Concetti Chiave
- Arrigo VII scese in Italia nel 1310 come pacificatore, cercando di collaborare con il papa e mantenere buoni rapporti con la Francia.
- In Italia, l'imperatore affrontò difficoltà dovute alla rivalità tra guelfi e ghibellini, con città italiane gelose della loro indipendenza.
- Nonostante le opposizioni, Arrigo VII riuscì a raggiungere Roma, ma dovette affrontare la nobiltà romana e non poté cingere la corona a San Pietro.
- Dante, nelle sue epistole in latino, esorta Arrigo VII a punire Firenze, paragonandola a una vipera e una pecora malata che diffonde il contagio.
- L'Epistola VII di Dante esprime aspettative sull'imperatore e funge da invettiva contro Firenze, mettendo in luce la sua dimensione profetica e morale.
Indice
Enrico VII e la sua politica di pace
Con la sua politica, Enrico VII voleva attuare ideali di pace, ma con risultati deludenti. Cercò la collaborazione col papa Clemente V, evitò di mettersi in urto con il re di Francia e decise di calare in Italia, nel 1310, con il ruolo di pacificatore: la penisola era lacerata da lotte fra le varie città e fazioni.
Difficoltà e malintesi dell'impresa italiana
Tuttavia, l’impresa dovette fare i conti con tutta una serie di difficoltà e di malintesi. I ghibellini come i Visconti di Milano si servirono di Arrigo VII per eliminare i rivali, e ne fecero il capo della propria fazione, anche se questo non era nelle intenzioni dell’imperatore.
A loro volta, i guelfi ne fecero, di conseguenza il loro principale nemico. Inoltre le varie città italiana, poco importa che fossero guelfe o ghibelline, erano gelose della propria indipendenza e non erano affatto disposte ad accettare l’autorità imperiale.
Opposizione e sfide a Roma
Arrigo VII dovette anche tener testa all’opposizione capeggiata da Firenze e dal re di Napoli, Roberto d’Angiò. Nonostante tutte queste difficoltà, l’imperatore riuscì ad arrivare a Roma dove, però dovette combattere anche contre la nobiltà romana, appoggiata dagli Angioini e capeggiata dagli Orsini. Comunque cinse la corona imperiale in San Giovanni in Laterano e non in San Pietro, caduta in mano ai suoi nemici. Ripresa la strada del ritorno, cinse d’assedio Firenze senza riuscire a piegarla (la città aveva ricevuto aiuti da Siena, Lucca e Bologna), si ritirò a Pisa e si preparò ad una spedizione contro il re di Napoli. Morì nell’attraversare la Maremma.
Dante e l'Epistola VII
Le epistole sono scritte in latino. Di seguito viene riportato il testo in latino nella parte più significativa della VII epistola in cui, Dante si indirizza ad Arrigo VII per sollecitare la sua calata in Italia e punire così la tirannide e la malvagità di cui Firenze è un chiaro esempio. Nelle righe precedenti rimprovera quasi all’imperatore di aver indugiato restando a Milano troppo a lungo e non avendo capito che il male deve estirpato alla radice. Per illustrare questo concetto ricorre alla metafora dell’idra, che fu uccisa da Ercole (una delle sette fatiche) e all’esempio dell’albero che se lo vogliano estirpare a nulla serve tagliare le fronde. E per uscire di metafora, Dante prevede una ribellione contro l’Imperatore, di tutte le città dell’Italia settentrionale se prima non viene eliminato il male che è alla base di ogni rivolta.
“An ignoras, excellentissime principum, nec de speculas summe celsitudinis deprehendis ubi vulpecula fetoris istius, venantium secura, recumbat ? Quippe nec Pado precipiti, nec Tiberi tuo criminosa potatur, verum Sarni fluenta torrentis adhuc rictus eius inficiunt, et Florentia, forte nescis?, dira hec pernicies nuncupatur. Hec est vipera versa in viscera genitricis ; hec est languida pecus gregem domini sui sua contagione commaculans; ; hec Myrra scelestis et impia in Cinyre patris amplexus exestuans ; hec Amat ailla impatiens, que, repulso fatali connubio, quel fata negabant generum sibi adscire non tinuit, sed in bella furialuiter provocavit, et demum, male aula luendo, laqueo se suspendit. »
Stile elevato e solenne del testo
L’argomento trattato è nobile per cui anche lo stile deve essere elevato, elaborato e solenne. Questo aspetto è reso evidente tal testo originali in latino. In tal senso sono da notare:
• la forma interrogativa retorica introdotta da “an”
• la simmetria fra “Pado precipiti” e “Tiberi tuo”, resa, in entrambi i casi da sostantivo + aggettivo
• il termine “nuncupatur” ha una solennità giuridica perché, nel latino classico, indicava la dichiarazione solenne di pubblici voti o la designazione pubblica di un erede.
• L’iterazione di hec (est) che è collocata all’inizio di quattroi enunciati che rende l’idea di un ritmo martellante
• Il termina “ausa” per indicare un’impresa eccezionale, ma anche un misfatto appartiene al linguaggio poetico
• Il chiasmo “domini sui sua contagione”
• L’uso del genitivo ebraico, ossia l’aggettivo viene sostituito con un genitivo, come spesso succede nel linguaggio biblico. Infatti “vulpecula fetoris istius” dovrebbe essere in modo più lineare e meno solenne “vulpecula fetida ista”
Traduzione e significato dell'Epistola VII
“O forse ignori, eccellentissimo fra i principi, e non scorgi dalla specola della somma altezza il luogo dove si rintana la piccola volpe di codesto fetore, noncurante dei cacciatori? Certo la scellerata non si abbevera alle acque precipiti del Po, né al tuo Tevere, [l’uso del possessivo è giustificato dal fatto che il Tevere attraversa Roma, la città che è la sede deputata dell’imperatore] ,ma le sue fauci infettano ancora la corrente dell'Arno impetuoso, e si chiama Firenze, forse non sai?, questo crudele flagello. Questa è la vipera avventatasi contro le viscere della madre; questa è la pecora malata che infetta, col suo contagio, il gregge del suo pastore; questa la scellerata ed empia Mirra che arde per gli amplessi del padre Cinira; [Nella tradizione mitologica, Mirra fu presa dalla passione per il padre Cinira, re di Cipro, riuscì ad unirsi con lui, fingendosi un’altra donna] questa è quella Amata furiosa [Amata era la moglie del re Latino; voleva che sua figlia Lavinia sposasse Turno e non Enea, ma ritenendo, per errore, che Turno fosse stato ucciso e che Lavinia potesse così andare in sposa ad Enea, si impiccò] che, rifiutate le nozze fatali, non ebbe paura di prendersi per genero colui che i fati vietavano, anzi lo eccitò furibonda alla guerra e infine, pagando il fio delle audacie malvagie, si impiccò".
Aspettative di Dante su Enrico VII
Dante riponeva in lui molte aspettative, soprattutto quella di punire Firenze che, nell’Epistola VII, assimila ad una vipera che si avventa contro le viscere della madre o ad una pecora malata che diffonde il contagio. In pratica, si potrebbe dire che l’Epistola, oltre a sollecitare l’imperatore è soprattutto un’invettiva contro Firenze.
La parte finale della lettera mette in evidenza la dimensione profetica di Dante. Egli è consapevole dei problemi del suo tempo ed è orgoglioso della propria superiorità morale che lo conduce ad essere predestinato a ricoprire il ruolo di giudice.
Domande da interrogazione
- Qual era l'obiettivo principale della politica di Enrico VII in Italia?
- Quali furono le principali difficoltà incontrate da Enrico VII durante la sua impresa italiana?
- Come reagì Dante alla situazione politica del suo tempo, in particolare riguardo a Firenze?
- Quali sfide affrontò Enrico VII a Roma e quali furono le conseguenze?
- Quali elementi stilistici caratterizzano l'Epistola VII di Dante?
Enrico VII mirava a realizzare ideali di pace e a pacificare la penisola italiana, lacerata da lotte tra città e fazioni, ma i risultati furono deludenti.
Enrico VII affrontò difficoltà e malintesi, tra cui l'uso strumentale della sua figura da parte dei ghibellini e l'opposizione dei guelfi, oltre alla resistenza delle città italiane gelose della loro indipendenza.
Dante, nell'Epistola VII, esprimeva aspettative su Enrico VII affinché punisse Firenze, descrivendola come una vipera e una pecora malata, e sollecitava l'imperatore a estirpare il male alla radice.
Enrico VII dovette affrontare l'opposizione di Firenze e del re di Napoli, e a Roma combatté contro la nobiltà romana. Riuscì a cingere la corona imperiale a San Giovanni in Laterano, ma non a San Pietro, e successivamente fallì nell'assedio di Firenze.
L'Epistola VII di Dante è caratterizzata da uno stile elevato e solenne, con l'uso di retorica interrogativa, simmetria, termini giuridici solenni, iterazioni e figure retoriche come il chiasmo e il genitivo ebraico.