Concetti Chiave
- Parmenide descrive l'essere come ingenerato e imperituro, sottolineando la sua natura infinita e atemporale.
- L'essere è uno e continuo, privo di divisione e molteplicità, poiché la differenza implica non-essere, che non può esistere.
- L'essere non può derivare né dal non-essere né da un altro essere, poiché è unico e atemporale, governato dalla giustizia cosmica.
- Il pensiero e il logos sono intrinsecamente legati all'essere, differenziandosi dall'opinione (doxa) che rappresenta l'apparenza ingannevole.
- Parmenide paragona l'essere a una sfera, simbolo di perfezione e omogeneità, priva di differenze interne o esterne.
Indice
La via della verità
“Su questa via ci sono segni indicatori assai numerosi” [vv. 2-3]
Parmenide afferma che sulla via della verità ci sono degli indicatori che suggeriscono cosa è l’essere.
[3] è ingenerato e imperituro
L'essere ingenerato e imperituro
Ingenerato significa che l’essere non ha origine, ossia non ha un inizio né una fine; non ha quindi limiti, perciò si deduce che l’essere è infinito.
Imperituro significa che non ha limiti temporali, perciò l’essere è eterno o atemporale. Da ciò si ricava che l’essere è infinito cronologicamente.
[4] è un intero nel suo insieme, immobile e senza fine
L'essere intero e immobile
Intero è completo, compiuto, perfetto, la cui espressione latina per facere indica fatto in modo completo. Immobile indica che è privo di tempo, non ha movimenti quantitativi e qualitativi: l’essere è infatti privo di traslazione.
Movimento quantitativo: l’oggettività.
Movimenti qualitativi:
− nascita (passaggio dal non essere all’essere)
− morte (passaggio dall’essere al non essere) movimenti radicali
− alterazione (passaggio da uno stato all’altro): è variabile da soggetto a soggetto, non è oggettivo − crescita/diminuzione
[6] è uno e continuo
L'essere uno e continuo
Continuo indica non divisibile; uno [unico] indica non molteplice.
Perché l’Essere non è divisibile?
Se l’essere fosse divisibile (=non continuo) allora ci dovrebbero essere parti dell’essere; ma per cogliere le varie parti è necessario che una differisca dall’altra, ossia ci deve essere una differenza. Ma la differenza, esprimibile come “A non è B”, ossia “A è non B”, è una modalità di non-essere: perciò, avendo supposto che il non-essere non è e non può in alcun modo essere, la differenza non può sussistere. Eliminando la differenza, vengono eliminate le parti, in quanto esse vengono a coincidere; perciò viene eliminata la divisibilità dell’essere, e ne consegue che l’essere è continuo.
Perché l’Essere non è molteplice?
Se l’essere fosse molteplice (=non uno, non unico) allora ci dovrebbero essere molti esseri; ma per cogliere i molti esseri è necessario che differiscano uno dall’altro, ossia ci deve essere una differenza. Ma la differenza, esprimibile come “A non è B”, ossia “A è non B”, è una modalità di non-essere: perciò, avendo supposto che il non-essere non è e non può in alcun modo essere, la differenza non può sussistere. Eliminando la differenza, vengono eliminati i molti esseri e quindi la molteplicità dell’essere; perciò l’essere è uno [unico].
L'origine dell'essere
“Quale origine, infatti, cercherai di esso?” [v.6]
Chiedersi quale origine ha l’essere è porsi una domanda retorica, in quanto ai vv. 3-6 Parmenide afferma che l’essere è ingenerato; tuttavia sottolinea il concetto analizzando le varie ipotesi:
[7] DAL NON-ESSERE NON TI CONCEDO NÉ DI DIRLO NÉ DI PENSARLO, PERCHÉ NON È POSSIBILE NÉ DIRE NÉ PENSARE CHE NON È L’essere non è generato dal non-essere in quanto il non-essere:
− non è: non ha realtà ontologica (dal greco to on, essere: ontologia, studio dell’essere)
− non si può pensare: non ha realtà logica
− non si può dire: non ha realtà linguistica (espressione verbale di un concetto) L’espressione latina Ex nihilo nihil fit sottolinea questo concetto: dal nulla viene nulla.
[12] e neppure dall’essere concederà la forza di una certezza che nasca da qualcosa che sia accanto ad esso
− se l’essere derivasse dall’essere allora di parlerebbe di esseri; ma l’essere è unico, quindi l’essere non può nascere dall’essere;
− se l’essere derivasse dall’essere, si parlerebbe di discendenza che implica tempo; ma l’essere è atemporale, quindi l’essere non può derivare dall’essere.
[14] né il nascere né il perire concesse a lui la giustizia, sciogliendolo dalle catene, ma saldamente lo tiene La Giustizia (Dike, Ananke), la Dea della giustizia cosmica, che governa il mondo secondo la legge cosmica, ossia che ordina il mondo (dal greco kosmos, ordine), ha sciolto l’essere dalle catene della necessità: l’espressione è non può non indica necessità (modalità atemporale della realtà, temporale).
[16] o “è” o “non è”
L’espressione indica che le possibilità sono o che l’essere è, o che l’essere non è, e non si da una terza possibilità, un medium (V, vel, o esclusiva). Ma visto che si è supposto che il non essere non è, allora l’essere non può non essere, perciò l’essere è.
[23] né c’è da qualche parte un di più che possa impedirgli di essere unito, né c’è un di meno
Essere unito in questo caso significa identico, ossia senza molteplicità perché è identico a se stesso; quindi Parmenide afferma che non c’è un qualcosa che possa far sì che ci sia una molteplicità di esseri, in quanto si introdurrebbe il non-essere, e non c’è nemmeno un qualcosa che possa far sì che ci sia il vuoto, ossia il nonessere.
Identico significa identico a se stesso; uguale significa uguale a qualcosa altro, che implica l’esistenza di una molteplicità e quindi di una differenza, la prima delle quali è la differenza di spazio. Il non-essere è il vuoto, l’essere non ha il vuoto, non è il vuoto, non ha spazio.
La compiutezza, perfezione dell’essere
[26] nei limiti di grandi legami è senza un principio e senza una fine
L’unica costrizione dell’essere è la necessità, ossia il fatto di essere atemporale.
L’essere, oltre a non avere una fine, non ha nemmeno un fine: infatti l’essere è finito, compiuto, perfetto, che significa che è fatto in modo completo, e di conseguenza, essendo fatto in modo completo non ha scopo, non ha un fine.
[32] necessità inflessibile lo tiene nei legami del limite, che lo rinserra tutt’intorno, poiché è stabilito che l’essere non sia senza compimento: infatti non manca di nulla; se, invece, lo fosse, mancherebbe di tutto. Necessità indica Ananke, Dike, la Giustizia, ovvero ciò da cui non ci si può sottrarre.
L’espressione legami del limite in cui l’essere è rinserrato tutt’intorno allude alla perfezione, ossia al fatto che l’essere è fatto in modo completo.
È stabilito che l’essere non sia senza compimento significa che la Necessità ha fatto si che l’essere non potesse non essere finito nel senso di compiuto; quindi viene sottolineato ancora il concetto che l’essere è perfetto. Infatti non manca di nulla significa ancora che l’essere non ha un fine, in quanto se mancasse di qualcosa tenderebbe a avere quel qualcosa e quindi avrebbe uno scopo (=avere quella determinata cosa).
Se, invece, lo fosse, mancherebbe di tutto: se l’essere mancasse di qualcosa, allora ci sarebbe il vuoto (= il non-essere), impossibile.
“Nient’altro o è o sarà all’infuori dell’essere” [vv. 36-37]
Parmenide mostra come senza l’essere nulla possa esistere, e quindi che l’essere è necessario.
[34] lo stesso è il pensare e ciò a causa del quale è il pensiero, perché senza l’essere nel quale è espresso, non troverai il pensare
L’essere è contenuto nel pensiero: si ha il principio di identità dell’essere per cui l’essere è causa del logos, il pensiero.
Piano ontologico (l’essere) → piano logico (il logos, pensiero) → piano linguistico (espressione del pensiero) Togliendo un piano quelli che vengono implicati da esso non sussisterebbero.
Ma togliendo il pensiero non ha senso porsi la domanda se l’essere è o non è, in quanto l’unico in grado di rispondere, di percepirne e accertarne la presenza è il logos, ossia il pensiero; quindi la domanda non avrebbe risposta, o meglio, porre la domanda non ha senso, in quanto nessuno può affermare se è o non è.
Doxa, l’opinione, l’apparenza che si oppone alla verità, l’essere
[38] per esso saranno nomi tutte quelle cose che hanno stabilito i mortali, convinti che fossero vere.Parmenide ha affermato che la verità è l’essere, quindi segue che il resto è falsità dal punto di vista del logos. Ciò che è falso è il fenomeno, la cui espressione greca φαινόμενο (fainomenon) significa “ciò che appare ai sensi”: ma solo la ragione, il pensiero, il logos sono in grado di percepire l’essere, quindi ciò che appare ai sensi inganna, non è la verità, quindi l’ente.
Il verso parafrasato è: “Quello che l’uomo mortale crede vero è solo un nome”. La scelta della parola nome non è casuale: infatti nome indica inconsistenza, il non avere corpo, una flatus voci: quindi sono dal punto di vista della verità nulle, sono apparenze, sono opinioni. La parola opinione è traduzione del greco doxa, e significa proprio tutto ciò che non è vero in quanto prodotto dai sensi e non dal logos. La verità assoluta sta nel metafisico, ciò che va oltre la fisicità, oltre l’apparenza fisica.
Riassumendo:
− l’ente è l’apparenza che genera doxa, opinione
− l’essere è la verità che genera conoscenza (conoscenza del vero è implicito, in quanto non può esistere la conoscenza del falso, è una contraddizione in sé)
In virtù dell’essere, ciò che i mortali sono convinti che siano realtà (ciò che i mortali credono vere), sono solo opinioni, apparenza.
La sfera e l'essere
“Simile a massa di ben rotonda sfera” [v. 43]
Il fulcro del discorso è il paragone che Parmenide opera tra l’essere e una sfera, il solido che più si avvicina all’idea di perfezione propria solo dell’essere.
[46] né, infatti, c’è un essere che gli possa impedire di giungere all’uguale, né è possibile che l’essere sia dell’essere più da una parte e meno dall’altra.
La sfera rappresenta l’essere nella sua omogeneità e perfezione; infatti Parmenide afferma che non esiste nulla capace di far sì che una sfera non sia uguale in ogni parte (= non sia omogenea) e nemmeno che ci sia più essere da una parte e meno dall’altra (= non sia indifferenziato).
[49] infatti, uguale da ogni parte, in modo uguale sta nei suoi confini.
I confini che intende Parmenide sono i confini della perfezione; infatti la sfera, essendo omogenea e indifferenziata, tende, “incarna” la perfezione dell’essere.
Riassumendo:
Enti: reali, molteplici e divisibili, con movimenti qualitativi e quantitativi, sono falsità=apparenza (doxa)
Essere: necessario, unico e completo, immobile e statico, è verità=conoscenza
Domande da interrogazione
- Quali sono le caratteristiche principali dell'essere secondo Parmenide?
- Perché l'essere non può derivare dal non-essere?
- Come Parmenide descrive la relazione tra pensiero e essere?
- Qual è la differenza tra doxa e verità secondo Parmenide?
- Perché Parmenide paragona l'essere a una sfera?
L'essere è ingenerato, imperituro, intero, immobile, uno e continuo, secondo Parmenide. È infinito, eterno, perfetto e non divisibile.
L'essere non può derivare dal non-essere perché il non-essere non ha realtà ontologica, logica o linguistica. Ex nihilo nihil fit: dal nulla viene nulla.
Parmenide afferma che l'essere è contenuto nel pensiero, e il pensiero è l'unico in grado di percepire e accertare l'essere, stabilendo un legame tra piano ontologico, logico e linguistico.
Doxa è l'opinione, l'apparenza percepita dai sensi, mentre la verità è l'essere, percepibile solo attraverso il logos, il pensiero razionale.
Parmenide paragona l'essere a una sfera per rappresentarne l'omogeneità e la perfezione, essendo la sfera uguale in ogni parte e indifferenziata, incarnando così la perfezione dell'essere.