Concetti Chiave
- Dante e Virgilio entrano nel secondo girone del settimo cerchio, una selva spettrale dove i suicidi sono trasformati in piante e tormentati dalle Arpie.
- La selva rappresenta un ribaltamento della natura divina, simbolo del suicidio come negazione del volere di Dio e della natura umana.
- Pier delle Vigne, suicida, racconta la sua storia di calunnie e ingiustizie, chiedendo a Dante di difendere il suo onore tra i vivi.
- Il canto esplora il tema del potere e dell'invidia, identificando il disordine politico nella morale degli individui piuttosto che nelle istituzioni.
- Lo stile del canto si distingue per la sua durezza e semplicità nella descrizione della selva e per l'elaborazione retorica nei discorsi dei personaggi.
Indice
L'arrivo nella selva dei suicidi
Dante e Virgilio, guidati dal centauro Nesso, sono giunti nel secondo girone del settimo cerchio, dove sono puniti i suicidi. Qui è una selva orribile e spettrale, infestata dalla presenza delle Arpie, mostruose donne-uccello. Dante sente però dei lamenti di cui non capisce l'origine. Spezza il ramo di una pianta, e da esso, per prodigio, escono sangue e rimproveri: comprende così che in quelle piante sono tramutate le anime dei peccatori. A rivolgersi a lui è Pier delle Vigne: fedele consigliere di Federico II di Svevia; egli fu colpito da calunnie e ingiuste accuse. Perseguitato, disgustato, finì con il suicidarsi: ora, dopo aver maledetto i suoi nemici e difeso l'onore del suo re, chiede a Dante di raccontare la verità fra i vivi, difendendo il suo buon nome.
La natura stravolta della selva
Il paesaggio della selva dei suicidi è tutto concepito come lo stravolgimento della natura terrena, che con la sua bellezza esprime l'ordine e l'armonia impressi al mondo da Dio. Ogni elemento del bosco, infatti, ne capovolge uno reale (vv. 4-6). L'unico termine di paragone con il mondo terreno è l'eccesso: neppure le zone tanto desolate della Maremma possono stare al pari di queste (vv. 7-9). Anche le Arpie rispondono a questa logica di stravolgimento, giacché in esse la bellezza delle donne diventa mostruosità, e la dolcezza del canto degli uccelli si trasforma in uno stridio orribile (vv. 10-15). La selva è una perfetta traduzione dello stato in cui si trovano le anime: essa non è solo lo scenario della loro pena, ma lo loro pena stessa. Il suicidio rappresenta infatti, nella morale cristiana, uno stravolgimento del volere di Dio (che ha dato la vita, e che solo può toglierla) e un inaridimento e una negazione della natura umana.
Il dramma di Pier delle Vigne
Piero è del tutto identificato con il suo ruolo di funzionario statale: il «glorioso offizio» è per lui causa di ogni gioia e di ogni tormento (vv. 58-63). Egli parte dunque dalla difesa della propria fedeltà e del proprio onore; e, contemporaneamente, continua a difendere Federico, che pure lo ha deposto e ne ha decretato l'incarcerazione. Dante non mette in discussione la legittimità dell'ordine politico, che è in sé giusto e che trova nell'imperatore e nel suo funzionario due figure esemplari. Ciò che colpisce sono le storture che si annidano in quell'ordine, sino a corromperlo e negarlo. L'obiettivo della polemica è infatti l'invidia che alberga in tutti gli uomini, ma in particolare nelle corti (vv. 64-69). La causa del disordine politico e dell'infelicità umana (di cui Piero è un tragico emblema) non sta dunque secondo Dante nelle istituzioni, ma nella morale degli individui. Nell'ideologia dantesca, infatti, l'impero resta un sistema da difendere, sebbene non sia immune dalle confusioni che tormentano anche la vita comunale.
La condanna del suicidio
La morale cristiana condanna il suicida come un peccatore: egli infatti pone fine alla propria vita, che Dio gli ha dato e cui solo Dio può porre termine. Dante assume pienamente quest'ottica, ma sa leggere con molta acutezza nell'animo di Pier delle Vigne. Il suo gesto è infatti segno di «disdegnoso gusto», cioè di quella fierezza e intransigenza morale che egli attribuisce al personaggio in ogni circostanza. Soprattutto, Dante coglie bene una chiusa ostinazione, un doloroso rivolgere su di sé lo sdegno che, comunque, vuole anche colpire il mondo esterno. Vittima di accuse ingiuste, Piero diventa ingiusto con se stesso. Egli riproduce insomma il male da cui è stato colpito, ma, rifiutandosi di esercitarlo su altri (egli era pur sempre un uomo giusto), finisce di rivolgerlo contro la propria persona.
Stile e retorica del canto
Lo stile di questo canto è particolarmente teso ed espressivo. Possiamo distinguere due registri. Il primo, nella descrizione della selva, tende a una dura semplicità: si vedano le anafore su «Non» (vv. 1, 3, 4, 5, 6), il rigoroso parallelismo dei vv. 4-6, le sonorità aspre e consonantiche (per esempio in «fronda verde... fosco», «stecchi con tosco, «aspri sterpi... folti»). In particolare, percorre tutto il canto una serie di sostantivi e aggettivi che esprimono l'idea di una natura ridotta a materia aspra e spiacevole (»rami... nodosi e 'nvolti», «stecchi con tosco», «aspri sterpi... folti», «fiere selvagge», «orribil sabbione», «bronchi», «pruno», «sterpi», «stillo», «scheggia rotta», «tronco») e di verbi che esprimono un'idea di violenza («tronchi», «monchi», «sterpi», «geme», «cigola»). Un secondo registro è quello dell'elaborazione retorica, soprattutto nei discorsi dei personaggi. Si vedano così i giochi di parole o poliptoti che traducono lo sforzo e la drammatica tensione di Pier delle Vigne (vv. 67-68, 70-72), ma presenti anche altrove (v. 25); le antitesi (vv. 69, 72); le metafore (vv. 58-60, 64-66). Sono due modi diversi per esprimere la stessa forza e concentrazione.
Domande da interrogazione
- Qual è il contesto dell'arrivo di Dante e Virgilio nella selva dei suicidi?
- Come viene descritta la selva dei suicidi e quale significato ha?
- Chi è Pier delle Vigne e quale dramma personale vive?
- Qual è la posizione di Dante riguardo al suicidio?
- Quali sono le caratteristiche stilistiche del canto?
Dante e Virgilio, guidati dal centauro Nesso, arrivano nel secondo girone del settimo cerchio, dove i suicidi sono puniti. La selva è infestata dalle Arpie e le anime dei peccatori sono trasformate in piante.
La selva è un capovolgimento della natura terrena, esprimendo disordine e inaridimento, riflettendo lo stato delle anime dei suicidi e la loro negazione della vita data da Dio.
Pier delle Vigne era un consigliere di Federico II, vittima di calunnie e ingiuste accuse, che lo portarono al suicidio. Egli difende il suo onore e chiede a Dante di raccontare la verità.
Dante condanna il suicidio come un peccato contro la volontà di Dio, ma comprende la complessità dell'animo di Pier delle Vigne, che si rivolge contro se stesso per l'ingiustizia subita.
Il canto presenta uno stile teso ed espressivo, con un registro di durezza nella descrizione della selva e un'elaborazione retorica nei discorsi, usando anafore, parallelismi, e giochi di parole.