Fabrizio Del Dongo
Genius
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Concetti Chiave

  • The nightingale's lament is a powerful metaphor that evokes the poet's personal sorrow, reminiscent of Orpheus' grief in Virgil's Georgics.
  • The nightingale's song, extending through the night, symbolizes the poet's melancholy and mirrors the elegant, formal style of the poet's own writing.
  • Laura is indirectly referenced, portrayed as a pagan goddess, highlighting the poet's disbelief that death could claim such divine beauty.
  • The poet reflects on the fleeting nature of worldly pleasures, using Laura's beauty and death as symbols of life's impermanence and vanity.
  • The use of alliteration in the poem emphasizes the transition from light to darkness, accentuating the melancholic tone tied to the poet's introspective meditation on life's transience.

Quel rosignuol, che sì soave piagne,

forse suoi fi gli, o sua cara consorte,

di dolcezza empie il cielo e le campagne

con tante note sì pietose e scorte,

e tutta notte par che m’accompagne,

e mi rammente la mia dura sorte;

ch’altri che me non ho di ch’i’ mi lagne;

ché ’n dee non credev’io regnasse Morte.

O che lieve è inganar chi s’assecura!

Que’ duo bei lumi assai più che ’l sol chiari

chi pensò mai veder far terra oscura?

Or cognosco io che mia fera ventura

vuol che vivendo e lagrimando impari

come nulla qua giù diletta e dura.

Indice

  1. Il canto dell'usignolo
  2. Riflessioni sulla morte e la bellezza
  3. La vanità della vita

Il canto dell'usignolo

Quell’usignolo che con il suo canto soave sembra piangere,

[per aver perso] forse i figli, o la sua cara compagna,

riempie di dolcezza il cielo e la natura,

con tante note ben modulate che esprimono pietà.

e pare che mi faccia compagnia tutta la notte,

e mi voglia ricordare la mia triste esistenza

di cui mi posso lamentare solo con me stesso

perché non credevo che anche una dea fosse soggetta alla Morte

Com’è facile ingannare chi si fida!

Chi avrebbe mai pensato che diventassero terra scura [divenire terra e perdere la loro luce]

quei due begli occhi luminosi più splendenti del sole?

Ora capisco come la mia crudele sorte

vuole che, vivendo e piangendo, impari

come non sia duratura ogni cosa che in terra ci procura piacere

L’immagine iniziale trae l’ispirazione da un passo delle Georgiche di Virgilio in cui Orfeo piange per la morte della compagna Euridice e il suo lamento viene assimilato al canto di un usignolo, a cui è stata tolta la nidiata.

Al poeta, il canto dell’usignolo sembra un pianto, per aver perso degli affetto ad esso cari. Il Petrarca proietta nella natura il proprio stato d’animo, ma è un pianto dolce e amaro nello stesso tempo: dolce per il valore intrinseco, amaro perché ricorda allo scrittore la sua triste condizione esistenziale e la morte di Laura. Nell’insieme, si può notare un’atmosfera di velata malinconia che pervade sempre i sonetti.

L’usignolo viene umanizzato e pertanto i termini che ad esso si riferiscono, come figli e consorte, sono quelli che si potrebbero usare per un essere umano. Il suo canto si prolunga per tutta la notte e per questo lo scenario notturno si fa più ampio e la malinconia ancora più diffusa. Pur destando ed esprimendo compassione, esso è anche una dolce musica elegante e ben modulata, come se si adeguasse all’eleganza formale che ha sempre cercato di perseguire il poeta nei suoi componimenti: il canto dell’usignolo è in perfetta sintonia con il canto doloroso dello scrittore.

Riflessioni sulla morte e la bellezza

Nella seconda quartina abbiamo un riferimento a Laura, senza per altro essere mai nominata direttamente. Quando la donna era in vita, essa era apparsa come una dea, nella sua affascinante bellezza e per questo egli aveva creduto che su di lei la Morte non avrebbe mai potuto trionfare. Da notare anche che la bellezza di Laura non è più angelica, ma assimilata a quella di una dea pagana. Il verso 8 esprime in modo suggestivo l’amarezza e la rassegnazione non solo per la morte dell’amata, ma anche per la caducità di ogni realtà umana. L’ammonimento della religione sulla vanità dei beni del mondo, trova in questo sonetto una sua massima e desolata espressione. La stessa Laura, con la sua bellezza e la sua morte, diventa il simbolo di questa dolora presa di coscienza della brevità e della precarietà delle attrattive del mondo. In questo una poesia di taglio amoroso, acquista un valore e un significato universale.

Nel verso 11 “chi pensò mai veder far terra oscura?” troviamo l’allitterazione della R, utile per insistere, in modo doloroso, sull’immagine degli occhi trasformati in terra, in contrasto con quella del verso precedente (verso 10) “Que’ duo bei lumi assai più che ‘l sol chiari”: l’impressione che ne deriva è ancora di una diffusa malinconia, legata alla rievocazione.

La vanità della vita

Nel verso successivo, il poeta si ripiega su se stesso e medita: la vanità della vita è sentita come una rassegnazione, dove è sempre il dolore e il rimpianto: il concetto ricorda un passo biblico dell’Ecclesiaste: “…vidi in onibus vanitatem, et afflictionem animi, et nihil permanere sub sole”, fra l’altro presente in tutta la letteratura medioevale.

Domande da interrogazione

  1. Qual è il significato del canto dell'usignolo nel testo?
  2. Il canto dell'usignolo simboleggia un pianto dolce e amaro, riflettendo la triste condizione esistenziale del poeta e la morte di Laura, creando un'atmosfera di malinconia.

  3. Come viene rappresentata la bellezza di Laura nel testo?
  4. La bellezza di Laura è paragonata a quella di una dea pagana, suggerendo che il poeta credeva che la Morte non potesse trionfare su di lei, esprimendo l'amarezza per la caducità della vita.

  5. Qual è il tema centrale delle riflessioni sulla morte e la bellezza?
  6. Il tema centrale è la consapevolezza della brevità e precarietà delle attrattive del mondo, con la morte di Laura che diventa simbolo di questa dolorosa presa di coscienza.

  7. In che modo il poeta esprime la vanità della vita?
  8. Il poeta esprime la vanità della vita attraverso un sentimento di rassegnazione, dolore e rimpianto, richiamando il concetto biblico dell'Ecclesiaste sulla vanità e l'afflizione dell'animo.

  9. Qual è l'effetto dell'allitterazione nel verso "chi pensò mai veder far terra oscura?"
  10. L'allitterazione della R accentua dolorosamente l'immagine degli occhi trasformati in terra, in contrasto con la loro precedente luminosità, contribuendo alla malinconia del testo.

Domande e risposte

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