Concetti Chiave
- La legge Mammì del 1990 ha introdotto un sistema radiotelevisivo misto pubblico-privato, con limiti alla concentrazione delle reti.
- La regolamentazione ha affidato al garante per la radiodiffusione e l’editoria poteri di controllo sul settore.
- La giurisprudenza costituzionale ha sostenuto il pluralismo delle voci come valore fondamentale per bilanciare interessi statali e privati.
- La Corte ha liberalizzato le trasmissioni private a causa della disponibilità di canali, eliminando il monopolio statale.
- La sentenza del 1994 ha dichiarato illegittimo il limite del 25% delle reti, evidenziando il diritto al pluralismo dell'informazione.
Indice
La legge Mammì e la regolamentazione radiotelevisiva
La regolamentazione della radiotelevisione avvenne solo con la l. 6 agosto 1990, n. 223 (legge Mammì ). La legge prevedeva: un sistema radiotelevisivo a carattere misto pubblico-privato; limiti alle concentrazioni nel settore televisivo con tetto pari al 25% delle reti nazionali previste; limiti alla concentrazione fra imprese radiotelevisive ed editoriali, nonché alla concentrazione fra imprese radiotelevisive e concessionarie pubblicitarie; poteri di controllo affidati al garante per la radiodiffusione e l’editoria.
Liberalizzazione delle trasmissioni private
Permanendo questi presupposti, solo lo Stato avrebbe potuto svolgerlo «in più favorevoli condizioni di obbiettività, imparzialità, completezza e di continuità in tutto il territorio nazionale». La Corte ne ribadì la permanenza ancora con la sent. 225/1974 (ma v. anche sent. 226/1974 che dichiarò illegittimo il monopolio delle trasmissioni via cavo). Dopo pochi anni si arrivò alla liberalizzazione delle trasmissioni private via etere in ambito locale (v. sent. 202/1976), poi in ambito nazionale (v. sent. 826/1988), sostanzialmente per il venir meno del presupposto della limitatezza dei canali disponibili. Di fatto, peraltro, le radio e le televisioni private si erano già imposte prima che una legislazione compiuta venisse a disciplinare il settore.
Principio del pluralismo delle voci
Già prima della l. 223/1990, la giurisprudenza costituzionale aveva affermato il principio del pluralismo delle voci quale valore fondamentale, a cui il legislatore avrebbe dovuto rifarsi allo scopo di contemperare gli opposti interessi: la riserva statale del servizio pubblico, la liberalizzazione a favore dei privati. Proprio la violazione del principio del pluralismo delle voci, e quindi del diritto all’informazione, portò la Corte, con la sent. 420/1994, a dichiarare illegittimo il limite in base al quale nessun soggetto poteva risultare titolare di più del 25% delle reti previste (non casualmente corrispondente, in presenza di 12 concessioni disponibili e di un sostanziale duopolio, al numero di reti della Rai, l’impresa radiotelevisiva controllata dallo Stato, e al numero di reti Fininvest/ Mediaset, il principale gruppo privato nel mercato televisivo italiano).
Domande da interrogazione
- Qual è stata la principale innovazione introdotta dalla legge Mammì del 1990 nella regolamentazione della radiotelevisione?
- Quali sono stati i principali cambiamenti giuridici che hanno portato alla liberalizzazione delle trasmissioni private?
- Come ha influenzato il principio del pluralismo delle voci la regolamentazione della radiotelevisione?
La legge Mammì del 1990 ha introdotto un sistema radiotelevisivo a carattere misto pubblico-privato, stabilendo limiti alle concentrazioni nel settore televisivo e affidando poteri di controllo al garante per la radiodiffusione e l’editoria.
La liberalizzazione delle trasmissioni private è avvenuta grazie a diverse sentenze della Corte, come la sent. 202/1976 e la sent. 826/1988, che hanno riconosciuto la possibilità di trasmissioni private via etere a livello locale e nazionale, superando il presupposto della limitatezza dei canali disponibili.
Il principio del pluralismo delle voci è stato riconosciuto come valore fondamentale dalla giurisprudenza costituzionale, influenzando la regolamentazione per bilanciare gli interessi tra la riserva statale del servizio pubblico e la liberalizzazione a favore dei privati, portando anche alla dichiarazione di illegittimità del limite del 25% delle reti previste.