Concetti Chiave
- Le dighe rappresentano un'innovazione idraulica fondamentale, con vari tipi tra cui dighe a gravità, ad arco e in terra, ognuna con specifiche caratteristiche strutturali.
- La diga del Vajont, situata tra il Monte Toc e il Monte Salta, divenne tristemente famosa a causa della frana catastrofica del 1963.
- Il disastro del Vajont fu provocato da una frana che generò un'enorme onda anomala, causando la morte di 1917 persone e la distruzione di numerosi paesi.
- Nonostante la resistenza della diga, le responsabilità del disastro furono attribuite agli ingegneri e agli enti che ignorarono i segnali di pericolo.
- Il disastro del Vajont è considerato uno dei peggiori disastri naturali in Europa nel XX secolo e ha avuto un impatto significativo sul piano legale e sociale.
In questo appunto di Educazione Tecnica si tratta della costruzione delle dighe e della grande frana del Vajont, con analisi sia geografica sia tecnica e storica.
Costruzione delle dighe
Le dighe costituiscono una delle principali innovazioni idrauliche introdotte dall’uomo. Ne esistono di diversi tipi:
- Dighe a gravità: fatte di calcestruzzo, di geometria semplice. Ha una grossa pianta, che comporta l’utilizzo di una grande quantità di materiale. Un primo progresso di questo tipo di diga è la cosiddetta diga a gravità alleggerita: vengono lasciate delle cavità nel corpo della diga e si sfrutta il peso dell’acqua per la stabilità.
- Dighe ad arco: la loro struttura è particolarmente leggera grazie alle caratteristiche di resistenza degli archi che consentono di scaricare ai vincoli il carico dell’invaso. Le dighe ad arco possono essere ad arco semplice o a doppio arco.
- Dighe ad arco-gravità: sono Dighe ad arco con una pinta molto grossa.
- Dighe in terra: le Dighe in terra sono le dighe più semplici. Sono costruite da un semplice cumulo di terra con al massimo un rivestimento impermeabile.
La Diga di cui parliamo oggi è quella del Vajont, un affluente del Piave (fiume) che scorre vicino alle Dolomiti, quindi in Friuli Venezia Giulia e in Veneto. Elementi naturali come l'acqua hanno scavato in profondità creando una gola d'acqua tra il Monte Toc e il Monte Salta.
La grande frana del Vajont
Sebbene le dighe costituiscano un’opera di ingegno e grande precisione, talvolta può accadere che esse provochino danni ingenti perché si tratta sempre di costruzioni umane, quindi artificiali, su un territorio naturale. Tale contesto si è verificato all’inizio degli anni sessanta dello scorso secolo nell’ambito del cosiddetto disastro del Vajont. Esso fu causato da una grande frana che provocò una grande onda anomala (e una quantità di aria da essere paragonata allo spostamento d'aria prodotto da una bomba atomica) che superò la diga e finì sui paesi limitrofi. La diga, tuttavia, è ancora intatta. Il 9 Ottobre del 1963 circa 260 milioni di metri cubi di rocce e detriti finirono dal Monte Toc all'interno di una diga artificiale, cadde quindi una grossissima massa che franò a velocità massima sui borghi circostanti: Frasègn, Le Spesse, Il Cristo, Pineda, Ceva, Prada, Marzana e San Martino.
La frana creò due grandi ondate di acqua e detriti che sommersero gli abitanti del lungo e le rive del lago. I morti furono 1917 (non contando i feriti e i non riconosciuti) e i paesi distrutti moltissimi: Longarone, Pirago, Faè, Villanova, Rivalta, Codissago, Castellavazzo, Fortogna, Dogna e Provagna. Dopo il disastro, si formò un lago artificiale. La diga, nonostante le sollecitazioni 10 volte superiori a quelle previste dal progetto, resistette all’ondata. Per questo motivo, inizialmente telegiornali e giornalisti espressero giudizi positivi in quanto si considerava ottima l'opera ingegneristica italiana perché, appunto, riuscì a sopravvivere alla frana. In realtà presto si scoprì che gli stessi ingegneri erano i colpevoli.
Prima del grande disastro, infatti, ci furono diversi campanelli d’allarme, del tutto ignorati: già durante le costruzioni crollò una piccola frana; nell’ottobre del 1960 si aprì una profonda fessura ad M; successivamente, ci fu una seconda frana, di entità maggiore rispetto a quella precedente.
Le cause della tragedia, infatti, furono, dopo numerosi studi, ricerche e processi, ricondotte ai progettisti dell'ente costruttore accusati per il rischio idrogeologico (oltre che per le morti e le distruzioni) che avevano prodotto.
Ecco due dei nomi più importanti: Alberico Biadene (Dirigente, l'unico finito in prigione per 6 mesi), Francesco Sensidoni (Ispettore).
In realtà, però, a conoscenza della pericolosità di questa costruzione erano in molti, non soltanto i protagonisti di questo processo. In primis, infatti, c'è da comprendere che la costruzione avvenne anche (ma soprattutto) grazie al permesso di enti a carattere locale e nazionale (comuni e Ministero dei lavori pubblici). Ma, ancora peggio, direttamente il Consiglio superiore dei lavori pubblici approvò, già nel 1943, il progetto, reso possibile anche dagli anni turbolenti che l'Italia stava vivendo: quelli della seconda guerra mondiale.
C'è di positivo che, quando i lavori iniziarono (nel 1957), la costruzione della Diga diede lavoro a circa 400 persone, l'economia era in crescita (miracolo economico) e il bisogno di energia elettrica era fortissimo.
Nel 2008, durante l'Anno internazionale del pianeta Terra, in un'assemblea dedicata, fu data particolare importanza al disastro del Vajont, citato come "fallimento di ingegneri e geologi nel comprendere la natura del problema che stavano cercando di affrontare".
Con la Frana del Vajont l'Italia è entrata a far parte della lista di luoghi in cui sono avvenuti i disastri naturali europei più gravi di tutto il 900.
La Diga, come detto precedentemente, rimase e rimane intatta ancora oggi, ed è di proprietà dello Stato che dovette risarcire, insieme ad Enel e Montedison (dopo la nazionalizzazione dell'energia con la legge Fanfani), i danni (pagando un'ingente somma soltanto poi nel 2000).
Film Vajont
"Ogni tanto qualcuno mi chiede se ho perdonato. No. Non ho perdonato. Non potrò mai perdonare gli uomini che hanno consentito tutto questo". Questa è una frase tratta dal film Vajont, uscito nel 2001 con la regia di Renzo Martinelli.
Il film tratta della tragedia del Vajont del 9 ottobre del 1963, per saperne di più.
L'anomala onda che sommerge Longarone e circa 2000 persone è la catastrofe che descrive Tina Merlin, giornalista intenta a portare alla luce la verità sul caso, indagando tra i costruttori, gli enti statali e gli abitanti. Quando un funzionario si toglie la vita, il processo ha inizio ma durerà decenni, non portando nessuno alla condanna che merita. Gli effetti speciali sono tanti, come si potrebbe immaginare da un film che tratta un argomento del genere.
La Merlin non è un personaggio inventato, bensì una giornalista davvero esistita e che indagò realmente su questo processo, anche se dal carattere abbastanza diverso da quello rappresentato nel lungometraggio.
Nel 2002 vincerà il Premio Daviv di Donatello, nel 2002 il Nastro d'argento. All'epoca della sua realizzazione fu il film italiano più dispendioso mai realizzato (18 miliardi di lire).
Per ulteriori approfondimenti sul disastro del Vajont vedi anche qui
Domande da interrogazione
- Quali sono i diversi tipi di dighe menzionati nel testo?
- Cosa ha causato il disastro del Vajont?
- Quali furono le conseguenze legali e sociali del disastro del Vajont?
- Qual è il ruolo del film "Vajont" nella memoria del disastro?
- Quali furono le reazioni iniziali alla resistenza della diga durante il disastro?
Il testo menziona dighe a gravità, dighe ad arco, dighe ad arco-gravità e dighe in terra, ciascuna con caratteristiche specifiche di costruzione e utilizzo.
Il disastro del Vajont fu causato da una grande frana che provocò un'onda anomala che superò la diga, causando ingenti danni ai paesi circostanti e numerose vittime.
Dopo il disastro, furono avviati processi che identificarono i progettisti come responsabili, ma molti enti locali e nazionali avevano approvato il progetto. Il disastro è stato riconosciuto come un fallimento ingegneristico e geologico.
Il film "Vajont", diretto da Renzo Martinelli, racconta la tragedia del 1963 e il tentativo della giornalista Tina Merlin di portare alla luce la verità, contribuendo a mantenere viva la memoria del disastro.
Inizialmente, la resistenza della diga fu vista positivamente dai media, considerata un'opera ingegneristica di successo, ma successivamente si scoprì che gli ingegneri erano colpevoli per non aver considerato i rischi idrogeologici.