Concetti Chiave
- Il Canto VII dell'Inferno è suddiviso in sezioni che descrivono Pluto, la pena degli avari e prodighi, e il concetto di Fortuna.
- Pluto, guardiano del quarto cerchio, tenta di fermare Dante e Virgilio con parole minacciose e incomprensibili.
- Gli avari e prodighi sono puniti spingendo pesi in un ciclo infinito, rappresentando la loro mancanza di moderazione nello spendere.
- Dante non può riconoscere i dannati poiché la loro vita li ha resi irriconoscibili, un aspetto del loro contrappasso.
- Fortuna è vista come un'intelligenza celeste che gestisce i beni mondani, con un giudizio preciso ma nascosto agli uomini.
Canto VII dell'Inferno
Per quel che concerne il canto VII, esso appare nettamente diviso in varie sezioni:- la figura di Pluto e il suo vano tentativo d'impedire a Dante e Virgilio l'accesso al cerchio;
- la descrizione del cerchio e della pena degli avari e prodighi che vi hanno sede, e, strettamente connessa, la trattazione sulla fortuna;
- la raffigurazione generale della palude e la qualificazione della specie di peccatori che vi hanno sede e della loro pena.
Nessun personaggio, nessun nome.
Nel vedere i due pellegrini, Pluto, il dio delle ricchezze guardiano del quarto cerchio, prorompe in parole tanto più minacciose per Dante quanto più gli sono incomprensibili. Pluto è concepito come mostruoso alla pari dei custodi infernali precedenti; ma la sua mostruosità risulta appunto dalla sua strana lingua piuttosto che dalla figura; la sua invocazione, per quanto incomprensibile a Dante, suona al suo orecchio temibile, oltre che per la sua voce rauca e, ovviamente, per il tono con cui è pronunciata, anche perché in essa fa risalto, due volte ripetuto, il nome di Satana.
Pluto, insomma, è simile al Minotauro, guardiano del settimo cerchio: qui, nel canto VII, Virgilio dice a Pluto "consuma dentro te con la tua rabbia": nel canto XII il Minotauro, al vedere i due poeti, morde sé stesso "come quei cui l'ira dentro fiacca".
Avari e prodighi
Nel quarto cerchio hanno sede coloro che non fecero con misura nullo spendio che cioè nello spendere furono troppo stretti o troppo larghi: gli avari e i prodighi. Dante finge di non poter riconoscere tra quei dannati nessuno dei tanti avari da lui conosciuti in vita; e Virgilio gli spiega che questo non è possibile perché essi, allo stesso modo che la loro vita sconoscente, che cioè misconobbe i valori veri, li aveva sporcati mentre erano vivi, così li rende irriconoscibili ora nell'Inferno. Ciò è presentato come un'aggiunta alla pena e al contrappasso; in verità si tratta d'un semplice gioco di parole, dal momento che il misconoscere i veri valori o la mancanza di misura è comune a tutti o a molti peccatori.Il poeta non vuol dire che tutti i papi e cardinali e preti siano vai, ma che tra gli ecclesiastici l'avarizia è peccato caratterizzante: e si tratta di persona che per la fede da esse professata più dovrebbero essere immuni.
Avarizia: è da intendere come indebito attaccamento a tutti gli splendor mondani, in primo luogo come desiderio di gloria o di potere, non soltanto come desiderio di danaro o spilorceria. Tutti quei beni sono un breve soffio di vento, così, come, per esempio, la gloria: non è il mondan romore altro ch'un fiato / di vento.... Dev'essere poi notato che i prodighi punti in questo cerchio vanno tenuti distinti dai violenti contro i propri beni, che troveremo, dilaniati da cagne, nel secondo girone del settimo cerchio: i primi peccarono per incontinenza, per non aver saputo moderare con la ragione il loro talento di spendere; i secondi si accanirono contro le loro sostante con volontà distruttiva, come contro le proprio persone i suicidi, ai quali appunto sono in quel girone appaiati.
Rispetto ai due poeti, gli avari occupano il semicerchio di sinistra, i prodighi il destro; gli uni e gli altri spingono col petto pesi, con grande fatica, sottolineata e incitata da grand'urli. Giunti all'estremità del proprio semicerchio i peccatori vengono a cozzare con gli altri che spingono in senso opposto: si scambiano rimproveri, tornano indietro e riprendono senza fine il loro spingere e girare.
La pena è descritta con minuzia; complemento di essa è il sorgere che i peccatori faranno dal sepolcro, il giorno del Giudizio, gli uni col pugno chiuso, e gli altri coi crin mozzi.
Fortuna
L'idea dell'attaccamento ai beni mondani trae con sé quella della Fortuna; la meditazione su essa è parte integrante di quella sull'avarizia e prodigalità. Dante fa che Virgilio spieghi chi sia veramente questa Fortuna, così vituperata dagli uomini: Dio, come prepose ai cieli le Intelligenze angeliche, così ordinò un'altra intelligenza celeste che sovrintendesse alla distribuzione e alla permutazione degli splendori mondani. Per Dante gli uomini non possono impedire gli sbalzi della Fortuna, e si vendicano accusandola di capricciosità e d'ingiustizia, mentre l'apparente arbitrio è frutto di un giudicio che è preciso, anche se resta occulto all'uomo.Domande da interrogazione
- Qual è il ruolo di Pluto nel Canto VII dell'Inferno?
- Chi sono i peccatori puniti nel quarto cerchio dell'Inferno?
- Perché Dante non riconosce nessuno tra gli avari e prodighi?
- Come viene descritta la pena degli avari e prodighi?
- Qual è la concezione di Fortuna secondo Dante?
Pluto è il guardiano del quarto cerchio e tenta vanamente di impedire a Dante e Virgilio l'accesso, usando parole minacciose e incomprensibili.
Nel quarto cerchio sono puniti gli avari e i prodighi, coloro che non hanno saputo moderare le loro spese, essendo troppo stretti o troppo larghi.
Dante non riconosce nessuno perché la loro vita sconoscente li ha resi irriconoscibili, un'aggiunta alla loro pena e al contrappasso.
Gli avari e prodighi spingono col petto pesi con grande fatica, scontrandosi e scambiandosi rimproveri, in un ciclo senza fine.
Fortuna è un'intelligenza celeste preposta da Dio alla distribuzione dei beni mondani, e il suo apparente arbitrio è frutto di un giudizio preciso, sebbene occulto all'uomo.