Il vagabondaggio del vecchio Efix
Protagonista del brano è Efix, l’anziano servitore di casa Pintor, che in passato si era macchiato di un delitto e ora deve ritrovare l’innocenza perduta attraverso la fuga solitaria e la vita randagia, da mendicante. In questo episodio Efix sta andando in pellegrinaggio al santuario di Nostra Signora del Rimedio a Orosei. Lungo la via incontra altri pellegrini: insieme diventano il simbolo della condizione di tutti gli uomini, miseri viandanti che bussano alle porte della grazia di Dio. Un’intensa religiosità permea le pagine e l’arte di
Grazia Deledda.
L’espiazione e il riscatto di Efix
Efix è un tipico personaggio di Grazia Deledda: una figura fortemente simbolica, che rappresenta non solo il tipico abitante della
Sardegna di fine Ottocento, saggio e testardo, ma anche il desiderio di espiazione e di penitenza. Il suo cammino verso il santuario è un vero pellegrinaggio, un percorso di purificazione che si unisce al mendicare: lo attendono umiliazione e riscatto. Alla fine del brano, la pietà giunge per lui sotto forma del diradarsi della nebbia e del cielo che si rasserena. I personaggi di Grazia Deledda si tormentano, soffrono, si sentono canne sbattute dal vento, ma – a differenza dei «vinti» di
Verga, come vedremo – sono anche capaci di trasformare il dolore e la consapevolezza del male compiuto o ricevuto in un atto di penitenza, in un’occasione di riscatto. La purezza è la loro essenziale caratteristica, come dimostra la storia di Efix, che sconta passo passo il proprio delitto, finché la sofferenza non diviene per lui il modo consueto di vivere e dare significato all’esistenza.
Una traduzione psicologica dello stile verista
Il Verismo dell’autrice è stato definito dai critici un «realismo coscienziale», lontano dall’oggettività o impassibilità del
Naturalismo. Il viaggio di Efix è intimamente pervaso dalla visione del paesaggio sardo, costantemente trasfigurato dallo sguardo della narratrice: «La primavera nuorese sorrise allora al povero Efix» (r. 37). La Sardegna appare uno spazio antico, incontaminato («tutto ricordava la dolce serenità di una scena biblica», rr. 20-21): e quando vi entrano, il peccato e il male vengono puniti, come accade nella favola del re idolatra o nella vicenda stessa di Efix.
Canne al vento
Il romanzo esce a puntate nel 1913 su “L'illustrazione italiana” e subito dopo in volume, ottenendo grande successo internazionale. Riassume i temi tipici della scrittrice sarda: la forza irresistibile di antichi divieti e tabù; il sacrificio di sé e il senso di colpa per il peccato commesso; il paesaggio dell’isola, ritratto come un mondo senza tempo, pervaso di mistero. Le tre sorelle Pintor (Ruth, Ester, Noemi), di famiglia nobile, sono ormai ridotte in povertà, con l’unico sostegno del vecchio servitore Efix. Questi è uno strano individuo, che vive in sintonia con le voci segrete della natura, con i defunti e i santi. Ha commesso in passato una colpa (per favorire la fuga di Lia, una quarta sorella più giovane, aveva involontariamente provocato la morte del padre delle ragazze), ma nessuno ne è a conoscenza. Un giorno Giacinto, il figlio di Lia, raggiunge le zie e contribuisce a sperperare il patrimonio rimasto loro. Quando rivela che vorrebbe sposare Grixenda, esse si oppongono al matrimonio per la bassa condizione sociale della donna. Giacinto commette allora un furto, che confessa a Efix, mentre le vecchie sorelle s’indebitano sempre più per lui. Rimproverato da Efix per i suoi comportamenti, Giacinto mostra di conoscere l’antico segreto del servitore. Efix allora abbandona la casa, conducendo una vita da mendicante. Ritornato tempo dopo, ritrova Giacinto, che ora lavora da mugnaio e che sposerà Grixenda. Anche Noemi, finalmente, accetta di sposarsi con Predu, migliorando così le condizioni economiche della famiglia. Ora che le tre sorelle non hanno più bisogno di lui, Efix può morire in pace, proprio nel giorno delle nozze di Noemi.