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Concetti Chiave

  • Un'anamnesi dettagliata è fondamentale per diagnosticare correttamente le malattie immunologiche, guidando le ipotesi diagnostiche.
  • Nel caso clinico della ragazza di 20 anni, la diagnosi di immunodeficit o malattia autoinfiammatoria è esclusa da esami specifici e anamnesi dettagliata.
  • La ragazza presenta un'infezione renale persistente, evidenziata da una TC addominale, che spiega i sintomi non attribuibili a immunodeficit o autoinfiammazione.
  • Il caso clinico della donna di 42 anni mostra come la pericardite ricorrente possa essere parte di una malattia autoinfiammatoria, confermata dal dosaggio di Saa elevato.
  • L'uso della colchicina ha dimostrato efficacia nel prolungare gli intervalli tra gli episodi di pericardite, suggerendo un trattamento efficace per la malattia autoinfiammatoria.

Indice

  1. Importanza dell'anamnesi
  2. Indagini e diagnosi finale
  3. Terapia e conferma diagnostica

Importanza dell'anamnesi

È molto importante eseguire un’anamnesi corretta e approfondita, perché dà informazioni importanti che possono guidare verso la diagnosi.

Caso clinico 1 – ragazza di 20 anni ricoverata per febbre di origine sconosciuta (Fuo). La prima cosa che ci si chiede è se sia un immunodeficit, una malattia autoinfiammatoria o una malattia autoimmune all’esordio. Dalla storia clinica i medici suggeriscono varie ipotesi: c’è chi propende per un immunodeficit e chi per una malattia autoinfiammatoria. Si esegue poi un’attenta anamnesi e si scopre che la pz aveva già fatto 4 accessi in Ps per evento febbrile; fin qui entrambe le ipotesi diagnostiche sono plausibili. Si osservano gli esami del sangue dei precedenti 4 ricoveri e si scopre che in 2 occasioni la Pcr era ai limiti superiori del range di normalità o leggermente aumentata; i neutrofili erano invece normali, così come Rx torace ed eco addome.

Indagini e diagnosi finale

Le due ipotesi diagnostiche risultano ancora plausibili. Nel caso fosse giusta l’ipotesi di immunodeficit si avrebbe Pcr solo leggermente mossa e neutrofili falsamente normali, quindi per confermare la diagnosi si dovrebbe cercare un’altra attivazione del S.I., ad esempio indicazioni indirette a livello linfonodale (ci si aspetterebbe qualche linfonodo reattivo all’Rx torace e/o all’Rx addome e/o milza ai limiti superiori della normalità); in questo caso mancano questi indicatori e la diagnosi risulta quindi improbabile.

Per quanto riguarda l’ipotesi di malattia autoinfiammatoria, si nota che come unico indicatore di infiammazione è presente la febbre. A questo punto si procede con l’anamnesi: la ragazza ha una storia di anoressia e bulimia dagli 11 anni, forma psicotica diagnosticata a 6 anni in trattamento con 4 farmaci antipsicotici diversi, crisi di ansia ricorrenti e ricoveri presso il Csm ripetuti, abuso di alcol e sostanze stupefacenti; risulta chiaro come ci siano molte potenziali cause di immunodeficit secondario. Si eseguono esami del sangue e si osserva un difetto di Ig (in realtà all’elettroforesi sieroproteica la zona delle gamma globuline era normale, ma le IgG erano diminuite (anche se non in maniera tale da soddisfare i criteri per la diagnosi di immunodeficit con carenza di Ig, anche perché IgA e IgM erano normali). Quindi non si può fare né diagnosi di immunodeficit né di malattia autoinfiammatoria. Per scrupolo si esegue anche il dosaggio della Saa, che risulta normale ed esclude definitivamente la diagnosi di malattia autoinfiammatoria. Si esegue a questo punto una Tc addome per osservare il rene, che infatti risulta ricco di ascessi triangolari; si ha quindi infezione del rene, che è come un “santuario” dove si possono instaurare infezioni persistenti e difficili da diagnosticare, anche perché il rene è molto compliante e compensa bene a lungo.

Caso clinico 2 – donna di 42 anni seguita da molto tempo dal cardiologo per versamento pericardico paucisintomatico. La donna ha episodi di febbricola, in occasione dei quali avverte un discomfort toracico (non dolore, non dispnea) che le impedisce di svolgere normalmente le attività quotidiane. Inizialmente, questi episodi si presentavano una volta all’anno circa, mentre ultimamente hanno cominciato a presentarsi una/due volte al mese, quindi il cardiologo prescrive una terapia continuativa con Fans per la pericardite ricorrente (non il cortisone perché è efficace subito, ma svezzare il pz è molto difficile; un’alternativa sarebbe la colchicina, farmaco contro l’artrite gottosa che inibisce la demarginalizzazione dei neutrofili inibendo l’asse nucleasoma-Il-1).

Terapia e conferma diagnostica

Il cardiologo si rivolge a questo punto all’immunologa, che evidenzia come la pericardite possa essere una manifestazione inserita in un quadro più ampio di malattia autoinfiammatoria; si esegue a questo punto una prova con la colchicina e si osserva come questa allunghi gli intervalli fra gli episodi acuti. Si richiede poi il dosaggio di Saa, che risulta aumentata anche nel periodo di benessere e conferma la diagnosi di malattia autoinfiammatoria (già sospettabile anche solo grazie all’anamnesi, che evidenziava episodi di infiammazione ricorrenti e stereotipati).

Domande da interrogazione

  1. Qual è l'importanza di un'anamnesi approfondita nelle malattie immunologiche?
  2. Un'anamnesi corretta e approfondita è cruciale perché fornisce informazioni importanti che possono guidare verso la diagnosi, come dimostrato nel caso clinico della ragazza con febbre di origine sconosciuta.

  3. Quali sono le ipotesi diagnostiche considerate nel caso clinico della ragazza di 20 anni?
  4. Le ipotesi diagnostiche considerate sono immunodeficit, malattia autoinfiammatoria e malattia autoimmune all’esordio, ma nessuna è confermata definitivamente.

  5. Quali esami sono stati eseguiti per escludere la malattia autoinfiammatoria nel primo caso clinico?
  6. Sono stati eseguiti esami del sangue, elettroforesi sieroproteica, dosaggio della Saa e una Tc addome, che hanno escluso la malattia autoinfiammatoria.

  7. Come è stata gestita la pericardite ricorrente nel caso clinico della donna di 42 anni?
  8. La pericardite ricorrente è stata gestita con una terapia continuativa con Fans e una prova con colchicina, che ha allungato gli intervalli fra gli episodi acuti.

  9. Qual è stato il ruolo della colchicina nel secondo caso clinico?
  10. La colchicina è stata utilizzata per inibire la demarginalizzazione dei neutrofili e ha dimostrato di allungare gli intervalli tra gli episodi acuti, confermando la diagnosi di malattia autoinfiammatoria.

Domande e risposte