Concetti Chiave
- L'eguaglianza nel diritto del lavoro mira a distribuire equamente i redditi attraverso la contrattazione collettiva, promuovendo uguaglianza tra datore e lavoratori e tra lavoratori stessi.
- I datori di lavoro devono evitare discriminazioni, trattando i dipendenti in modo eguale, mentre la giurisprudenza esamina i limiti di differenziazioni legittime basate su capacità e ruolo.
- Secondo l'articolo 3.2 della Costituzione, lo Stato deve promuovere l'uguaglianza dei punti di partenza, specialmente nell'accesso al lavoro, garantendo pari opportunità.
- I contratti collettivi prevedono trattamenti omogenei per tutti i lavoratori, utilizzando sistemi di inquadramento e tabelle retributive per classificare le figure professionali.
- L'ordinamento giuridico vieta la discriminazione, permettendo al datore di differenziare i trattamenti individuali purché non violino i principi di correttezza e buona fede.
L’eguaglianza nel diritto del lavoro
Nel diritto del lavoro, l’eguaglianza attiene alla necessità di distribuire in modo equo i redditi. Questo obiettivo viene realizzato tramite la contrattazione collettiva. Il diritto positivo si propone di rendere effettiva sia l'uguaglianza verticale, tra datore di lavoro e lavoratore, sia l'uguaglianza orizzontale, tra due o più lavoratori.
Il datore di lavoro deve trattare i propri dipendenti senza operare discriminazioni, cioè in modo eguale tra loro.
In secondo luogo, sulla base di quanto stabilito dall'articolo 3.2 Cost., lo stato deve promuovere l'effettiva uguaglianza dei punti di partenza fra i cittadini, soprattutto per quanto riguarda l'accesso ai beni primari quali il lavoro.
Le norme di tutela del lavoro, previste dai contratti collettivi, prevedono trattamenti uguali ed omogenei fra tutti i lavoratori. Per raggiungere questo obiettivo, esse si servono dei sistemi di inquadramento e delle tabelle retributive, volte a classificare le diverse figure professionali e i relativi trattamenti.
In alcune situazioni gestionali, il compito di garantire l'uguaglianza nel lavoro spetta direttamente al datore oppure alla contrattazione individuale. La giurisprudenza si è chiesta se, in questi casi, il lavoratore abbia un diritto intangibile ad essere trattati in modo eguale. La risposta, però, non può essere affermativa: se così fosse il margine di discrezionalità del datore di lavoro sarebbe nullo. La cassazione, al contrario, ha stabilito che il datore è libero di attribuire aumenti ad personam ad alcuni dipendenti e non ad altri, senza dover motivare le ragioni di tale trattamento differenziato. Ovviamente, egli può esercitare tale prerogativa purché non violi i doveri generali di correttezza e buona fede.
In sostanza, quindi, l'ordinamento non impone la parità di trattamento, bensì il divieto di discriminazione: esso si limita a proibire le diversità di trattamento, fra due o più lavoratori, determinate da fattori su cui la legge non consente che possano essere basate differenziazioni di qualunque tipo.
Domande da interrogazione
- Qual è l'obiettivo principale dell'eguaglianza nel diritto del lavoro?
- Come viene garantita l'uguaglianza tra i lavoratori secondo il testo?
- Il datore di lavoro ha la libertà di trattare i dipendenti in modo differenziato?
L'obiettivo principale è distribuire equamente i redditi tramite la contrattazione collettiva, garantendo sia l'uguaglianza verticale tra datore di lavoro e lavoratore, sia l'uguaglianza orizzontale tra lavoratori.
L'uguaglianza tra i lavoratori è garantita attraverso le norme di tutela del lavoro previste dai contratti collettivi, che stabiliscono trattamenti uguali e omogenei tramite sistemi di inquadramento e tabelle retributive.
Sì, il datore di lavoro può attribuire aumenti ad personam a determinati dipendenti senza dover motivare tali decisioni, purché non violi i doveri di correttezza e buona fede, e non si basi su fattori discriminatori vietati dalla legge.