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Indice

  1. Episodio di Traiano
  2. La salvezza degli infedeli
  3. Giustizia e misericordia

Episodio di Traiano

L'episodio di Traiano consta di elementi contrastanti.
L'altezza di lui (la sua «alta gloria», il suo «valore» che muove un papa santo, Gregorio, a una «gran vittoria» sull'Inferno), la sua magnificenza e potenza (il «calcato e pieno / di cavalieri» che lo circonda, attributo essenziale dei re secondo la novellistica tradizionale; si veda ad es. il Novellino, proprio a proposito di Traiano; le «aguglie ne l'oro») danno risalto alla povertà e debolezza della «vedovella», della «miserella », isolata e sperduta, col suo dolore, tra tanti splendidi guerrieri, «intra tutti costoro».

Il contrasto si rispecchia in quello stilistico tra il solenne da una parte («l'alta gloria / del roman principato», «i' dico di Traiano imperadore»), il dimesso dei diminutivi dall'altra.

L'importanza dell'impresa cui Traiano si accingeva, desumibile dall'imponenza del suo esercito, è in contrapposizione alla tenuità del fatto personale della madre che chiede giustizia: tenuità, s'intende, per la volgare opinione, ma in verità, ci dice Dante, la giustizia non può essere collocata in nessuna scala d'importanza, essendo essa di per sé nel più alto dei gradini.

Si noti che Dante poteva limitarsi a rappresentare la donna che ferma il cavallo e Traiano nell'atto di scendere da esso per renderle giustizia; ma egli ha bisogno non solo della conclusione, ma proprio del dialogo: l'umiltà dell'imperatore non consiste solo nell'esaudire la preghiera della donna, ma nell'accettare - come peraltro era anche in testi precedenti della leggenda - il dialogo pari a pari, e le ardite battute della donna («se tu non torni?», «L'altrui bene / a te che fia...?»).

La salvezza degli infedeli

La scelta di Traiano come protagonista del terzo esempio di umiltà, col connesso ricordo della « gran vittoria» di Gregorio, è una ripresa del tema della salvezza degli infedeli che Dante aveva saldamente impostato immaginando destinati al Limbo, al «duol sanza martiri», gli adulti non peccatori, anche senza battesimo (If IV), poi riproposto nella figura di Catone (Pg I), e che sarà sviluppato teologicamente nei canti XIX-XX del Paradiso. La lunga tradizione medievale circa la salvezza di Taiano, alla quale avevano aderito anche uomini come S. Tommaso, e circa l'esemplare rettitudine di Catone ritenuta precristiana, mostravano quanto questo problema della salvezza dei precristiani
fosse anche popolarmente vivo.

Ancora un cenno nell'ultima battuta dell'imperatore, «giustizia vuole e pietà mi ritene» (93), che si può dire domini tutto l'episodio: essa racchiude nella sua incisività il concetto che Dante aveva dell'Impero. Traiano e David sono nell'occhio dell'Aquila paradisiaca per essere stati «giusti e pii»; il binomio «giustizia e pietà» costituisce in Pg XI 37 una perifrasi degna di Dio; il Paradiso stesso è detto «imperio giustissimo e pio» (Pd XXXII 117); del resto, giustizia e misericordia, si susseguono immediatamente nel discorso di Gesù sulla montagna.

Giustizia e misericordia

Dante non esita a trasferire questi attributi essenziali all'imperatore: non nel senso, come alcuni rimpicciolendo pensano, che la giustizia appartenga alla sfera terrena della sua responsabilità, e la pietà alla religiosa; ma perché la giustizia non è piena se è astratta, se non tien conto dell'uomo: la pietà non ne è solo essenziale componente, ma ne costituisce la fonte; d'altra parte la pietà sarebbe falsa, potrebbe costituire addirittura peccato se non fosse sorretta dalla giustizia.

Ambedue, dunque, congiunte in unità, sono doti necessarie e sufficienti per configurare l'imperatore e in particolare Traiano, nel quale riverberano, di là dalla sua magnificenza mondana, la luce della divinità, caratterizzata proprio da esse. Era una concezione medievale fondamentale e universalmente diffusa: «alterum iustitiae, alterum pietatis est, quae adeo principi necessaria sunt», dice Giovanni di Salisbury (cit. dal Gmelin); Dante la fece pienamente sua: «recte... scriptum est: ' Roma-num imperium de Fonte nascitur pietatis'» (Mn II v 5).

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