Concetti Chiave
- Dante inizia la descrizione dell'oltretomba nel Canto III dell'Inferno, affrontando un tema epico e drammatico che differisce dalla sua esperienza poetica precedente.
- L'iscrizione sulla porta dell'Inferno, di colore oscuro e minacciosa, afferma che è un'opera di Dio e rappresenta un dolore eterno e l'assenza di speranza.
- I pusillanimi, definiti anche ignavi, sono spiriti vili che non hanno lasciato alcuna fama nel mondo e sono relegati ai margini dell'Inferno.
- La legge del contrappasso viene applicata ai pusillanimi con pene simboliche e avvilenti, in relazione al loro peccato di viltà.
- L'arrivo delle anime sull'Acheronte e l'incontro con Caronte, che si placa grazie all'intervento di Virgilio, rappresentano momenti di grande intensità narrativa nel canto.
Canto III dell'Inferno
Solo ora Dante affronta la descrizione dell'oltretomba: una materia epico narrativa e drammatica, per la quale non gli giovava la sua precedente esperienza poetica, essenzialmente lirica, o lirico-narrativa come nella Vita Nuova.Ora Dante non può cercare modelli se non nelle visioni medievali dell'oltretomba o nelle letterature classiche.
Dante immagina che la porta dell'Inferno rechi sulla sua sommità un'iscrizione come la recavano al suo tempo molte città: essa gli appare di colore oscuro, cioè oscuramente minacciosa. Nelle linee centrali dell'iscrizione si afferma che la porta è opera diretta di Dio, attraverso la Trinità: nulla dunque che possa essere oscuro o turbare. La città infernale è dolente, d'un dolore che è etterno; la gente che l'abita è perduta, con del che questo participio comporta di definitivo; prima della porta Dio non aveva creato se non cose etterne (i cieli, gli angeli, gli elementi), ed essa stessa dura etterna.
Quel che Dante, ancor vivo, non riesce a comprendere appieno, è proprio questo concetto di eternità, questa impossibilità assoluta di sperare. La vita umana è essenzialmente cambiamento, e quindi speranza. Negli uomini che soffrono in terra pene, anche crudeli come quelle infernali, vige sempre la speranza che esse possano diminuire o cambiare o cessare: magari con la morte. Non così nei dannati: quel che rende le loro pene assolutamente diverse dalle terrene è la condanna irremissibile a lasciare ogni speranza. Neppure la morte può segnare la fine di esse.
I pusillanimi
Dante, subito dopo varcata la porta, udrà i lamenti dei pusillanimi, e Virgilio gli spiegherà che essi si lamentano perché non hanno speranza di morte. I più dei commentatori moderni preferiscono definirli ignavi. Egli qui chiama, questi spiriti cattivi o sciaurati; cioè nella lingua del suo tempo "vili" o "pusillanimi".Nella pena che immagina per i vili egli applica per la prima volta la legge generale del contrappasso: la pena corrisponde per somiglianza o opposizione al peccato che la origina. Sia detto però subito che in molti casi la corrispondenza tra pena e peccato è generica, ovvero non esiste o noi moderni non riusciamo a coglierla. A parte il contrappasso, va osservato che la pena da una parte è quasi esclusivamente simbolica, all'altra più avvilente e fastidiosa che grave.
I vili non hanno lasciato di sé nel mondo alcuna fama; nell'oltremodo Dio non li degna della sua misericordia e neppure della sua giustizia, li relega ai margini anche dell'Inferno. A essi il poeta mescola gli angeli neutrali, quelli che non seguirono Lucifero nella sua ribellione ma neppure presero posizione per Dio: anch'essi sono indegni sia del cielo sia del profondo dell'Inferno.
Acheronte
L'ultima parte del canto narra l'affollarsi delle anime da ogni paese sulle rive dell'Acheronte; l'arrivo del traghettatore, Caronte; il cruccio di questo nel vedere tra i morti un vivo; il suo placarsi quando Virgilio gli dirà che ciò è voluto dal cielo; la disperazione e le maledizioni dei dannati, e il loro imbarco. Quest'ultima parte è tra le più celebri del poema: Dante ci dona particolari potenti; ma son versi che impegnano più la fantasia letteraria che la coscienza del poeta.
L'ingresso nell'Inferno (1-21)
la prima schiera dei dannati: i pusillanimi (22-69)
Arrivo all'Acheronte; Caronte (70-120)
Spiegazione di Virgilio e svenimento di Dante (121-136)
Domande da interrogazione
- Qual è il significato dell'iscrizione sulla porta dell'Inferno secondo Dante?
- Chi sono i pusillanimi e quale pena subiscono?
- Come viene applicata la legge del contrappasso ai pusillanimi?
- Cosa accade sulle rive dell'Acheronte nel Canto III?
- Qual è la reazione di Dante di fronte alla visione dell'Inferno e all'incontro con Caronte?
L'iscrizione sulla porta dell'Inferno afferma che è opera diretta di Dio attraverso la Trinità, e rappresenta un dolore eterno e la perdita definitiva di speranza per chi vi entra.
I pusillanimi, definiti anche ignavi, sono coloro che non hanno lasciato alcuna fama nel mondo e sono indegni sia del cielo che dell'Inferno. La loro pena è simbolica e avvilente, relegati ai margini dell'Inferno.
La legge del contrappasso si applica ai pusillanimi attraverso una pena che corrisponde simbolicamente al loro peccato di viltà, anche se la corrispondenza può essere generica o difficile da cogliere per i moderni.
Sulle rive dell'Acheronte, le anime si affollano per essere traghettate da Caronte, che inizialmente si cruccia nel vedere Dante vivo, ma si placa quando Virgilio spiega che è voluto dal cielo.
Dante è sopraffatto dalla visione dell'Inferno e dall'incontro con Caronte, tanto che alla fine del canto sviene, colpito dalla disperazione e dalle maledizioni dei dannati.