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  1. Il concetto di superbia per Dante
  2. Superbia-umiltà

Il concetto di superbia per Dante

La superbia è per Dante la più grave delle propensioni peccaminose alle quali l'uomo può soggiacere: infatti nell'Inferno non ha sede propria, essendo all'origine o componente di quasi tutti i peccati. Perciò Dante la colloca nel primo girone del Purgatorio, il più lontano dal Paradiso, così come Lucifero, il primo superbo (Paradiso XIX 46), è posto nel centro della terra e pertanto nel punto più lontano da Dio in senso assoluto. Agli ex-superbi il poeta dedica nella seconda cantica uno spazio maggiore che a tutti gli altri peccatori; gli esempi di punizione sono negli altri gironi due o tre, salvo che in quello dell'avarizia, che ne ha sette: quelli di superbia sono invece ben tredici, e presentati con artifici stilistici particolarmente elaborati.

Un'apostrofe ai superbi miseri lassi (121-129) precede la descrizione della loro pena ed è a sua volta preceduta da un'esortazione al lettore (106-108) perché non si sgomenti della gravità della pena stessa, ritraendosi dal proponimento di cambiare strada, in considerazione del fatto che, nonostante il pentimento, non potrà sottrarsi a così grave punizione: pensi invece alla succession, a quel che verrà dopo: la pena potrà anche non durare molto, per misericordia divina e anche per le preghiere di viventi; nella peggiore delle ipotesi, durerà solo sino al giorno del giudizio, mentre la pena dei superbi non pentitisi durerà in eterno.

Un'altra apostrofe (Purgatorio XII 70-72) seguirà l'elencazione degli esempi di superbia punita. Tutto ci parla dunque dell'impegno morale-letterario con cui Dante affronta questo tema; e ciò è assai naturale, perché la superbia è il peccato di cui egli esplicitamente si confesserà più macchiato (Purgatorio XI 118-119, XIII 136-138).

Superbia-umiltà

Si noti che la superbia di Dante uomo non rientra esattamente nella definizione di questo peccato data in Purgatorio XVII 112-114: egli infatti non desiderò di mettere in basso gli altri. Abbiamo già in queste nostre lettere ripetutamente visto come l'unità dialettica superbia-umiltà, specie quell'aspetto della superbia che era per Dante il più pericoloso, l'intellettuale, costituisca una delle principalissime strutture portanti di tutto il poema. Certo, Dante aveva altissima coscienza del suo valore, era persuaso della sua eccellenza sugli altri; ma da questo genere di superbia lo aveva salvato, come dirà ampiamente nel canto successivo, la meditazione sulla fragilità della gloria umana; comunque, questa è una superbia che si esercita nei confronti di altri uomini; quel che atterrisce Dante, proprio in relazione alla coscienza che egli aveva della propria eccellenza, è invece la superbia verso Dio: il pericolo di andar troppo oltre nella sua esigenza di conoscenza, come il suo Ulisse, e di far perciò retrosi passi (123) in luogo di avanzare; giacché, ripete nel canto successivo, ai versi 7-15, "a retro va chi più di gir s'affanna".

Tanto più si deve aver coscienza della propria piccolezza rispetto a Dio quanto più si è in alto: i tre esempi di superiore umiltà che Dante immagina di veder scolpiti sulla parete di questo girone, concernono Maria, che poi sarà detta umile e alta più che creatura (Paradiso XXXIII 2), la "regina cui questo regno è suddito e devoto" (Paradiso XXXI 116-117); poi David re, che, ballando popolarescamente in gloria di Dio, era più e men che re (66); infine un imperatore, Traiano, umile dinnanzi a una donnetta, e proprio per questo più che mai alto, tanto da meritare che Gregorio ottenesse da Dio la sua risurrezione, sì da poter conoscere la buona dottrina religiosa e salvarsi.

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