Concetti Chiave
- Soluzioni sono miscele omogenee in cui un solvente scioglie uno o più soluti, dipendendo dalla polarità delle molecole.
- La solubilità è la quantità massima di soluto che può essere sciolta in un solvente a una data temperatura, formando una soluzione satura.
- I solventi sono cruciali per le reazioni chimiche, influenzati da proprietà come la polarità e il punto di ebollizione; l'acqua è il solvente più comune.
- La catalisi riduce l'energia di attivazione delle reazioni, accelerandole senza alterare i prodotti finali; i catalizzatori possono essere omogenei o eterogenei.
- I microscopi, sia ottici che elettronici, permettono l'osservazione di dettagli invisibili a occhio nudo grazie alla loro capacità di ingrandimento e risoluzione.
Indice
- I solventi, Soluzioni
- Solubilità
- Solventi
- Catalizzazione ed enzimi
- Meccanismi alla base della catalisi
- Disattivazione dei catalizzatori
- Catalizzatori biologici
- Utilizzo industriale degli enzimi
- Verifica della solubilità di alcune sostanze
- Determinazione della densità di un oggetto solido di forma complessa
- Microscopio
- Componenti
- Principio di funzionamento
- Microscopio elettronico
- Uso del microscopio ottico
- Campionamento
- Dove prelevare il campione
- Quale campione prelevare
- Quantità di campione da prelevare
- Quanti campioni prelevare
- Come trattare i campioni
I solventi, Soluzioni
Miscugli omogenei formati da 2 o più specie chimiche, presenti in porzioni costanti. Il componente presente in maggior quantità, allo stato liquido, è il solvente. Quello in quantità minore è il soluto. Può esserci più di un soluto. Una soluzione si ottiene se il solvente riesce a sciogliere il soluto. Non tutte le sostanze possono essere mescolate in modo da ottenere un miscuglio omogeneo (es. zucchero in acqua si scioglie, nella benzina no; il sale si scioglie in acqua ma no nell’olio, ecc.).Due sostanze possono formare una soluzione se hanno una proprietà chimica che le accomuna: la polarità le loro molecole deve essere confrontabile (il simile scioglie il simile). Le molecole sono fatte da atomi tenuti insieme dalla condivisione di alcuni dei loro elettroni esterni. Gli elettroni che formano il legame possono trovarsi sbilanciati verso l’atomo che ha maggiore forza attrattiva nei suoi confronti (elettronegatività). In tal caso il legame è polare in quanto la carica negativa è sull’atomo più elettronegativo e quella positiva sull’altro. Se la geometra complessiva di una molecola fa separare le cariche dei singoli legami si annulla, la molecola è apolare. Se le cariche dello stesso segno sono sbilanciate in una direzione, la molecola è globalmente polare. Perché il simile si scioglie Enel simile, molecole polari si sciolgono in solventi polari, quelle apolari in solventi apolari.
Solubilità
Quantità massima di soluto che può sciogliersi in un determinato volume di soluzione. Viene indicata in grammi*litro di soluzione o moli*litro di soluzione. La solubilità dipende dalla natura del solvente e soluto e dalla temperatura. Ha soluzione con una quantità di soluto pari alla solubilità è una soluzione satura. Per verificare che è satura, essa deve essere in presenza di una certa quantità di soluto non disciolto che si deposita sul fondo (corpo di fondo). Una soluzione saturai un soluto può sciogliere un’altra sostanza di natura diversa.
Solventi
Importanti nel processo produttivo e nella vita quotidiana. Tutte le reazioni chimiche per avvenire hanno bisogno di solito di un ambiente liquido, e la maggior parte dei prodotti usati per la casa, esempio, è venduta come soluzione dove è sciolto un principio attivo. Le varie esigenze delle realtà produttive prevedono l’uso di molti solventi con le caratteristiche richieste. I solventi, infatti, oltre a dover solubilizzare nelle giuste quantità i materiali interessati, devono avere caratteristiche come la velocità di evaporazione, il preciso punto di ebollizione, la viscosità voluta, l’esatta tensione superficiale, ecc. Non devono reagire chimicamente con il soluto. Il solvente più comune è l’acqua, ma quelli più usati nelle industrie è di natura organica e deriva da sostanze presenti nel petrolio. Esistono anche altre classi di composti usati come solventi, come i composti organici alogenati (trieline, ecc.), solventi azotati (piridina, ecc.) e nitroderivati (composti organici con –NO2). Spesso per fare il solvente con le caratteristiche desiderate bisogna usare liquidi formati di più sostanze con equilibrata composizione percentuale.I solventi usati in industria appartengono a tutte le classi dei composti chimici, di natura organica. Esempio tipi di solventi:
1. Acqua= può sciogliere sostanze molte sostanze. È possibile, con la green chemistry, la ricerca usa come solvente l’acqua sostituendola ai solventi inquinanti e tossici.
2. Acqua ragia (essenza di trementina) = solvente ottenuto per distillazione di resine derivate da conifere. Usata nella diluizione di vernici e sgrassare tessuti.
3. Chetoni= esempio l’acetone (rimuove lo smalto), composti chimici usati come solventi. Presenti in prodotti di uso comune.
4. Esano= miscela di idrocarburi con sei atomi di carbonio. È un carburante (principale costituente benzina). Come solvente apolare è insolubile in acqua, usato per estrarre olio dai semi che lo contengono. È volatile, quindi facilmente eliminato dall'olio.
5. Esteri acido acetico= o acetati, usati negli inchiostri per stampanti, spray aerosol e prodotti della cura personale. Usati anche per produrre farmaci.
6. Esteri eteri glicolici= aggiunti alle vernici a spruzzo per evitare una veloce asciugatura.
7. Etanolo= o alcol etilico, usato per preparare profumi per il suo odore poco accentuato e la sua elevata velocità di evaporazione che non lo fa rimanere sulla pelle, ma solo gli aromi.
8. Toluene= proprietà simili al benzene, ma meno tossico. È usato per sciogliere o diluire oli, resine, ecc.
- Tossicità solventi
La maggior parte dei solventi usati in industria non si ritrova nel prodotto finito perché allontanata per evaporazione. La volatilità dei solventi può creare problemi di sicurezza per i lavoratori e fastidi agli utilizzatori. La presenza di solventi nei luoghi dove viviamo è notevole: esempio, molecole di solvente si sprigionano dai truciolati e compensati di legno, che sono costituiti mobili, ecc.
I solventi hanno vari effetti nocivi sulla salute: quelli evidenti sono irritazione agli occhi, vertigini, nausea, ecc. Le esposizioni prolungate possono causare cambiamenti nel comportamento e influire sull’umore e memoria. Odorare colle o vernici genera sensazioni piacevoli, l’huffing. È stato testato il toluene dentro questi prodotti, agisce nelle zone del cervello dove ci sono i centri delle sensazioni di piacere e appagamento. È nocivo anche esso (compromette memoria e apprendimento). La principale via di penetrazione dei solventi nell’organismo è attraverso la respirazione, ma anche con la pelle. Gli effetti dei solventi sulla salute dipendono da vari fattori:
1) Proprietà chimico-fisiche, esempio peso molecolare, polarità e temperatura di ebollizione.
2) Modalità di interazione fra solvente e organismo (concentrazione dell’aria e tempo di ebollizione)
3) Fattori biologici del singolo individuo, come la costituzione fisica, età, peso, ecc.
4) Fattori ambientale come temperatura e umidità dell’aria.
I solventi inalati sono eliminati nella fase di espirazione. la frazione assorbita entra rapidamente in circolo e la distribuzione negli organi dipende dalle proprietà fisico-chimiche, raggio atomico della frazione liposolubile, ripartizione tra parte lipidica e acquosa e dal legame tra proteine e sangue. la maggior parte dei solventi preferisce i tessuti degli organi ricchi di lipidi. Vengono metabolizzati trasformandosi in composti. Può quindi un solvente tossico trasformarsi in sostanze meno pericolose, ma può accadere anche il contrario. Il metabolismo dei solventi avviene a livello del fegato, nell’intestino e nei reni.
Catalizzazione ed enzimi
- CatalisiUna reazione chimica c’è quando 2 o più sostanze (reagenti), si trasformano in altre (prodotti). Le molecole dei reagenti si rompono e liberano atomi che le costituiscono e questi si ricombinano per formare altre molecole. le molecole dei reagenti possono rompersi se gli urti fra loro sono violenti e questo avviene quando le molecole acquistano una data velocità. l’energia fornita dall’esterno aumenta la velocità di movimento delle molecole, cioè la loro energia cinetica. La teoria cinetica dei gas dice che la temperatura è proporzionale alla velocità media delle molecole di gas. L'energia minima per far avvenire una reazione si chiama energia di attivazione. Un aumento della temperatura fa aumentare il numero di molecole che hanno energia minima per provocare urti che fanno rompere le molecole. Quindi un aumento di temperatura determina un aumento di velocità della reazione. Per accelerare una reazione, oltre ad aumentare la temperatura, si può abbassare l’energia di attivazione. Per questo bisogna trovare il modo per cambiare l’andamento della reazione, senza modificare i prodotti. Per questo si introduce nell’ambiente di reazione una sostanza che si leghi ai reagenti, formando un composto intermedio con energia di attivazione più bassa che poi genera i prodotti previsti e libera la sostanza introdotta per far avvenire la reazione. Essa deve aiutare i reagenti a trasformarsi in prodotti, ma senza modificarli. Una specie chimica che svolge questo compito è detto catalizzatore. Il fenomeno che coinvolge l’uso del catalizzatore è la catalisi. Il catalizzatore può essere nello stesso stato di aggregazione dell’ambiente dove avviene la reazione o in uno stato diverso. Nel primo caso c’è una catalisi omogenea, nella altra catalisi eterogenea. Nei processi industriali sono usate sostanze che rallentano la velocità di reazione, esempio in una reazione indesiderata. Si tratta degli inibitori di reazione (catalizzatori negativi).
Meccanismi alla base della catalisi
Nella catalisi omogenea il catalizzatore abbassa l’energia di attivazione. Durante la prima fase il catalizzatore si lega a uno dei reagenti e questo complesso reagisce con l’altro reagente per formare il prodotto. Il prodotto è ancora legato al catalizzatore. Ognuna delle fasi ha un’energia di attivazione inferiore a quella che serve per far interagire i due reagenti senza il catalizzatore. Il risultato è un aumento di velocità, ma il prodotto è lo stesso e il catalizzatore non ha subito modifiche.Nella catalisi eterogenea, il catalizzatore ha uno stato di aggregazione diverso dall’ambiente di reazione. Possono esserci combinazioni: gas-solido, liquido-solido, liquido-gas. Nelle reazioni che avvengono a livello industriale il catalizzatore è di solito, solido che è introdotto in una soluzione con i reagenti. Visto che si ha 2 basi, l’interazione fra i reagenti e il catalizzatore deve avvenire sulla superficie di quest’ultimo. Il meccanismo prevede:
- Adsorbimento di almeno un reagente sulla superficie del catalizzatore
- Reazione chimica dei reagenti sulla superficie del catalizzatore
- Desorbimento del prodotto che lascia il catalizzatore.
Anche nella catalisi eterogenea, le energie di attivazione delle varie fasi sono inferiori rispetto a quella necessaria per far avvenire la reazione fra i reagenti senza catalizzatore, con l’aumento della velocità di reazione. è essenziale che il catalizzatore solido sia suddiviso per aumentare la superficie complessiva. Non tutta la superficie di un catalizzatore è utile per la catalisi, ma solo alcune parti, chiamate siti attivi che riescono ad adsorbire il reagente.
Disattivazione dei catalizzatori
Nel loro utilizzo, i catalizzatori tendono a invecchiare, cioè perdere la capacità di accelerare la reazione. Ci sono vari motivi:1. Aggregazione delle loro particelle, di solito determinata da alte temperature, con diminuzione della superficie utile
2. Adsorbimento di sostanze nell’ambiente di reazione, così che i catalizzatori non riescono più ad adsorbire i reagenti. Queste sostanze, cioè i veleni, sono in genere impurezze nei reagenti o nel solvente usato per la reazione. L'adsorbimento dei veleni sulla superficie del catalizzatore può essere irreversibile o reversibile in base se la sostanza si lega in maniera permanente al catalizzatore oppure che può essere rimossa facilmente trattando il catalizzatore una volta separato dall’ambiente di reazione.
3. Deposizione di polveri o altri materiali che sporcano la superficie in modo da impedire l’adsorbimento dei reagenti.
L'invecchiamento dei catalizzatori non può essere evitato, ma se si esclude il caso quando i catalizzatori vengono avvelenati in modo irreversibile, possono essere rigenerati e usati nuovamente.
Catalizzatori biologici
Oltre che in industria, la catalisi è fondamentale nelle reazioni biologiche. I catalizzatori biologici sono chiamati enzimi. Essi sono sostanze di natura proteica che permettono la maggior parte delle reazioni che avvengono negli organismi viventi. Possono essere formati da una sola proteina o da una proteina associata a un gruppo di natura non proteica. In quest’ultimo caso, se il gruppo non proteico è saldamente legato alla proteina, si chiama gruppo prostetico. Se la proteina e gruppo non proteico sono facilmente separabili, la proteina si chiama apoenzima e il gruppo non proteico, coenzima. L'insieme dei due è l’oloenzima o enzima. I gruppi non proteici o semplici ioni metallici, necessari per l’attività dell’enzima, sono detti cofattori. Una caratteristica degli enzimi è che sono estremamente selettivi: ognuno è capace di agire solo in una data situazione. La specificità può riguardare:- Un solo tipo di legame
- Un solo gruppo chimico
- Una sola molecola
- Un solo isomero
La sostanza su cui agisce l’enzima è il substrato. Il meccanismo di azione degli enzimi ha come prima fase quella della formazione di un complesso fra l’enzima e il substrato. Poiché la molecola del substrato è più piccola di quella dell’enzima, solo una piccola parte di quest’ultimo chiamata sito attivo è coinvolta nella catalisi. La maggior parte degli enzimi sono all’interno delle cellule e sono quelli classificati come enzimi intracellulari. Altri vengono prodotti dalle cellule, ma poi espulsi per poter agire al di fuori di esse (enzimi extracellulari). Essendo di natura proteica, gli enzimi possono danneggiarsi a causa del calore o da sostanze chimiche che li denaturano impedendo il loro giusto funzionamento. Gli enzimi presenti negli organismi viventi sono molti, per questo bisogna classificarli. L'unione internazionale di biochimica e biologia molecolare ha elaborato una classificazione dove a ogni enzima viene assegnato un codice che inizia con la sigla EC (enzime commission) seguita da 4 numeri. Il primo numero indica la classe principale di appartenenza in base al tipo di reazione catalizzata. Le classi sono 6 ed ognuna è stata divisa in sottoclassi, alle quali sono stati assegnati numeri diversi, in base alla reazione a cui partecipa l’enzima.
Utilizzo industriale degli enzimi
Gli enzimi sono essenziali per la produzione di alcuni alimenti. Poiché gli enzimi sono macromolecole organiche e agiscono nell'ambito degli organismi viventi, svolgono la loro funzione in ambienti acquosi e a temperature compatibili con la vita. Il loro uso industriale per la produzione di sostane o per varie lavorazioni devono essere realizzati in queste condizioni. Gli enzimi usati, esempio, nell’industria del cuoio, nell’industria tessile, ecc. vengono principalmente da colture di microorganismi capaci di produrre gli enzimi desiderati attraverso processi di fermentazione o per reazione su substrati specifici, in ambienti acquosi e alle opportune temperature. La scoperta di una particolare categoria di enzimi detti enzimi di restrizione ha rivoluzionato gli studi di ingegneria genetica, permettendo agli scienziati di manipolare il DNA modificandolo attraverso tagli di parti o introduzione di frammenti provenienti anche da specie diverse.
Verifica della solubilità di alcune sostanze
L'acqua distillata e l’etanolo sono 2 solventi polari. L'esano è apolare. Il cloruro di sodio (solido ionico), il solfato rameico (sostanza polare) e il saccarosio (polare) si solubilizzano in solventi polari ma non in quelli apolari. L'olio (mix sostanze apolari) non solubilizza in acqua ed etanolo, ma solo nell’esano. Poiché il carbonato di sodio essendo un composto polare con bassa solubilità, non si solubilizza in acqua ed etanolo in maniera evidente e, naturalmente, non si solubilizza nel solvente apolare.
Determinazione della densità di un oggetto solido di forma complessa
Usando le attrezzature da laboratorio, determinare la densità di un oggetto di forma complessa per cui il volume non può essere misurato direttamente. La misura del volume può essere ottenuta in modo indiretto: mettere in un cilindro graduato dell’acqua, poi immergere totalmente l’oggetto e con la differenza di altezza dell’acqua nel cilindro posso capire il volume dell’oggetto.
Microscopio
Strumento che consente di osservare oggetti molto piccoli come se fossero di dimensioni molto maggiori di quelle reali. L'ideatore è Antoni van Leeuwenhoek.- Microscopio ottico composto
Formato da 4 elementi:
1) Uno stativo rappresentato dal supporto
2) Tubo ottico, retto dallo stativo, che ha da una parte l’obiettivo e dall’altra parte, cioè verso l’osservatore, l’oculare. Il tubo può essere mosso verticalmente anche in maniera micrometrica, per mettere a fuoco il campione.
3) Una base di appoggio o tavolino traslatore, dove si posiziona l’oggetto da esaminare che può essere spostato orizzontalmente, in tutte e 4 le direzioni, per mezzo di viti micrometriche.
4) Un sistema di illuminazione del campione.
Esistono microscopi che possono montare una macchina fotografica o una macchina da ripresa sopra l’oculare per registrare le immagini provenienti dal campione.
Componenti
L’obiettivo cattura la luce che passa attraverso il campione e proietta una sua immagine invertita nel tubo del microscopio. È fatto in modo da focalizzare l’immagine acquisita nel punto più vicino al campione per poterne proiettare un ingrandimento nel microscopio. Ci sono vari obiettivi, che danno vari ingrandimenti (4x, 25x, 40x, 100x), montati su un portaobiettivi o tante che li posiziona uno alla volta sopra l’oggetto da seminare.Obiettivi a secco hanno NA=0,95. All’interno a immersione d’olio hanno NA= 1,2/1,4.
Le caratteristiche degli obiettivi sono incise sulla loro superficie. Se su un obiettivo si leggono su 2 righe 40/0,65 e 160/0,17 significa:
- 40 è il numero di ingrandimenti permesso dall’obiettivo
- 0,65 apertura numerica160 illimitati che devono separare l’obiettivo dall’oculare
- 0,17 è lo spessore massimo che deve avere il vetrino copri oggetto.
Su quelli a immersione c’è la scritta “oil”.
L’obiettivo è fatto da più lenti che servono per annullare il fenomeno della dispersione. La luce che colpisce la lente ha varie componenti e diversa lunghezza d’onda (colore). Visto che ogni colore nel passaggio nella lente subisce una deviazione, non tutti i raggi convergono nello stesso piano focale. Per questo negli obiettivi ci sono varie lenti che correggono questa anomalia che si chiama aberrazione romantica correggono anche altri tipi di aberrazioni. In relazione a questi fenomeni cromatici sono disposti vari tipi di obiettivi:
1) Quello acromatico, meno costoso, da risultati migliori con una luce che passa da un filtro verde e con immagini in bianco e nero.
2) Quello a fluorite, più costoso del precedente, usato per la fotomicrografia a colori.
3) Quello apocromatico, il più costoso, migliore per la registrazione e osservazione a colori.
L’oculare è nella parte alta del tubo ottico e può essere singolo per una visione monoculare, o doppio (microscopio binoculare). Ingrandisce una seconda volta l’immagine trasmessa dall’obiettivo (a 10x). Spesso la parte inferiore dell’oculare si può svitare per inserire un retino che aiuta a contare elementi nel campione o misurarlo. L’ingrandimento totale si ottiene moltiplicando il valore dell’obiettivo per quello oculare.
Il condensatore è sotto il tavolino portaoggetti tra la lampada per l’illuminazione e il campione. Concentra la luce del sistema di illuminazione e la invia a raggi paralleli sul campione. Ha un diaframma che può essere aperto o chiuso per aumentare o diminuire la risoluzione.
Principio di funzionamento
L’immagine che va all’occhio oltre ad essere ingrandita, deve essere ben visibile. A capacità di dare immagini distinguibili nei dettagli è il potere di risoluzione, indicato dalla più piccola distanza alla quale 2 elementi vicini possono essere distinti dall’occhio. Il microscopio ottico ha potere di risoluzione di 0,2 micrometri. La risoluzione dell’occhio è 500 volte inferiore (0,1mm). Il potere di risoluzione aumenta all’aumentare dell’apertura del diaframma del condensatore. Visto che l’aumento della risoluzione porta una diminuzione del contrasto, bisogna trovare un compromesso tra i due.L’occhio umano è formato da una lente composta i cui componenti sono la cornea, l cristallino (lente biconvessa) e l’umor vitreo. L’insieme di queste parti è mobile per riuscire a mettere a fuoco l’oggetto. Ra la cornea e il cristallino c’è l’iride, con stessa funzione del diaframma del condensatore, potendo chiudere e aprire la pupilla, spazio dove passa la luce. Sul fondo dell’occhio c’è la retina fatta dai recettori che catturano l’immagine e la trasmettano al nervo ottico. L’occhio distingue due punti vicini a seconda della distanza. Più sono vicini, più è facile distinguerli fino a quando si vede sfuocato troppo vicino. La distanza minima è 25cm ed è la distanza di visione distinta.
Se prendo una lente biconvessa (cristallino), i raggi di luce che lo attraversano subiscono doppia deviazione: a prima nel passaggio dall’aria alla lente la seconda nel passaggio di nuovo da lente all’aria. I raggi paralleli che colpiscono la lente sono deviati da un piano focale (piano ortogonale al suo asse ottico). Una lente biconvessa ha un piano focale anteriore e uno posteriore. Visto che la lente è spessa e più la distanza focale si riduce. Se si mette un oggetto a distanza superiore a quella focale della lente, ma inferiore a 2 volte la distanza focale, all’altra parte della lente si forma un’immagine ingrandita e capovolta che viene detta reale, perché si può proiettare su uno schermo. Se l’oggetto è posto a una distanza superiore al valore doppio di quella focale, l’immagine è rimpicciolita. Se l’oggetto è in un punto più vicino alla lente rispetto a quella focale, l’immagine trasmessa è dritta e ingrandita dalla stessa parte della lente dove i trova l’oggetto. Questa immagine può essere catturata n uno schermo, per questo detta virtuale.
Il microscopio ottico è composto dalla combinazione di 2 lenti biconvesse. La prima (obiettivo) si trova vicino l’oggetto a una distanza poco superiore al fuoco della lente. La seconda (oculare) viene messa in modo che l’immagine dell’obiettivo si trovi sul suo piano focale. L’immagine creata dall’obiettivo diventa l’oggetto oculare. Quindi l’immagine è capovolta.
Microscopio elettronico
Schema di funzionamento simile quello ottico. La sorgente luminosa è sostituita da un fascio di elettroni emessi da un catodo il cristallo di tungsteno che produce gli elettroni, viene riscaldato a 2700-3000K così che gli elettroni acquistino energia. Le lenti del condensatore, dell’obiettivo e dell’oculare sono lenti elettromagnetiche. L’immagine elettronica dell’oggetto è catturata da uno schermo fluorescente dove si può vederla. Tutto l’apparato si trova in un involucro dove si deve praticare n vuoto spinto. L’uso di elettroni come fonte di illuminazione si ha una risoluzione 100.000 oltre maggiore rispetto alla luce visibile, perché il potere risolutivo è proporzionale alla lunghezza d’onda della radiazione usata per l’illuminazione. Lunghezza d’onda della luce visibile è di 500nm, mentre quello degli elettroni è di 0,005nm. I microscopi elettronici possono essere a scansione (SEM) o a trasmissione (TEM). Nei primi, il fascio di elettroni è mobile e si sposta sulla superficie del campione scagionandolo. Gli elettroni riflessi vengono raccolti da un rilevatore. Nei secondi, l fascio di elettroni passa attraverso il vuoto per poi attraversare il campione (con spessore fra 5 e 500nm).
Uso del microscopio ottico
Gli oggetti da esaminare non devono essere molto spessi per permettere alla luce di attraversarli. Il campione viene posto su un vetrino e coperto da un vetrino coprioggetto. Il vetrino preparato viene messo sul tavolino e fissato con le levette fermavetrino. L’osservazione inizia con l’oculare a più bassa ingrandimento.per mettere a fuoco si usa la vite macrometrica e poi su quella micrometrica che fa muovere il tubo ottico. Per focalizzare un particolare si usano le viti che fanno muovere il tavolino in quattro direzioni. bisogna regolare la luce, agendo sul condensatore e sul diaframma, in modo che sia abbastanza intensa per permettere l’osservazione, ma non troppo per non perdere la definizione. Poi si ruotano i porta obiettivi per usare quelli a ingrandimento maggiore.il cambio dell’obiettivo richiede l’aggiustamento dell’altezza del tubo oculare e dell’illuminazione. L’immagine che arriva all’occhio e capovolta e quindi il movimento del tavolino è contrario rispetto a quello che percepiamo.
Campionamento
Il campione deve essere rappresentativo della quantità. La correttezza del campionamento è importante nelle analisi quantitative, dove la composizione del campione deve rappresentare l’intera massa. Il piano di campionamento è corretto se può rispondere a:1) Da quale punto della massa deve essere preso il campione?
2) Che tipo di campione deve essere prelevato?
3) Qual è la quantità minima di campione da prelevare?
4) Quanti campioni devono essere analizzati?
Dove prelevare il campione
Se il materiale è omogeneo, i campioni possono essere presi senza tener conto errori di campionamento. Un materiale con composizione eterogenea può modificarsi nel tempo (es. medicinale in sospensione, dove il principio attivo è sul fondo e, per avere un campione significativo bisogna scuotere il contenitore). Anche sangue e urine non hanno sempre la stessa composizione (es. nei diabetici il livello di glucosio dipende da vari fattori). Se è possibile bisogna omogeneizzare il materiale prima del prelievo, sennò si fanno prelievi in modo da ridurre gli errori sulle eterogeneità.Il campionamento casuale è un buon metodo, ma difficile da realizzare. Per essere casuale bisogna organizzar un piano di campionamento che divide il materiale da esaminare in piccole unità uguali, numerarle e affidarsi a un generatore di numeri casuali per sapere le quantità da prelevare.
Il campionamento selettivo usa informazioni disponibili sul materiale per aiutare la selezione dei campioni. Il campione è più mirato e necessita di meno campioni.
Il campionamento sistematico prevede prelievi a intervalli regolari. Se c’è un materiale eterogeneo, si suddivide in una griglia bidimensionale o tridimensionale. I campioni sono raccolti dal centro di ogni unità o all’incrocio delle linee della griglia. Se l’eterogeneità dipende dal tempo, sono prelevati a intervalli regolari.
Il campionamento selettivo-sistematico è usato per il controllo della presenza di inquinanti nello spazio e nel tempo (es. versamento inquinante in un fiume si raccoglie prelievi a intervalli regolari, ma tenendo conto a come il flusso inquinante si distribuisce nella corrente del fiume).
Campionamento stratificato usato per materiali che hanno stratificazioni. I prelievi casuali sono fatti su ogni strato. I campioni sono analizzati le medie di dati di ogni strato sono elaborate per avere un valore che rappresenta la massa.
Quale campione prelevare
Individuato il materiale da monitorare si stabilisce che tipo di campione prendere. Ci sono 3 metodi:1) Prelevare una porzione della massa. Questo metodo si adatta ai molti tipi di campionamento, e da un'istantaneità nello spazio e nel tempo della massa.
2) Campione composito, combinare un insieme di campioni per formare solo uno. Poi è mescolato e analizzato. È utile se voglio un valore mediano nello spazio e nel tempo. L’analisi di un singolo campione composito è un risparmio di tempo e costi. Spone un campione più grande da analizzare quando i singoli prelievi sono insufficienti per il tipo di analisi da fare.
3) Non c’è un prelievo, ma c’è l’analisi è fatta in situ con un sensore messo nella massa da indagare. Così si può monitorare continuamente senza prelievo. Spesso il pH di una soluzione che si muove in linea di produzione viene controllato immergendo un sensore nel fluido.
Quantità di campione da prelevare
Per ridurre gli errori, un campione raccolto in modo casuale deve avere delle dimensioni appropriate. Se è troppo piccolo la sua composizione può differire da quella dell’intera massa, facendo un errore. Quelli troppo grandi richiedono più denaro e tempo per la raccolta e analisi. Se non è omogeneo ma è fatto da pezzi separati, esistono formule che suggeriscono il numero di elementi da prelevare. Se i singoli elementi sono grandi, il campione risulta enorme e scomodo da analizzare. Si può ridurlo in pezzatura di materiali da analizzare, rispettando il numero di elementi delle formule, ma la massa è inferiore.
Quanti campioni prelevare
Se i campioni prelevati dalla massa sono distribuiti normalmente, esistono equazioni che suggeriscono il numero di prelievi da fare.
Come trattare i campioni
Pianificato il campionamento bisogna attuarlo. Ci sono 3 passaggi da sviluppare: prelievo fisico della massa, la conservazione del campione e la preparazione del campione per l’analisi. Per non inquinarlo, bisogna usare strumenti inerti e puliti. Dopo essere prelevato, il campione può subire trasformazioni chimiche o fisiche, che darebbe dei risultati non rappresentativi della massa. Per evitarlo i campioni vengono protetti durante il trasporto al laboratorio. Il campione prelevato (primario o lordo) può essere singolo o composto dall’unione di più prelievi. A volte il campione lordo non può essere analizzato senza fare un trattamento preliminare, cioè la riduzione delle sue dimensioni o può trasformarsi in una forma facile da analizzare o in una preventiva omogeneizzazione. A seconda dello strato di aggregazione del materiale, esistono varie procedure di raccolta, conservazione e pretrattamento dei campioni. A tutti i pretrattamenti il più utile quello che permette di isolare il componente del campione che si vuole caratterizzare, anche se non sempre possibile perché nella fase di separazione si ha una perdita della sostanza desiderata. L’operazione di isolamento è possibile solse se c’è una proprietà fisica o chimica della sostanza che la distingua dagli altri componenti del campione. Un altro trattamento usato quando la sostanza da individuare è presente in piccole quantità nel campione, si usa una preconcentrazione per aumentare la possibilità di un’analisi affidabileDomande da interrogazione
- Qual è la definizione di solvente e soluto in una soluzione?
- Come si determina la solubilità di una sostanza?
- Quali sono le caratteristiche importanti dei solventi usati nell'industria?
- Qual è il ruolo dei catalizzatori nelle reazioni chimiche?
- Come si utilizza un microscopio ottico per osservare un campione?
In una soluzione, il solvente è il componente presente in maggior quantità e allo stato liquido, mentre il soluto è presente in quantità minore. Una soluzione si forma quando il solvente riesce a sciogliere il soluto.
La solubilità è la quantità massima di soluto che può sciogliersi in un determinato volume di soluzione, espressa in grammi per litro o moli per litro. Dipende dalla natura del solvente e del soluto e dalla temperatura.
I solventi industriali devono solubilizzare i materiali nelle giuste quantità e avere caratteristiche come velocità di evaporazione, punto di ebollizione, viscosità e tensione superficiale. Non devono reagire chimicamente con il soluto.
I catalizzatori accelerano le reazioni chimiche abbassando l'energia di attivazione senza modificare i prodotti finali. Possono essere omogenei o eterogenei, a seconda dello stato di aggregazione rispetto all'ambiente di reazione.
Per usare un microscopio ottico, il campione deve essere sottile per permettere alla luce di attraversarlo. Si posiziona su un vetrino, si copre con un coprioggetto, e si regola la messa a fuoco e l'illuminazione per ottenere un'immagine chiara e dettagliata.