Concetti Chiave
- Socrate era un pensatore greco che trascorse la maggior parte della sua vita ad Atene, dedicandosi all'arte "maieutica", il metodo di dialogo per far emergere la verità interiore.
- Rifiutò di partecipare attivamente alla politica, giustificandosi con l'influenza del suo "demone", una voce interiore della coscienza.
- Fu accusato di non credere negli dèi della città e di corrompere i giovani, e fu condannato a morte per avvelenamento con cicuta.
- Socrate è famoso per la sua filosofia del "sapere di non sapere", che enfatizza l'importanza dell'esame critico e del dialogo per la ricerca della verità.
- Nonostante non abbia scritto nulla, la sua filosofia è conosciuta attraverso le opere di Platone, Senofonte, Aristotele e la caricatura di Aristofane.
Indice
- Le origini di Socrate
- Le battaglie e la maieutica
- Responsabilità pubbliche e pericoli
- Accuse e condanna
- Il problema socratico
- Le fonti su Socrate
- Il sapere di non sapere
- La ricerca della verità
- Il dialogo filosofico
- L'ironia socratica
- La dottrina del bene
- La figura di Socrate
- La conoscenza e i sofisti
- Il sapere e la verità
- Il metodo socratico
- L'oracolo di Delfi
- Il processo e la condanna
- L'eredità di Socrate
Le origini di Socrate
Socrate è stato uno dei più grandi pensatori greci (Atene, 470 o 469-399 a.C.).
Figlio di uno scultore e di una levatrice, dovette godere di un certo benessere economico, come è provato dal fatto che passò tutta la sua vita trascurando qualunque interesse economico e dal fatto che combatté, eroicamente, come oplita, prendendo parte alle battaglie di Potidea nel 429, di Delio nel 424 e di Amfipoli del 422, nella prima fase della guerra del Peloponneso.Le battaglie e la maieutica
Furono queste, pare, le sole occasioni in cui il filosofo abbandonò la sua città , passando tutto il resto della vita a esercitare sui suoi concittadini quell'arte "maieutica" che la madre esercitava sui corpi. Quest'attività lo assorbì completamente, né egli volle mai, per proprie convinzioni filosofiche, prendere parte alla vita politica del suo tempo (Socrate si giustificava dicendo che tale attività era proibita dal suo "demone", cioè la personificazione in parte ironica, in parte seria, della voce della sua coscienza).
Responsabilità pubbliche e pericoli
Soltanto in due circostanze si trovò nella necessità di assumere responsabilità pubbliche: una volta, in regime democratico, quando, come Pritano, si contrappose alla condanna sommaria dei generali vittoriosi delle Arginuse (406 a. C.), incolpati di non aver raccolto i superstiti. La seconda volta, sotto i Trenta Tiranni, quando rifiutò di rendersi corresponsabile dell'assassinio politico di un certo Leonzio di Salamina. In entrambi i casi, Socrate corse un grave pericolo e si salvò solo per i cambiamenti politici che intervennero.
Accuse e condanna
Tale frattura tra il pensatore e la vita politica della città (a prescindere dal regime politico) si approfondì e divenne definitiva con il restaurato regime democratico: fu mossa contro di lui l'accusa di non credere negli dei della città e di corrompere i giovani. Riconosciuto colpevole, fu condannato a bere la cicuta. Platone , nel Critone e nel Fedone ha immortalato le fasi del processo, il rifiuto di Socrate di sottrarsi alla condanna e i suoi ultimi istanti, facendone il paradigma del modo in cui il pensatore affronta la morte per amore della giustizia e della propria coscienza.
Il problema socratico
Un fatto così incredibile, a prima vista così scorretto da apparire assurdo (tanto più se si pensa alla tendenza moderata e conciliatrice che, in generale, fu seguita dal regime che lo condannò), deve poter trovare la sua spiegazione, se non una vera e propria giustificazione, nei rapporti di Socrate con la sua città , vale a dire nelle sue convinzioni etico - politiche e, in una parola, nella sua filosofia.
Le fonti su Socrate
Ma proprio qui sta il problema: Socrate non ha scritto niente e tutto quello che conosciamo di lui, lo sappiamo da altri, principalmente da Platone, che ha fatto di Socrate il personaggio principale di quasi tutti i suoi dialoghi filosofici. Inoltre, abbiamo notizie del nostro filosofo riportate da Senofonte, il quale gli ha dedicato alcuni scritti, per esaltarne le virtù private, pubbliche e religiose; da Aristotele, che in certe indicazioni desumibili dalle sue opere tende a presentarlo come l'autore dei ragionamenti induttivi e della teoria della definizione, vale a dire della logica; e da Aristofane, che nelle Nuvole ne ha fatto una pungente e radicale caricatura, accomunandolo con i teoretici della nuova scienza e ai sofisti. Si tratta di presentazioni spesso divertenti in ogni modo non precisamente conciliabili, aggravate dalla diversità di tendenza riscontrabile fra gli immediati discepoli, i così chiamati "socratici minori". Si comprende allora come il "problema socratico" abbia affascinato le menti e stimolato le discussioni di storici e saggi dai tempi di Aristotele ai nostri giorni. Infatti, ogni età ha dato un'immagine ben precisa di Socrate passando dalle celebrazioni più accese (si pensi al Sancte Socrates, ora pro nobis di Erasmo da Rotterdam), alle svalutazioni più radicali: oscillazioni di fatto rese possibili dal criterio di mettere in risalto le differenze tra le fonti e di sceglierne una contro le altre. Onde si comprende pure come qualcuno sia arrivato alla conclusione che è impossibile raggiungere il Socrate "storico" e che ci è dato solo di conoscere la molteplicità delle leggende socratiche". Tuttavia un simile scetticismo è con ogni probabilità da scartare secondo quanto la critica storica e filologica è riuscita ad acquisire: la testimonianza di Aristotele dipende in sostanza da un'interpretazione di quel che dichiara Platone e dalle discussioni in seno all'Accademia. La testimonianza di Senofonte, ad eccezione dei primi due capitoli dei Memorabili, risale quasi certamente a un trentennio dopo la morte di Socrate e il suo autore non si fa certo apprezzare per intelligenza di problemi filosofici; nella testimonianza di Aristofane, infine, Socrate è un simbolo, anche se certi tratti dovevano renderlo riconoscibile. Non resta pertanto che Platone e più precisamente il Platone dei dialoghi " giovanili " o socratici ": certo si tratta, ancora una volta, di un Socrate "interpretato", ma un'interpretazione che implica pure un'adesione e una difesa ed è perciò attendibile storicamente. I discorsi che Platone mette in bocca a Socrate in tribunale e in prigione non possono essere invenzioni (molte persone li avevano ascoltati né ebbero mai ritrattazioni) e in tali discorsi è possibile rinvenire la filosofia di Socrate.
Il sapere di non sapere
Il filosofo ateniese prende parte a quello stesso soggettivismo tipico dei sofisti. Ognuno ritiene vero solo ciò che appare tale alla sua riflessione; Socrate medesimo dichiarava di lasciarsi persuadere solamente da quel ragionamento che gli apparisse il migliore dopo un adeguato esame critico. Tuttavia è proprio in tale esigenza di un adeguato esame critico che Socrate supera l'atteggiamento sofistico; giacché essa esclude che le opinioni altrui siano ritenute solo difficoltà da superare in qualunque maniera, e che coloro che le sostengono siano valutati solo come avversari da vincere in una gara oratoria o come inetti da affascinare con dei bei discorsi.
La ricerca della verità
Non si può in altre parole, essere certi della propria verità sino a quando non si sia confrontata con le verità altrui. Ecco, così, che accanto al diritto al rispetto del proprio punto di vista nasce il dovere di comprendere il punto di vista altrui: quel dovere di esaminare e di discutere, di dialogare che Socrate attuò per tutta la sua esistenza e che considerava il dovere supremo per l'essere umano e al tempo stesso vuol dire collaborare a una comune ricerca della verità .
Il dialogo filosofico
Socrate è certo che solo da un vero dialogo filosofico possono scaturire valori e verità comuni cioè universali; allo stesso tempo non ha la presunzione dogmatica di possedere già questi valori e verità . Egli sa solamente, in tal senso, di non sapere e proprio per questo motivo vuole ricercare, esaminare, discutere; e fronteggiare la sapienza apparente ma non reale dei suoi interlocutori.
L'ironia socratica
Il sapere di non sapere? diviene la forma più efficace dell'ironia socratica, che é dissimulatrice, né scherzosa, né ingannevole, bensì maieutica della propria ignoranza. Attorno a tale atteggiamento importantissimo si dispongono e prendono senso le altre dottrine che possiamo con maggior certezza attribuirgli.
La dottrina del bene
Prima di tutto quella per cui "nessuno fa il male volontariamente" cioè per il gusto di fare il male; ognuno agisce in funzione dei propri convincimenti e fa ciò che ritiene sia il bene per se stesso. Se fa il male, ciò é dovuto solamente al fatto che egli ignora quale sia il vero bene per lui, giacché, se lo conoscesse, la sua volontà e il suo desiderio ne sarebbero irresistibilmente attratti, non potendo il bene non presentarsi che come ciò che è massimamente preferibile. Tale motivo dell'attraenza del bene da un lato non è altro che la riaffermazione del dovere di comprendere e dall'altro è il fondamento della dottrina socratica dell'identità di scienza e di virtù, di consapevolezza e di azione, e della riduzione di tutte le virtù particolari a scienza del bene e del male in generale.
La figura di Socrate
Secondo Socrate è meglio subire che compiere le ingiustizie, infatti, con tale affermazione giustificò il suo fermo rifiuto a sottrarsi al processo e alla condanna. Per queste sue idee, per la sua coerenza con cui le tradusse in pratica, Socrate é sempre stato una delle figure centrali della storia del pensiero, un ideale di saggezza e di spirito critico, cui la coscienza dell'uomo non ha mai finito di richiamarsi.
La conoscenza e i sofisti
La fondamentale preoccupazione di Socrate fu di ricercare un sapere che fosse sicuro, una conoscenza che si potesse considerare valida e vera. Egli polemizzò con i sofisti, i quali proclamavano l'impossibilità di giungere a una qualsiasi verità , la filosofia pareva difatti caduta nel precipizio di un individualismo incapace, nell'empasse di un relativismo che non donava più nessun sostegno.
Il sapere e la verità
Socrate aveva l'intenzione invece di indagare l'occasione di una vera conoscenza, una conoscenza che potesse oltrepassare lo scetticismo dei sofisti. Egli pertanto, si è fatto interprete della volontà di rifondare la filosofia prendendo il via da piattaforme sicure. Socrate affermava spesso di non sapere cosa fosse la verità : "so di non sapere" (egli lo dichiarò persino al processo). All'apparenza pareva una specie di captatio benevolentiae, uno slogan ispirato all'umiltà , in verità voleva esprimere un qualche cosa di più dirompente.
Il metodo socratico
Socrate si era avveduto che attorno a lui, fra i saggi della sua epoca e fra le persone che incrociava nell'agorà , tutti erano sicuri di conoscere la verità . I sofisti, ad esempio, erano convinti di aver capito che la sola verità era l'incapacità di giungere a una verità , molti altri credevano di conoscere il significato di "azione giusta", ma in verità , incalzati da Socrate, si rendevano conto di non conoscerlo con esattezza. Socrate si è reso conto che tutti "credevano di sapere", invece lui dichiarava con convinzione di "sapere di non sapere". Con questo voleva dire che le probabili verità che si davano per certe e sulle quali la filosofia, la società e gli attori politici costruivano i loro principi, erano in realtà verità valide, la verità si doveva ancora raggiungere. Tutto questo era motivo di volubilità sociale e politica e fu capace di attrarre su di sé la satira e il disprezzo della società , e l'azione conseguente delle autorità politiche, tanto che fu condannato a morte per le sue idee. L'elemento principale ma altresì incredibile del pensiero socratico è l'ignoranza, innalzato a movente indispensabile del desiderio di conoscere. L'immagine del saggio secondo Socrate è del tutto differente a quella del sapientone, vale a dire del sofista. Le fonti storiche che ci sono giunte riferiscono di Socrate come una personalità animata da una grande sete di verità e di conoscere, che però parevano continuamente sottrarsi. Egli affermava di essersi persuaso a tal punto di non sapere, e di non ritenersi un dotto. Platone, nella sua opera ? ,ci viene descritto come egli abbia preso consapevolezza di ciò a partire da una particolare vicenda.
L'oracolo di Delfi
Un suo amico, Cherofonte, aveva domandato alla Pizia, la vestale dell'oracolo di Apollo a Delfi, chi fosse la persona più sapiente e lei rispose che era Socrate. Egli era a conoscenza del fatto di non essere il più dotto e perciò intendeva provare come l'oracolo si fosse sbagliato dialogando con quelli che erano noti alla collettività , per essere molto colti, in particolar modo gli attori politici. Ma al termine del raffronto, riferisce Socrate, questi, messi dinanzi alle proprie incoerenze (l'aporia socratica) e incapacità , si stupirono ed ebbero un senso di smarrimento, facendosi vedere per quello nella realtà erano: dei presuntuosi ignoranti che non erano al corrente di esserlo. «Allora capii, dice Socrate, che veramente io ero il più sapiente perché ero l'unico a sapere di non sapere, a sapere di essere ignorante. In seguito quegli uomini, che erano coloro che governavano la città , messi di fronte alla loro pochezza presero ad odiare Socrate». «Ecco perché ancora oggi io vo d'intorno investigando e ricercando... se ci sia alcuno... che io possa ritenere sapiente; e poiché sembrarmi che non ci sia nessuno, io vengo così in aiuto al dio dimostrando che sapiente non esiste nessuno». Egli pertanto "investigando e ricercando", conferma l'oracolo del dio, mostrando in questo modo l'insufficienza della classe politica dirigente. Da qui le accuse dei suoi rivali: egli avrebbe suscitato la contestazione giovanile insegnando con l'utilizzazione critica della ragione a rifiutare tutto quello che si vuole imporre per la forza della tradizione o per una valenza religiosa. Socrate in verità (sempre secondo la testimonianza di Platone) non intendeva per nulla contestare la religione tradizionale, né corrompere i giovani incitandoli alla sovversione. Il metodo socratico dell'elenchos è formato di domande e risposte che riguardano le definizioni o logoi (singolare logos), cercando di identificare le peculiarità generali condivise da varie istanze particolari. Poiché tale metodo punta ad estrarre le spiegazioni implicite nelle idee e convinzioni dell'interlocutore, o a sostenerlo nel rendere migliore la sua comprensione, fu chiamato metodo della maieutica. Aristotele assegnò a Socrate l'invenzione del metodo della definizione e induzione, che era vista come l'essenza del metodo scientifico. Inspiegabilmente tuttavia, Aristotele dichiarò anche che questo metodo non fosse idoneo all'etica. Socrate ha applicato il suo metodo all'esame dei concetti morali indispensabili del tempo, come ad esempio le virtù di pietà , saggezza, temperanza, coraggio, e giustizia. Attraverso tale esame sfidò le assunzioni sottintese nei convincimenti morali degli interlocutori, mettendone alla luce le incoerenze e le carenze, e creando in loro in maniera naturale la meraviglia e lo scombussolamento conosciuto come aporia. Per quanto concerne tali mancanze, Socrate da sempre proclamò la propria ignoranza, invece altri proseguirono nel ritenere di essere dotti. Socrate ribatté che, essendo cosciente della propria ignoranza, egli era più saggio di quelli che, essendo ignoranti, continuavano nel proclamare la propria conoscenza. La coscienza del sapere di non sapere? è una conoscenza e una verità lampante e indiscutibile, che fornisce la prova che la verità e la coscienza esistono e sono possibili. Socrate pose il sapere di non sapere? a principio di qualunque altra verità e conoscenza. Il nostro filosofo adoperò tale dichiarazione come fondamento dei propri incitamenti morali. Il pensatore greco riteneva che la fondamentale virtù fosse la cura della propria anima mediante la verità e conoscenza, che la ricchezza non conduce alla virtù, invece la virtù conduce alla ricchezza e ad ogni altra riconoscenza, sia all'individuo, sia allo stato, e che una vita senza indagine non valesse la pena di essere vissuta. Il filosofo ateniese riteneva pure che patire un torto fosse meglio che farlo. Ci si domandava come condurre alla luce la verità che qualunque individuo tiene chiusa nella propria coscienza? Socrate si considerava un ostetrico di anime (difatti, la maieutica è "arte dell'ostetricia"), il suo dovere non era tanto chiarire la verità (del resto egli "sapeva di non sapere"), quanto invece quello di sostenere l'interlocutore nel far uscire fuori la verità da sé, poiché ciascun singolo, come si è detto, viene a contatto con la verità nell'intimità non interposta della propria coscienza. Socrate si aggirava perciò per l'agorà a prima vista indifferente, ma competentemente e intelligentemente s'inseriva nei discorsi delle persone e faceva vedere loro come la maggior parte delle convinzioni che pensavano di avere fossero in verità mendaci o false, facendo vedere come in realtà non sapessero ancora di non sapere. Una volta privata delle immoralità la cattiva coscienza e dall'immodestia di sapere, Socrate cominciava a fare all'interlocutore una domanda, e ad ogni risposta prendeva spunto per farne una nuova, fino a quando tutti e due si attestavano su una verità condivisibile. Socrate non era tanto un messaggero di verità in sé, ma il messaggero di un procedimento attraverso il quale favorire il conseguimento della verità . Mediante la tecnica del dialogo e della dialettica, che era la forma che Platone utilizzava nelle sue medesime opere, Socrate era in grado di conseguire dall'interlocutore quel parto della verità che costituiva il significato ultimo della maieutica. Per la tanta serafica tenacia, che il pensatore Ateniese ostentò, giustamente gli fu dato lo pseudonimo di "tafano di Atene".
Il processo e la condanna
Il processo a Socrate ebbe luogo nel 399 a.C. e il pensatore ateniese lo affrontò a modo suo?. L'accusa era di deviare gli adoloscenti e di non credere agli dei. La votazione dei giurati fu a lui sfavorevole. Socrate affrontò i giudici ritenendo che invece di condannarlo la comunità avrebbe dovuto mantenerlo a spese della città . Tale affermazione ovviamente irritò tutti i presenti. Quando venne data lettura del verdetto, come riferisce Platone nel dialogo del Critone Socrate rifiutò di cedere agli inviti degli amici che volevano preparagli una fuga corrompendo le guardie carcerarie. Socrate non fuggirà alla sua condanna giacché «è meglio subire un'ingiustizia piuttosto che farla». Bevve la cicuta e morì, sembrando piuttosto sereno. Nel corso del processo affermò spiritosamente di sé: «Sono stato come un tafano, un insetto che punge un animale sonnacchioso». Poi, aggiunse un po' presuntuosamente: «Io sono stato l'insetto che vi ha tenuto svegli, se me ne vado, voi vi addormenterete e finirete nell'ottusità ».
L'eredità di Socrate
Considerando l'opera educativa di Socrate, pare misteriosa la sua condanna a morte. L'accusa, che come abbiamo visto fu d'irreligiosità e di corruzione dei giovani sembra non convincere. Infatti, egli nella concezione religiosa accoglie la tradizione e ammette il culto degli dei, anche se sceglie il monoteismo. Sul terreno del confronto politico egli è nemico della democrazia ateniese, della quale condanna i sistemi inconcepibili, come quello di affidare a sorte le cariche pubbliche, invece, egli è a favore della costituzione di un governo aristocratico retto dagli uomini migliori e capaci. Ma questi non possono essere elementi sufficienti per una sentenza di morte. Piuttosto lo spirito nuovo di Socrate non fu percepito dai suoi pubblici accusatori: l'indagine che si basa sugli approfondimenti e mai soddisfatta, il dubbio e la critica contro i nemici e i sistemi comuni e tradizionali di vita, la disapprovazione di una virtù meramente esteriore, si opponevano chiaramente ai metodi e alla concezione dell'antica civiltà greca e sradicavano le basi dell'autorità costituita, delle leggi, dei costumi. Per tale ragione l'insegnamento di Socrate fu giudicato colpevole, perché considerato causa di corruzione delle nuove generazioni. Il nostro filosofo, al contrario, si dichiarò incolpevole e benefattore dei concittadini e addirittura avanzò la pretesa del mantenimento a carico dello stato per i suoi meriti, che evidentemente, anche se riconosciuti, di certo non potevano essere premiati da parte di chi lo riteneva una pedina scomoda in grado scardinare l'intero sistema sociale che invece bisognava mantenere inalterato.
Domande da interrogazione
- Chi era Socrate e quale fu il suo contributo alla filosofia?
- Quali furono le circostanze che portarono alla condanna a morte di Socrate?
- In che modo Socrate si differenziava dai sofisti?
- Qual è il significato del "sapere di non sapere" secondo Socrate?
- Quali furono le principali critiche mosse a Socrate dai suoi contemporanei?
Socrate fu uno dei più grandi pensatori greci, noto per il suo metodo maieutico e per la sua ricerca della verità attraverso il dialogo critico. Non ha lasciato scritti, ma la sua filosofia è conosciuta attraverso i dialoghi di Platone e le testimonianze di altri autori.
Socrate fu accusato di non credere negli dei della città e di corrompere i giovani. Fu condannato a morte nel 399 a.C. e rifiutò di fuggire, sostenendo che è meglio subire un'ingiustizia piuttosto che commetterla.
Socrate si differenziava dai sofisti per la sua insistenza sull'importanza di un esame critico adeguato delle opinioni, rifiutando di considerare le opinioni altrui solo come difficoltà da superare. Credeva che il dialogo filosofico potesse portare a valori e verità universali.
Il "sapere di non sapere" è un principio fondamentale della filosofia socratica, che implica la consapevolezza della propria ignoranza e il desiderio di ricercare la verità. Socrate riteneva che questa consapevolezza fosse una forma di saggezza superiore.
Socrate fu criticato per il suo spirito critico e la sua indagine incessante, che mettevano in discussione le tradizioni e le autorità costituite. Fu accusato di corrompere i giovani e di minare le basi della società ateniese, portando alla sua condanna a morte.