Fabrizio Del Dongo
Genius
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Concetti Chiave

  • Il Canto XXXIII dell'Inferno è il più lungo della Divina Commedia e continua la storia del Canto XXXII, svelando l'identità di Ugolino della Gherardesca.
  • Ugolino, un nobile ghibellino di Pisa, fu imprigionato insieme ai suoi familiari dall'arcivescovo Ruggieri, morendo di fame nella Torre della Muda.
  • Il canto esplora temi politici, con Ugolino rappresentato come un traditore della patria e del partito, posizionato nell'Antenora tra i traditori.
  • La narrazione include un sogno premonitore di Ugolino e descrive il crudo supplizio vissuto in prigionia, toccando profondamente il dolore umano.
  • Frate Alberigo rivela come le anime possano essere dannate prima della morte fisica, un destino che Branca Doria condivide già nel Cocito.
In questo appunto di Italiano si tratta del Canto XXXIII dell'Inferno della Divina Commedia di Dante, con parafrasi, significato e contesto storico.
Canto XXXIII dell'Inferno: Episodio del Conte Ugolino articolo

Indice

  1. Il Canto XXXIII dell'Inferno
  2. L’episodio del Conte Ugolino
  3. Parafrasi del XXXIII canto dell'Inferno dantesco

Il Canto XXXIII dell'Inferno

Il canto XXXIII dell'Inferno è il più lungo dell'intera Divina Commedia ed è la continuazione del precedente canto XXXII, che racconta dell'incontro tra Dante, Virgilio e un'anima sconosciuta, presa nel rodere la testa di un compagno dannato come lei.

Proprio in questo canto, quindi, scopriamo l'identità del protagonista scorto precedentemente: Ugolino della Gherardesca.

L’episodio del Conte Ugolino

Ugolino fu un nobile ghibellino di Pisa, nato intorno al 1210. La sua parentela lo portò presto a divenire il vicario del re di Sardegna e quindi del ramo dei Visconti, abbandonando il partito ghibellino e rifugiandosi in quello guelfo. Dopo la battaglia navale della Meloria, però, ruppe l'amicizia con il nipote di Visconti e si avvicinò all'arcivescovo Ruggieri, capo dei ghibellini. Ruggieri non aspettò molto ad accusare Ugolino di aver tradito la sua famiglia ghibellina e lo incarcerò nella torre della Muda con due figli e due nipoti. Parte della prigionia viene narrata in questo canto che appare piuttosto crudo sotto diversi aspetti. I cinque, infatti, morirono di fame e probabilmente Ugolino fu obbligato a procurarsi il cibo mediante i corpi defunti vicino a lui. Nonostante ciò, da traditore tradito, Ugolino viene posto da Dante nell'Antenora, tra i traditori della patria e del partito. L'intera tematica del canto è quindi politica, come molti dei canti di Dante nell'Inferno (Farinata degli Uberti, Pier della Vigna).
Canto XXXIII dell'Inferno: Episodio del Conte Ugolino articolo

Parafrasi del XXXIII canto dell'Inferno dantesco

Quel peccatore sollevò la bocca dal pasto superbo,
pulendola sui capelli sopra il capo,
che aveva morso nella parte posteriore.
Poi cominciò: «Tu vuoi che io ricordi
un dolore atroce che mi opprime il cuore
al solo pensiero, prima ancora di discuterne.
Ma se le mie parole devono essere semi
che generano frutti del tradimento al peccatore che sto stritolando con i denti,
mi sentirai parlare e insieme piangere.
Io non so chi tu sia né
in che modo sia giunto quaggiù; ma mi sembri un vero fiorentino
quanto all'ascolto delle tue parole.
Devi sapere che io fui il conte Ugolino,
e costui è l’arcivescovo Ruggieri:
ora ti dirò perché gli sono ancora vicino.
Forse è inutile raccontare come dai
suoi piani malvagi io, avendo fiducia in lui,
sia stato incarcerato e poi ucciso;
però ascolta ciò che sicuramente non hai potuto sentire,
ovvero come la mia morte sia stata cruenta,
e potrai capire fino a che punto lui mi abbia recato offesa.
Dentro la Torre Muda c'era solo una sottile fessura
e poiché lì io sono morto per me il nome della torre ora è Fame,
sperando per gli altri che prima o poi venga chiusa,
mi aveva mostrato attraverso la sua apertura
più e più lune, quando feci l'orribile sogno
che mi svelò il futuro.
Mi pareva che questo fosse una guida e un signore capace
di cacciare il lupo e i suoi cuccioli verso il monte di San Giuliano
a causa del quale i Pisani non possono scorgere Lucca.
Aveva schierato davanti a sé
Gualandi, Sismondi, Lanfranchi e insieme
con loro le cagne fameliche, ardenti di cacciare ed esperte.
Dopo una corsa veloce, apparvero il padre e il figlio
stanchi e mi sembrava di vedere feriti
i loro fianchi dalle aguzze zampe delle cagne.
Quando mi svegliai prima che fosse mattino,
sentii piangere nel sonno i miei figli
che erano con me, e chiedere del cibo.
Sei davvero feroce, se fino a questa parte non provi dolore
pensando a ciò che il mio cuore già sapeva sarebbe successo;
e se non piangi per questo, per che cosa sei solito piangere?
Erano ormai svegli, e si avvicinava l’ora
in cui il cibo ci veniva portato come al solito,
ma a causa del sogno premonitore ognuno aveva paura;
allora udii inchiodare la porta esterna
dell’orribile torre; per cui guardai i miei figliuoli
negli occhi e senza dire una sola parola.
Io non piangevo perché ormai il mio cuore era diventato una pietra
i bambini invece piangevano; e il mio Anselmuccio disse:
‘Tu guardi in modo così strano, o padre! che hai?’
Perciò non piansi né risposi tutto
quel giorno e la notte successiva,
finché non apparve il sole del nuovo giorno.
Non appena entrò un raggio di sole
nel carcere faticoso, e io intravidi riflesso
nei quattro volti dei figli il mio stesso volto,
mi morsi in un gesto di dolore entrambe le mani;
e loro, pensando che lo facessi per fame,
prontamente si alzarono in piedi e dissero:
‘Padre, sarà per noi un dolore in meno
se tu ti cibi di noi: tu ci hai dato
queste carni consunte, e dunque puoi mangiarle’.
Allora mi calmai per non renderli ancora più tristi;
per tutto quel giorno e per quello successivo rimanemmo tutti in silenzio;
ahi, terra crudele, perché non ti squarciasti?
Quando fummo arrivati al quarto giorno,
Gaddo mi si gettò ai piedi dicendo:
‘Padre mio, perché non mi aiuti?’
Morì sui miei piedi; e come tu vedi me,
io vidi con i miei occhi gli altri tre soccombere ad uno ad uno
tra il quinto e il sesto giorno; per cui cominciai,
cieco, a brancolare su ciascuno di loro
e per due giorni ancora dopo la loro morte li chiamai (sperando si svegliassero).
Poi, più che il dolore, mi uccise la fame».
Dette queste parole, con gli occhi storti
afferrò nuovamente il teschio digrignando i denti,
che arrivarono fino all’osso, forti come quelli di un cane.
Guai a te, Pisa, vergogna dei popoli
che abitano il bel paese in cui risuona il sì,
poiché i vicini arrivano con lentezza per punirti,
si muovano la Capraia e la Gorgona,
e formino uno sbarramento sulla foce dell’Arno,
in modo che il fiume sommerga ogni tuo abitante!
Poiché se il conte Ugolino aveva fama
di averti tradita nella circostanza dei castelli,
non per questo tu dovevi sottoporre i figli a un così orribile supplizio.
La giovane età li rendeva innocenti,
o seconda Tebe, Uguccione e il Brigata
e gli altri due che il canto nomina (appella) sopra (suso).
Io e Virgilio passammo nella terza zona,
dove la crosta di ghiaccio ferisce duramente altri dannati,
non immersi verticalmente, ma completamente supini.
Lì il pianto stesso impedisce di piangere,
e le lacrime che trovano un ostacolo negli occhi,
ritornano dentro a rendere più soffocata la sofferenza;
poiché le lacrime uscite per prime formano un nodo di ghiaccio
e, come visiere di cristallo, riempiono
sotto il sopracciglio tutta la cavità dell’occhio.
E sebbene, come accade per una parte callosa,
a causa del freddo ogni sensibilità
avesse smesso di fare da dimora sul mio viso,
ormai mi sembrava di avvertire dell'aria;
per cui domandai: «Maestro mio, chi lo sta mandando?
Non è estinto ogni vento quaggiù?».
Per cui egli mi rispose: «Presto sarai
nel luogo dove l’occhio ti darà la risposta,
poiché vedrai la causa che fa cadere il vento dall’alto».
E uno dei peccatori immersi nella crosta ghiacciata
ci gridò: «O anime siete a tal punto spietate
da esservi fatte assegnare la zona infima dell’Inferno,
toglietemi dal viso le incrostazioni di ghiaccio,
perché io possa almeno un poco sfogare il dolore
che mi colma il cuore prima che le lacrime tornino a ghiacciarsi».
Per cui io dissi a lui: «Se vuoi che io ti aiuti,
dimmi chi sei, e se non ti libero dall’impedimento,
mi toccherà andare nello strato più profondo della ghiacciaia».
Rispose dunque: «Io sono frate Alberigo;
sono quello dei frutti nati nel terreno del male,
e qui ricevo pan per focaccia».
Io gli dissi: «Ma come, tu sei già morto?».
E lui a me: «Del perché il mio corpo
stia nel mondo di su, non so dare nessuna spiegazione.
Questa Tolomea ha un privilegio,
che spesso l’anima cade prima che
Atropo le dia la spinta necessaria.
E perché tu più volentieri mi tolga vita
dal volto le lacrime diventate come vetro,
sappi che, non appena l’anima ti tradisce
così scioccamente come feci io, il corpo le
è tolto da un demonio, che poi lo regge
finché non sia interamente trascorso il tempo di vita che gli è assegnato.
L’anima precipita in questo pozzo infernale ;
e forse è ancora visibile sulla terra il corpo
dell’anima che qua dietro di me ghiaccia.
Tu lo devi sapere, se giungi solo ora nell’Inferno;
lui è Branca Doria e molti anni
sono passati da quanto fu così racchiuso».
Io dissi a lui: «Credo che tu m’inganni;
poiché Branca Doria non è mai morto
e mangia, beve, dorme e veste panni».
Egli disse: «Su nel fosso dei Malebranche,
dove bolle la nera pece,
Michele Zanche non era ancora arrivato,
quando costui lasciò nel corpo un diavolo al posto suo,
e lo stesso accadde a un suo familiare
che commise con lui il tradimento.
Ma stendi ormai la mano verso di me;
aprimi gli occhi». Io invece non glieli aprii;
e fu cortesia essere villano nei suoi confronti.
Ahi Genovesi, uomini lontani
da ogni buon costume, e pieni invece di ogni vizio,
perché non siete estirpati dal mondo?
Poiché in compagnia dell’anima più perversa della Romagna
trovai un vostro concittadino, che per il suo peccato
è già immerso con l’anima nel Cocito
e con il corpo appare ancora vivo tra i vivi.
Per ulteriori approfondimenti sul canto XXXIII dell'Inferno vedi anche qui

Domande da interrogazione

  1. Qual è il tema principale del Canto XXXIII dell'Inferno di Dante?
  2. Il tema principale del Canto XXXIII è politico, come molti altri canti dell'Inferno di Dante, e si concentra sul tradimento e le sue conseguenze, illustrato attraverso la storia del Conte Ugolino.

  3. Chi è il protagonista del Canto XXXIII e quale episodio viene narrato?
  4. Il protagonista del Canto XXXIII è il Conte Ugolino della Gherardesca, e l'episodio narrato riguarda la sua prigionia e morte per fame nella Torre della Muda, insieme ai suoi figli e nipoti.

  5. Qual è il significato del sogno premonitore di Ugolino?
  6. Il sogno premonitore di Ugolino, in cui vede se stesso e i suoi figli cacciati e feriti, simboleggia la sua imminente morte e il tradimento subito, accentuando il tema della sofferenza e del tradimento.

  7. Come viene rappresentata la sofferenza dei dannati nella terza zona dell'Inferno?
  8. Nella terza zona dell'Inferno, i dannati sono immersi in una crosta di ghiaccio che impedisce loro di piangere, poiché le lacrime si congelano, aumentando la loro sofferenza.

  9. Chi è frate Alberigo e quale particolare privilegio ha la Tolomea?
  10. Frate Alberigo è un dannato che spiega a Dante che la Tolomea ha il privilegio di far cadere le anime nell'Inferno prima che il corpo muoia, lasciando un demone a reggere il corpo sulla terra.

Domande e risposte

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