle credenze della cultura di cui fa parte. L'etica dello stato è vista come l'incarnazione dei valori oggettivi e universali che regolano il comportamento dell'individuo, rendendolo autenticamente uomo e cittadino.