Concetti Chiave
- Magone, il più giovane dei figli di Amilcare Barca, partecipa alla seconda guerra punica e muore per ferite riportate in battaglia.
- Nel poema "Africa" di Petrarca, Magone riflette sulla vanità della gloria e sull'inutilità dei successi terreni prima di morire.
- Petrarca utilizza il lamento di Magone per esprimere il concetto cristiano di "vanitas vanitatum", evidenziando la futilità delle conquiste umane.
- La visione di Magone delle città nemiche dalla prospettiva divina richiama la visione mistica anagogica, simile a "Somnium Scipionis" di Cicerone.
- Il componimento è una riflessione sulla condizione umana, la morte come rivelatrice di verità e la critica alla follia dei potenti.
Indice
Magone e la Seconda Guerra Punica
Magone era il più giovane dei tre figli di Amilcare Barca. Prese parte alla seconda guerra punica, distinguendosi in diverse battaglie nella penisola italiana. Insieme al fratello Annibale, a Canne comandava l’esercito cartaginese. Sappiamo che, nel 205, dopo aver distrutto Genova si imbarcò in direzione della sua patria, minacciata da Cornelio Scipione. Le ferite che aveva riportato in una precedente battaglia contro i Romani furono la causa della sua morte.
Il Lamento di Magone
Nel poema in latino, Africa, il Petrarca riprende la figura di Magone, ormai prossimo a morire: si lamenta della vanità e della precarietà degli eventi umani, ricordando come tutta la gloria che si ottiene in vita è inutile: riconosce che aver sottomesso il Lazio e aver vinto i Romani non è servito a nulla. Questo tema è presente costantemente nelle opere del Petrarca e il brano è l’unica parte dell’Africa che il poeta divulgò fra il pubblico prima che l’opera fosse terminata. L’episodio tra l’ispirazione da Tito Livio, anche se lo storico latino non riferisce che l’eroe cartaginese abbia pronunciato un lamento prima di morire. In pratica, Magone si identifica con il Petrarca perché egli dimostra di avere lo stesso mondo interiore.
Concetti di Vanità e Morte
All’inizio del passo, prevale il concetto che l’animo umano diventa orgoglioso e in preda alla superbia di fronte ai successi, una caratteristica di tutto il mondo classico. Tuttavia, subito dopo, il discorso prende una piega diversa che lo fa avvicinare al concetto cristiano “vanitas vanitatun”. Tutto quanto ha origini terrene è inutile, comprese le azioni illustri che stanno alla base di ogni poema epico. Una volta morto, l’anima di Magone vola così in alto da vedere contemporaneamente le due città nemiche: si tratta di un evidente ripresa del Somnium Scipionis di Cicerone. Si tratta della visione della realtà che i critici chiamano “anagogica”, cioè il passaggio graduale dalla realtà sensibile ad un significato spirituale, quasi mistico, come se le cose terrene fossero considerate come rappresentazione e simbolo delle cose divine: l’immagine delle due città viste dalla prospettiva divina (Dio che sovrasta) è di chiara ispirazione cristiana.
Il Poema di Petrarca
Hic postquam medio iuvenis stetit equore Penus,
vulneris increscens dolor et vicinia dure
mortis agens stimulis ardentibus urget anhelum.
Ille videns propius supremi temporis horam,
incipit: “Heu qualis fortune terminus alte est!
Quam letis mens ceca bonis! furor ecce potentum
precipiti gaudere loco. Status iste procellis
subiacet innumeris et finis ad alta levatis
est ruere. Heu tremulum magnorum culmen honorum,
spesque hominum fallax et inanis gloria fictis
illita blanditiis! heu vita incerta labori
dedita perpetuo, semperque heu certa nec unquam
sat mortis provisa dies! heu sortis inique
natus homo in terris! animalia cunta quiescunt;
irrequietus homo, perque omnes anxius annos
ad mortem festinat iter. Mors, optima rerum,
tu retegis sola errores, et somnia vite
discutis exacte. Video nunc quanta paravi,
ah miser, in cassum, subii quot sponte labores,
quos licuit transire michi. Moriturus ad astra
scandere querit homo, sed mors docet omnia quo sint
nostra loco. Latio quid profuit arma potenti,
quid tectis inferre faces? quid federa mundi
turbare atque urbes tristi miscere tumultu?
Aurea marmoreis quid ve alta palatia muris
erexisse iuvat, postquam sic sidere levo
sub divo periturus eram? Carissime frater,
quanta paras animis, heu fati ignarus acerbi
ignarusque mei?”. Dixit; tum liber in auras
spiritus egreditur, spatiis unde altior equis
despiceret Romam simul et Carthaginis urbem,
ante diem felix abiens, ne summa videret
excidia et claris quod restat dedecus armis
fraternosque suosque simul patrieque dolores.
Riflessioni di Magone sulla Vita
A questo punto, il giovane cartaginese [si tratta di Magone, fratello di Annibale], che si trovava in alto mare, poiché il dolore della ferita aumentava e si stava avvicinando l’inesorabile morte, giaceva ansimante e febbricitante. Quando senti imminente l’ultima ora della sua vita, cominciò a dire: “Ahimè! Che termine viene dato ad un’alta fortuna! Quanto si rende cieca la ragione di fronte a lieti successi! Questa è una follia dei potenti: esultare [nel trovarsi] di una vertiginosa altezza. Ma quel luogo è esposto a mille tempeste [gli innumerevoli rovesci della fortuna]: il destino delle cose levate in alto è di cadere. Ahimè! Vertice oscillante dei sommi onori, speranza fallace degli esseri umani, e vanità della gloria rivestita di attrattive mendaci; ahimè incerta esistenza assorta in eterne fatiche; giorno della morte ahimè sempre certo, ma non preparato mai a sufficienza; ahimè! Sulla terra, l’uomo è destinato ad una sorte iniqua. Tutti gli animali trovano riposo, l’uomo irrequieto e ansioso per tutti gli anni della vita, affretta il suo passo verso la morte. Morte, la più bella delle cose, tu sola rendi manifesti i nostri errori e disperdi i sogni di cui la vita non è ricca. Ora vedo quante cose, povero me! ho inseguito invano; quante fatiche ha incontrato volontariamente che avrei potuto, invece, evitare. Destinato a morire, l’uomo cerca di scalare le stelle [=ascendere alle elevate cime del successo], ma la Morte ci indica il luogo a cui appartengono le nostre cose. A che cosa mi servì mettere a ferro e a fuoco il Lazio, turbare gli accordi stipulati dagli uomini, [riferimento agli accordi siglati dai Romani e dai Cartaginesi per mantenere un certo equilibrio politico] sconvolgere le città con un luttuoso tumulto? di fronte alla morte a che cosa mi servì edificare dei palazzi belli e fastosi, se a causa di un destino avverso, sarei dovuto perire in mezzo al mare? O fratello carissimo, Dio conosce quali grandi disegni mediti ora nel tuo cuore. Ignaro, ahimè, del crudele destino, ignaro di me”. Così parlò; e subito la sua anima uscì nell’aria, tanto in alto da poter osservare alla stessa distanza la città di Roma e di Cartagine. Fortunato nel morire anzitempo, in modo da non dover assistere all’estrema rovina e disonore [ai grandi stermini; riferimento alla battaglia di Zama] al disonore riservato ai suoi valorosi soldati; alle sofferenze dei fratelli e ai suoi e a quelli della patria.
Domande da interrogazione
- Chi era Magone e quale ruolo ha avuto nella Seconda Guerra Punica?
- Qual è il tema principale del lamento di Magone nel poema di Petrarca?
- Come viene rappresentato il concetto di vanità e morte nel testo?
- Quali riflessioni fa Magone sulla vita e la morte?
- Qual è il significato della visione finale di Magone nel poema?
Magone era il più giovane dei tre figli di Amilcare Barca e partecipò alla Seconda Guerra Punica, distinguendosi in diverse battaglie in Italia, incluso il comando dell'esercito cartaginese a Canne insieme al fratello Annibale.
Il lamento di Magone nel poema di Petrarca si concentra sulla vanità e la precarietà degli eventi umani, sottolineando l'inutilità della gloria terrena e riflettendo sulla natura effimera del successo.
Il concetto di vanità e morte è rappresentato attraverso l'idea che il successo e la gloria terrena sono inutili e transitori, con un richiamo al concetto cristiano di "vanitas vanitatum", e la visione anagogica che collega la realtà terrena a un significato spirituale.
Magone riflette sulla vita come un'esistenza incerta e faticosa, e sulla morte come l'unica verità che rivela gli errori umani, riconoscendo che le sue conquiste e fatiche sono state vane di fronte all'inevitabilità della morte.
La visione finale di Magone, in cui la sua anima osserva Roma e Cartagine dall'alto, simboleggia una prospettiva divina e cristiana, suggerendo che la morte gli ha risparmiato di assistere alla rovina e al disonore della sua patria e dei suoi fratelli.