Fabrizio Del Dongo
Genius
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Concetti Chiave

  • Torquato Tasso invoca il fiume Metauro, simbolo di protezione e riposo, paragonandolo alla famiglia Della Rovere, signori di Urbino.
  • Il poeta esprime il suo desiderio di essere protetto dall'ombra sacra del fiume, cercando rifugio dalla Fortuna crudele che lo perseguita.
  • Tasso riflette sulla sua infanzia infelice, segnata dal distacco materno e dall'esilio forzato con il padre, evocando immagini mitiche come Ascanio e Camilla.
  • L'autore descrive la sua precoce maturità, forgiata da una vita di sofferenze e povertà, e il bisogno di raccontare i dolori del padre.
  • Il dolore personale di Tasso è profondo, ma egli trova conforto nel pensiero che il padre, ora in cielo, meriti onore e non lamenti.

O del grand’Apennino

figlio picciolo sì ma glorioso,

e di nome più chiaro assai che d’onde;

fugace peregrino

a queste tue cortesi amiche sponde

per sicurezza vengo e per riposo.

L'alta Quercia che tu bagni e feconde

con dolcissimi umori, ond’ella spiega

i rami sì ch’i monti e i mari ingombra,

mi ricopra con l’ombra.

L’ombra sacra, ospital, ch’altrui non niega

al suo fresco gentil riposo e sede,

entro al piú denso mi raccoglia e chiuda,

sì ch’io celato sia da quella cruda

e cieca dèa, ch’è cieca e pur mi vede,

ben ch’io da lei m’appiatti in monte o ‘n valle

e per solingo calle

notturno io mova e sconosciuto il piede;

e mi saetta sì che ne’ miei mali

mostra tanti occhi aver quanti ella ha strali.

Ohimè! dal dì che pria

trassi l’aure vitali e i lumi apersi

in questa luce a me non mai serena,

fui de l’ingiusta e ria

trastullo e segno, e di sua man soffersi

piaghe che lunga età risalda a pena.

Sàssel la gloriosa alma sirena,

appresso il cui sepolcro ebbi la cuna:

così avuto v’avessi o tomba o fossa

a la prima percossa!

Me dal sen de la madre empia fortuna

pargoletto divelse.

Ah! di quei baci,

ch’ella bagnò di lagrime dolenti,

con sospir mi rimembra e degli ardenti

preghi che se ‘n portár l’aure fugaci:

ch’io non dovea giunger più volto a volto

fra quelle braccia accolto

con nodi così stretti e sì tenaci.

Lasso! e seguii con mal sicure piante,

qual Ascanio o Camilla, il padre errante.

In aspro essiglio e ‘n dura

povertà crebbi in quei sì mesti errori;

intempestivo senso ebbi a gli affanni:

ch’anzi stagion, matura

l’acerbità de’ casi e de’ dolori

in me rendé l’acerbità de gli anni.

L’egra spogliata sua vecchiezza e i danni

narrerò tutti. Or che non sono io tanto

ricco de’ propri guai che basti solo

per materia di duolo?

Dunque altri ch’io da me dev’esser pianto?

Già scarsi al mio voler sono i sospiri,

e queste due d’umor sì larghe vene

non agguaglian le lagrime a le pene.

Padre, o buon padre, che dal ciel rimiri,

egro e morto ti piansi, e ben tu il sai,

e gemendo scaldai

la tomba e il letto: or che ne gli alti giri

tu godi, a te si deve onor, non lutto:

a me versato il mio dolor sia tutto.

Indice

  1. Il Pellegrino e il Fiume
  2. La Fortuna Ingiusta
  3. Infanzia e Dolore
  4. Esilio e Povertà

Il Pellegrino e il Fiume

O figlio dell’ Appennino, piccolo sì, ma coperto di gloria assai più famoso per il nome che per la portata d’acqua, io, pellegrino instancabilmente errabondo vengo a trovare sicurezza e riposo sulle tue sponde. [Il poeta si rivolge al fiume Metauro, un piccolo corso d’acqua che scende dall’ Appennino, detto glorioso perché nelle sue prossimità i Romani sconfissero Asdrubale, fratello di Annibale]

L’alta Quercia che tu bagni [il poeta si riferisce allo stessa della famiglia dei Della Rovere, signori di Urbino] e rendi fertile con le tue acque, grazie alle quali essa espande le sue fronde [metafora della potenza dei Della Rovere] sulla terra e sul mare, mi possa proteggere con la sua ombra.

La Fortuna Ingiusta

L’ombra sacra ed ospitale che non nega agli altri il suo fresco ed un piacevole riposo, mi protegga accogliendomi nel punto in cui il fogliame è più denso, in modo che io mi possa nascondere da quella e crudele Dea [la Fortuna] che pur essendo cieca, sa vedermi, per quanto io mi nasconda nella montagna o nella valle o cammini lungo un solitario e sconosciuto sentiero notturno; e mi invia tante frecce dolorose da mostrare nel mio dolore tante ferite quanti sono i suoi dardi.

Infanzia e Dolore

Ohimè! Dal giorno in cui nacqui ed aprì gli occhi a questa luce, non conobbi mai felicità [perché] fui bersaglio e divertimento della Fortuna ingiusta e malvagia, e a causa sua ho conosciuto ferite che un pur lungo periodo di tempo a fatica riesce a rimarginare.

Lo sa Partenope [mitica sirena sepolta, secondo la tradizione, a Napoli], presso il cui sepolcro fu collocata la mia culla [Tasso nacque a Sorrento, quindi presso il sepolcro di Partenope] in modo da avere già una tomba od una fossa al primo colpo infertomi dalla Fortuna!

Ma la malvagia fortuna strappò il pargoletto dal seno della madre [Il portò ricorda che a 10 anni fu costretto a seguire in esilio il padre e due anni dopo diventò orfano di madre]. Ah! Mi ricordo i suoi baci bagnati di lacrime piene di dolore e le fervide preghiere che io levai al cielo perché ci potessimo riunire, preghiere che però si dispersero e non ebbero alcun effetto: perché non avrei dovuto essere più accolto fra le sue braccia, in modo stretto e forte..

Esilio e Povertà

Infelice! E con i miei incerti passi da fanciullo seguì mio padre in esilio, come Ascanio seguì il padre Enea o Camilla il padre Metabo, re dei Volsci.

In questi tristi pellegrinaggi io vissi un duro esilio e una grande povertà; conobbi precocemente il dolore: la crudeltà della sorte e l’intensità della sofferenza mi fece maturare in fretta [rese matura l’ acerbità dei miei anni].

Narrerò la vecchia [di mio padre] trascorsa nella malattia e in povertà? Non sono io già ricco a sufficienza dei miei dolori personali, tanto da non bastare ad essere oggetto di un canto doloroso? Dovrò quindi piangere, oltre me stesso, anche altre persone? I sospiri sono insufficienti rispetto a quello che io vorrei e gli occhi, sorgenti abbondanti di lacrime, non riescono a manifestare del tutto il dolore. O padre, o buon padre che mi osservi dal cielo, io ti piansi quando eri malato e quando sei morto e tu lo sai bene, e gemendo mi sono steso sul letto e sulla tua tomba: ora che in paradiso tu conosci la gioia, sei degno di onore e non di lamenti: che il mio dolore sia tutto rivolto a piangere la mia triste situazione.

Domande da interrogazione

  1. Qual è il significato del fiume Metauro nel testo?
  2. Il fiume Metauro è descritto come un piccolo corso d'acqua dell'Appennino, glorioso per la sua storia, poiché vicino ad esso i Romani sconfissero Asdrubale. Il poeta cerca sicurezza e riposo sulle sue sponde.

  3. Come viene rappresentata la Fortuna nel testo?
  4. La Fortuna è descritta come una dea crudele e cieca che, nonostante la sua cecità, riesce a vedere e colpire il poeta con frecce dolorose, simboleggiando le avversità e le ingiustizie subite.

  5. Quali sono i ricordi d'infanzia del poeta?
  6. Il poeta ricorda un'infanzia segnata dalla separazione dalla madre, i suoi baci bagnati di lacrime e le preghiere disperse, a causa della Fortuna che lo costrinse a seguire il padre in esilio.

  7. In che modo l'esilio e la povertà hanno influenzato il poeta?
  8. L'esilio e la povertà hanno portato il poeta a crescere in fretta, facendogli conoscere precocemente il dolore e la sofferenza, maturando l'acerbità dei suoi anni.

  9. Qual è il rapporto del poeta con il padre defunto?
  10. Il poeta esprime un profondo dolore per la perdita del padre, che ha pianto durante la sua malattia e morte. Ora, osservandolo dal cielo, il padre merita onore e non lamenti, mentre il poeta si concentra sul proprio dolore.

Domande e risposte

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