Introduzione
La descrizione di questi tre altorilievi costituisce la parte centrale (28-96) del canto, che il poeta ha indubbiamente più curata, e sulla quale più hanno insistito gli esegeti.Quali i precedenti di essi? Numerose erano, nella letteratura latina, le descrizioni di scudi, di tele e simili 'istoriati', e il motivo avrà uguale fortuna anche nei poeti post-danteschi. E probabile che Dante pensasse a quei testi, e anche che pensasse ai rilievi di sarcofagi antichi, e soprattutto a quelli che istoriavano le porte delle chiese.
Che queste ultime fossero nel centro della fantasia di Dante, è ipotesi resa più plausibile dal fatto che alle chiese egli pensa anche per l'altra serie di rilievi, di superbia punita, scolpiti sul pavimento, simili, dice Dante, a quelli delle «tombe terragne» nelle chiese.
E ricordiamo il suono dell'organo misto o alternato a canto rievocato alla fine del canto IX; del resto, tutto il Purgatorio può dirsi una grande cattedrale, architettonicamente e cultualmente: preghiere, canti, decorazioni artistiche come queste, veri e propri drammi sacri punteggiano il procedere. del viaggio, sino alla processione e alla grande rappresentazione sacra cui assisteremo nel Paradiso terrestre (Pg XXIX-XXXII).
Descrizione degli altorilievi
Le descrizioni degli altorilievi sono indubbiamente pezzi di alta tecnica poetica; ma forse se ne è esagerato il valore nei confronti specifici della storia dell'arte. Che l'ispirazione di Dante poeta sia sempre anche vigorosamente plastica, e dunque comparabile alla scultura, è cosa ovvia, anzi luogo comune; ma non per questo si deve dire, come è stato detto, che con i versi di cui ci stiamo occupando Dante emuli, magari vittoriosamente, o anticipi i grandi scultori del suo tempo o del Rinascimento.Allo stesso modo egli ha indubbiamente profondo il senso architettonico, senza il quale non avrebbe dato all'oltremondo la poderosa e armoniosa struttura che gli ha data; ma non per ciò è un architetto. Né questi versi testimoniano veramente un particolare interesse di Dante per il fatto artistico, come non lo testimoniano le descrizioni, che seguiranno, delle sculture terragne.
Di solito invece, a prova di questo interesse, si allegano altri passi. Intanto, la menzione delle cariatidi in questo stesso canto (130-134), alle quali son paragonati i superbi schiacciati dai massi; ma qui non si va oltre un semplice paragone. Si allega poi un passo della Vita Nuova (XXXIV 3) nel quale lo scrittore si descrive nell'atto di disegnare «figure d'angeli»: ma basta riferirsi al contesto per convincersi che ciò non vuol dire affatto che Dante volesse presentarsi come pittore, nemmeno dilettante.
A parte la considerazione della scarsa attendibilità biografica di tutti gli episodi della Vita Nuova, chiaramente immaginati in servigio del libello d'amore, e come premesse esplicative alle liriche che questo contiene, è da considerare che secondo il racconto Dante disegnava nel giorno anniversario della morte di Beatrice, mentre era tutto assorto nel pensiero di lei beata, tanto da non accorgersi delle persone che lo circondavano: perché disegnasse angeli e non altro, è ovvio.
Non è difficile dunque accorgersi che l'aneddoto appartiene alla sfera psicologica del racconto, e che la possibilità che Dante aveva di disegnare, anche se autentica, non è testimonianza della sua versatilità artistica, ma, semmai, della sua capacità di concentrarsi in un pensiero, tanto da agire quasi automaticamente. Sulla distrazione di Dante per la forte concentrazione del pensiero, correvano aneddoti di cui si fa eco il Boccaccio (Trattatello, ed, Guerri, p. 34; cfr. del resto Pg XVII 13-15).
La persuasione religiosa
Va notato inoltre che Dante si dice tutto preso dalla visione degli altorilievi non per l'eccellenza artistica - sul parametro, diciamo così, terreno - di essi, ma per il messaggio, per la persuasione religiosa che essi riuscivano a infondere. Seguace senza esitazione dell'estetica classica e tradizionale, Dante considera l'arte come imitazione della realtà: la più apprezzabile è quella che riesce a dare al più alto grado l'impressione di questa, a tradurre il «non ver» in sentimento vero (133). La persuasività del messaggio morale-religioso è dunque condizionata dall'assoluto realismo della rappresentazione; e l'uomo-artista per quanto dotato non può raggiungere tale assolutezza (cfr. anchePg XII 64-69).
La vita è successione, movimento: l'arte umana può, sì, far intuire che dietro un determinato atteggiamento da essa fissato c'è un lungo antecedente, un complesso dramma; ma non può per sé farci assistere a tale processo, a un seguito di singoli passaggi psicologici e anche 'gestuali'.
L'altorilievo di Traiano, invece, rende questa successione: a può renderla solo perché non è opera dell'uomo, ma opera diretta di Dio. Il commento che il poeta fa all'articolato dialogo tra Traiano e la vedova (in terra non si è visto mai nulla di simile, il « visibile parlare » dell'altorilievo è «novello a noi perché qui non si trova», 95-96) non fa che suggellare l'invalicabilità dei limiti posti da Dio all'arte, come a tutte le altre attività dell'uomo.