Concetti Chiave
- L'inquadratura cinematografica limita lo spazio visibile, creando una dialettica tra campo (ciò che si vede) e fuoricampo (ciò che non si vede).
- Il campo rappresenta la realtà visibile e percepita dallo spettatore, mentre il fuoricampo stimola memoria e immaginazione.
- Il fuoricampo è fondamentale per creare suspense, sorpresa e ampliare il contesto storico o narrativo del film.
- Entrate e uscite di scena, sguardi e suoni off sono tecniche per suggerire la presenza di elementi fuoricampo.
- Il fuoricampo si divide in attivo e passivo, influenzando rispettivamente la curiosità dello spettatore e il contesto narrativo.
Dialettica tra campo e fuoricampo
Un’inquadratura indica la porzione di spazio catturata dalla macchina da presa. Con un’inquadratura si adotta quindi un punto di vista, si fa una scelta su cosa introdurre e cosa no. Detto altrimenti, la MDP, catturando particolari spaccati di mondo, può fornire una visione parziale e non totale delle cose. E qui che interviene la magia del cinema attraverso tutte le componenti che ne costituiscono il linguaggio (montaggio, suono, fotografia, ellissi narrative), è qui che entra in scena una componente essenziale dell’arte di fare cinema: la dialettica tra campo e fuori campo, tra ciò che vediamo impresso sullo schermo perché inquadrato dalla MDP e ciò che possiamo realisticamente capire anche se non lo vediamo. Il campo è dunque quello che lo spettatore vede, ciò che mostra il profilmico. Il fuori campo, invece, è tutto ciò che non viene mostrato ma che esiste in quanto parte dello spazio, di cui l’inquadratura è solo una minima parte. Diciamo quindi che al Cinema, per la comprensione di una storia, ciò che non vediamo è importante come quello che ci viene fatto vedere. Questo ci rimanda alle capacità analitiche di ogni singola persona, alle soggettività interpretative di ognuno, che devono essere pertinenti, ragionate motivate. Ogni inquadratura cinematografica divide lo spazio in due: uno interno all’immagine (il campo, la realtà rappresentata) e un altro posto al di là della selezione. Il cosiddetto «fuori campo», la realtà non visibile dallo spettatore ma che comunque produce significato: perché inquadrare significa sempre anche nascondere. E se il campo fa appello direttamente al sistema percettivo dello spettatore, il fuori campo fa appello alla memoria e all’immaginazione. Il campo è presenza, il fuori campo è assenza, ma di un tipo particolare, perché tale assenza può diventare presenza ad ogni momento. Basta un allontanamento di piano o di campo, un movimento di macchina o uno stacco, ed ecco che il fuori campo può essere reintegrato e ciò che prima era invisibile può mostrarsi allo sguardo. Diversi sono i modi con i quali si può rendere l’idea del fuori campo. Uno è quello delle entrate e uscite di campo. Chi guarda è facilmente indotto a pensare che chi entra in campo non arriva dal nulla. E neanche scompare del tutto quando esce dal campo. Rimane nella narrazione anche quando non lo vediamo. Un altro è generato dallo sguardo che guarda in una direzione posta fuori campo. In questo caso, lo spettatore è indotto a chiedersi chi o cosa c’è oltre il campo visivo. Un altro ancora si lega al cosiddetto suono-off, ovvero qualsiasi effetto sonoro che conduce lo spettatore a percepire la presenza fuori campo di un personaggio o di un oggetto.
I fuori campo sono determinanti per la creazione dell’effetto sorpresa, della suspense, della presenza dell’imprevedibile o dell’inserimento del film in un quadro storico più ampio. Di ogni cosa, insomma, che non vediamo ma che può manifestarsi in ogni momento. Ma questo non significa che il fuori campo debba essere ricondotto al solo spazio posto vicino all’inquadratura (sopra, sotto, destra, sinistra). Ma anche a ciò che sta oltre la scenografia e dietro la macchina da presa. Detto altrimenti, il fuori campo è fatto oggetto di una fondamentale distinzione: il fuori campo attivo, che è quello che spinge lo spettatore a interrogarsi su quanto sta accadendo in campo, quello in cui ciò che si vede o si sente spinge a farsi delle domande concrete (Che cosa sta succedendo? Che cosa sta guardando quel personaggio? Che cosa è quel rumore?); il fuori campo passivo, invece, è quello in cui i suoni, i rumori, le voci, gli inserti simbolici servono a contestualizzare l’immagine all’interno di un quadro più ampio.
Domande da interrogazione
- Qual è il ruolo della dialettica tra campo e fuori campo nel cinema?
- Come si definisce il "campo" in un'inquadratura cinematografica?
- In che modo il "fuori campo" contribuisce alla narrazione cinematografica?
- Quali sono alcuni metodi per rappresentare il "fuori campo" nel cinema?
- Qual è la differenza tra "fuori campo attivo" e "fuori campo passivo"?
La dialettica tra campo e fuori campo è essenziale nel cinema perché permette di creare una visione parziale e non totale delle cose, stimolando l'immaginazione e la memoria dello spettatore.
Il "campo" è la porzione di spazio visibile sullo schermo, rappresentata dall'inquadratura della macchina da presa, e costituisce la realtà percepita direttamente dallo spettatore.
Il "fuori campo" contribuisce alla narrazione creando suspense, sorpresa e un contesto più ampio, inducendo lo spettatore a immaginare e interpretare ciò che non è visibile.
Alcuni metodi includono le entrate e uscite di campo, lo sguardo dei personaggi verso il fuori campo, e l'uso del suono-off per suggerire presenze non visibili.
Il "fuori campo attivo" stimola lo spettatore a porsi domande concrete su ciò che accade, mentre il "fuori campo passivo" serve a contestualizzare l'immagine in un quadro più ampio attraverso suoni e simboli.