Andrea301AG
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Concetti Chiave

  • L'eguaglianza nel diritto del lavoro mira a distribuire equamente i redditi attraverso la contrattazione collettiva, promuovendo uguaglianza tra datore e lavoratori e tra lavoratori stessi.
  • I datori di lavoro devono evitare discriminazioni, trattando i dipendenti in modo eguale, mentre la giurisprudenza esamina i limiti di differenziazioni legittime basate su capacità e ruolo.
  • Secondo l'articolo 3.2 della Costituzione, lo Stato deve promuovere l'uguaglianza dei punti di partenza, specialmente nell'accesso al lavoro, garantendo pari opportunità.
  • I contratti collettivi prevedono trattamenti omogenei per tutti i lavoratori, utilizzando sistemi di inquadramento e tabelle retributive per classificare le figure professionali.
  • L'ordinamento giuridico vieta la discriminazione, permettendo al datore di differenziare i trattamenti individuali purché non violino i principi di correttezza e buona fede.

L’eguaglianza nel diritto del lavoro

Nel diritto del lavoro, l’eguaglianza attiene alla necessità di distribuire in modo equo i redditi. Questo obiettivo viene realizzato tramite la contrattazione collettiva. Il diritto positivo si propone di rendere effettiva sia l'uguaglianza verticale, tra datore di lavoro e lavoratore, sia l'uguaglianza orizzontale, tra due o più lavoratori.
Il datore di lavoro deve trattare i propri dipendenti senza operare discriminazioni, cioè in modo eguale tra loro.

A tal proposito, però, la giurisprudenza si chiede oltre quale soglia le differenziazioni, di capacità, ruolo e retribuzione, devono essere ostacolate dal ordinamento giuridico.
In secondo luogo, sulla base di quanto stabilito dall'articolo 3.2 Cost., lo stato deve promuovere l'effettiva uguaglianza dei punti di partenza fra i cittadini, soprattutto per quanto riguarda l'accesso ai beni primari quali il lavoro.
Le norme di tutela del lavoro, previste dai contratti collettivi, prevedono trattamenti uguali ed omogenei fra tutti i lavoratori. Per raggiungere questo obiettivo, esse si servono dei sistemi di inquadramento e delle tabelle retributive, volte a classificare le diverse figure professionali e i relativi trattamenti.

In alcune situazioni gestionali, il compito di garantire l'uguaglianza nel lavoro spetta direttamente al datore oppure alla contrattazione individuale. La giurisprudenza si è chiesta se, in questi casi, il lavoratore abbia un diritto intangibile ad essere trattati in modo eguale. La risposta, però, non può essere affermativa: se così fosse il margine di discrezionalità del datore di lavoro sarebbe nullo. La cassazione, al contrario, ha stabilito che il datore è libero di attribuire aumenti ad personam ad alcuni dipendenti e non ad altri, senza dover motivare le ragioni di tale trattamento differenziato. Ovviamente, egli può esercitare tale prerogativa purché non violi i doveri generali di correttezza e buona fede.
In sostanza, quindi, l'ordinamento non impone la parità di trattamento, bensì il divieto di discriminazione: esso si limita a proibire le diversità di trattamento, fra due o più lavoratori, determinate da fattori su cui la legge non consente che possano essere basate differenziazioni di qualunque tipo.

Domande da interrogazione

  1. Qual è l'obiettivo principale dell'eguaglianza nel diritto del lavoro?
  2. L'obiettivo principale è distribuire equamente i redditi tramite la contrattazione collettiva, garantendo sia l'uguaglianza verticale tra datore di lavoro e lavoratore, sia l'uguaglianza orizzontale tra lavoratori.

  3. Come viene garantita l'uguaglianza tra i lavoratori secondo il testo?
  4. L'uguaglianza tra i lavoratori è garantita attraverso le norme di tutela del lavoro previste dai contratti collettivi, che stabiliscono trattamenti uguali e omogenei tramite sistemi di inquadramento e tabelle retributive.

  5. Il datore di lavoro ha la libertà di trattare i dipendenti in modo differenziato?
  6. Sì, il datore di lavoro può attribuire aumenti ad personam a determinati dipendenti senza dover motivare tali decisioni, purché non violi i doveri di correttezza e buona fede, e non si basi su fattori discriminatori vietati dalla legge.

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