Concetti Chiave
- Nel Canto VI dell'Inferno, Dante esplora le discordie interne di Firenze attraverso il personaggio di Ciacco, un goloso dannato che profetizza la vittoria dei Guelfi neri.
- Ciacco, nonostante la sua condizione di peccatore, è presentato come un personaggio credibile e rispettato, capace di denunciare le divisioni cittadine causate da superbia, invidia e avarizia.
- Dante utilizza la figura di Ciacco per introdurre la tematica politica e le discordie fiorentine, un tema centrale nei canti sesti della Divina Commedia.
- Il giudizio di Dante sulle lotte interne di Firenze è obiettivo e distaccato, mettendo in luce un male morale profondo che va oltre le rivalità politiche.
- La soluzione al male morale di Firenze è vista da Dante nell'avvento del "veltro", un messaggero divino destinato a ristabilire la giustizia e sconfiggere il male.
Indice
L'ambiente del terzo cerchio
Il canto VI dell’Inferno è ambientato nel terzo cerchio, dove scontano la loro pena i golosi. L’ambiente è rivoltante: i dannati si aggirano, sotto una gelida pioggia battente, in una specie di porcilaia fangosa e maleodorante. Uno dei golosi scorge Dante e gli chiede se lo riconosce. I versi che leggiamo sono la risposta di Ciacco alla richiesta del poeta di rivelargli il suo nome, dal momento che non l’ha riconosciuto.
● il misterioso personaggio di Ciacco
● le discordie cittadine
● la causa morale di tanto male
● Terzine di endecasillabi a rima incatenata (schema: ABA BCB CDC ecc.).
Le discordie di Firenze
Nel canto VI dell’Inferno Dante mette a fuoco uno dei motivi di fondo del poema: le discordie interne a Firenze che hanno determinato il suo esilio (il viaggio nell’oltretomba avviene nel 1300, quindi prima che il poeta venga allontanato dalla città). Del destino personale di Dante però qui non si parla: la profezia di Ciacco (che è post eventum, perché in realtà l’autore conosce già come andranno gli eventi) rivela solo l’esito generale. Inizialmente i Guelfi bianchi otterranno una temporanea vittoria, cacciando dalla città la fazione rivale «con molta offensione » (v. 66). Nel giro di tre anni, però, si assisterà al trionfo, con le armi e con l’inganno, dei Guelfi neri, con le sofferenze e i lutti che seguiranno. Più enigmatiche e lapidarie sono invece le risposte che Ciacco dà al secondo e al terzo quesito postogli da Dante: a Firenze ci sono solo due giusti, che sono però ignorati; mentre la ragione di tanta discordia va individuata nella triade «superbia, invidia e avarizia » (v. 74).
Ciacco e la politica
Dante assegna a Ciacco, un peccatore di gola, il compito d’inaugurare nel poema la tematica politica, a cui sono dedicati, nello specifico, tutti e tre i canti sesti della Commedia. Ma perché Dante assegna un compito così alto a un’anima che si rotola nel fango? Come può uno come Ciacco ergersi ad accusatrice dell’«invidia» (v. 50) cittadina? Difficile rispondere, perché per noi Ciacco è un individuo misterioso; tuttavia sappiamo che godeva di buona fama a Firenze, secondo quanto afferma Giovanni Boccaccio nel Decameron (IX, 8). Lo scrittore parla di un «uomo […] dato tutto al vizio della gola», tanto che, «se chiamato era a mangiare, v’andava, e similmente se invitato non era». Aggiunge però che era un «costumato uomo, ed eloquente e affabile e di buon sentimento».
Le cause delle discordie
Dunque, al di là della sua ghiottoneria, Ciacco risulta pienamente credibile nel suo ruolo di grande accusatore delle divisioni tra concittadini. All’inizio e alla fine del suo intervento Ciacco dichiara la causa delle discordie intestine di Firenze: ai versi 49-50 pone l’accento sull’«invidia», intesa come “odio” e “rancore”, di cui trabocca Firenze; mentre ai versi 74-75 la diagnosi si allarga, includendo anche la «superbia» e l’«avarizia» tra le «faville c’hanno i cuori accesi». Dall’analisi di Ciacco si deduce che le colpe e le responsabilità sono di entrambe le fazioni.
Il giudizio di Dante
Ora che si trova nell’oltretomba, Dante può adottare un’ottica più distaccata per giudicare (l’ottica assoluta di Dio): il suo è perciò un giudizio obiettivo e veritiero sui fatti, capace di cogliere le reali motivazioni che stanno alla base dei contrasti cittadini. Non è dunque un male passeggero a dilaniare la vita civile fiorentina: le «tre faville» (che costituiscono anche tre dei sette vizi capitali della tradizione cristiana) rivelano che esiste un male morale più profondo e preoccupante, contro il quale non bastano le armi della politica. La soluzione a cui Dante guarda è infatti quella profetizzata nel canto I dell’Inferno: l’avvento del veltro, il misterioso inviato che Dio sta per mandare nel mondo per ristabilire la giustizia e sconfiggere il male nella storia dell’umanità.
Domande da interrogazione
- Qual è l'ambientazione del terzo cerchio nell'Inferno di Dante?
- Quali sono le cause delle discordie a Firenze secondo Ciacco?
- Perché Dante assegna a Ciacco il compito di parlare di politica?
- Come giudica Dante le discordie di Firenze dall'oltretomba?
- Qual è la soluzione profetizzata da Dante per risolvere i mali di Firenze?
Il terzo cerchio è descritto come un luogo rivoltante, simile a una porcilaia fangosa e maleodorante, dove i golosi scontano la loro pena sotto una gelida pioggia battente.
Ciacco identifica le cause delle discordie fiorentine nella "superbia, invidia e avarizia", che sono viste come le scintille che accendono i cuori dei cittadini.
Nonostante Ciacco sia un peccatore di gola, Dante gli assegna il compito di inaugurare la tematica politica nel poema, forse per la sua buona fama a Firenze e la sua eloquenza, come riportato da Boccaccio.
Dante adotta un'ottica distaccata e obiettiva, cogliendo le reali motivazioni dei contrasti cittadini, che sono radicate in un male morale profondo rappresentato dai vizi capitali.
Dante guarda all'avvento del "veltro", un misterioso inviato di Dio che ristabilirà la giustizia e sconfiggerà il male nella storia dell'umanità, come profetizzato nel canto I dell'Inferno.