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Indice

  1. Forza e astuzia, le due armi per governare uno Stato
  2. Temi
  3. Due piani di giudizio
  4. L’immagine conclusiva del centauro

Forza e astuzia, le due armi per governare uno Stato

Violenza e inganno accompagnano l’azione politica, e non può essere altrimenti visto che gli uomini sono «tristi», cioè malvagi. Sarebbe auspicabile vivere secondo i valori della morale, ma non è possibile: nella vita quotidiana e nella lotta politica – dice l’autore – valgono altre leggi.
Il principe è chiamato a tenerne conto e ad agire di conseguenza. Tener fede alla parola data, per lui, non è una necessità morale, ma solo un comportamento possibile, da valutare caso per caso. Per queste affermazioni il capitolo XVIII è quello che, nel corso dei secoli, ha suscitato lo scandalo maggiore.

Temi

● L’importanza dell’astuzia e della forza nell’azione di governo
● L’ammissibilità di qualsiasi comportamento utile al mantenimento del potere o al benessere dello Stato

L’autore sostiene una tesi scandalosa alle orecchie dei suoi lettori: non è necessario che un principe mantenga sempre e comunque la parola data; anzi, in politica, ha maggiore successo chi non la rispetta, se ciò serve ad affermare il suo potere. Un principe deve poter usare tanto il rispetto della legge quanto la forza: la prima è una virtù tipicamente umana, l’altra è propria delle bestie. Se le circostanze lo obbligano a fare ricorso alle armi delle bestie, dovrà imparare a utilizzare, a seconda dei casi, ora la forza bruta del leone, ora l’astuzia della volpe. In ogni caso, un principe deve sforzarsi di apparire buono agli occhi del popolo, perché gli uomini devono poter credere che chi li governa sia buono. Quindi, in caso manchi alla parola data, il principe dovrà comunque far finta di rispettarla. Ma l’essenziale è il successo politico: per raggiungere questo risultato, il principe deve scegliere il mezzo più efficace, senza farsi frenare da nulla.

Due piani di giudizio

L’inizio del capitolo, con la sua sintassi ampia e fluente, ben diversa del periodare spesso secco del Principe, mette in evidenza una questione centrale per Machiavelli, ovvero la differenza tra il giudizio morale e quello politico. Questo contrasto fondamentale tra verità politica e verità morale ispira, nel seguito del capitolo, una successione di nuove immagini antitetiche: realtà opposte, nel senso che l’una esclude l’altra. Visualizziamo le sei principali opposizioni che spiccano nel testo:
1) integrità «mantenere la fede» ↔ astuzia «aggirare e’ cervelli delli uomini»
2) leggi permettono di «combattere» in modo civile↔ forza induce a «combattere» in modo incivile ma efficace
3) uomo rispetta le leggi↔ bestia fa uso della forza
4) volpe è astuta nell’agire e riconosce le trappole↔ leone è pronto nell’agire e sa usare la forza
5) avere avere effettivamente qualità morali↔ parere di avere far solo finta di averle
6) essere essere «pietoso, fedele, umano, intero, religioso» ↔ parere di essere far solo finta di essere tutto ciò.

Gli elementi di destra e quelli di sinistra sono molto diversi, anzi opposti tra loro. Machiavelli però afferma che un buon principe è colui che sa ispirarsi agli uni e agli altri, utilizzandoli in modo complementare: questo concetto viene ripetuto più volte nel testo («a uno principe è necessario sapere bene usare la bestia e lo uomo», rr. 11-12; «bisogna a uno principe sapere usare l’una e l’altra natura: e l’una sanza l’altra non è durabile», rr. 16-17; «debbe di quelle pigliare la golpe e il lione», r. 19). In tal modo il principe dimostra di sapersi comportare in modo flessibile, scegliendo ora l’uno, ora l’altro stile di governo, in base alle concrete circostanze in cui è chiamato a operare. In questa capacità di adeguamento consiste la più importante virtù politica dell’uomo politico.

L’immagine conclusiva del centauro

Il ragionamento di Machiavelli procede, come abbiamo visto, per antitesi, per coppie di termini in opposizione. L’insieme di tali opposizioni si riassume nella figura del centauro Chirone, una creatura mitologica, metà uomo e metà cavallo, che nell’antichità si pensava fosse stato precettore di re e di eroi. Anche Machiavelli, come Chirone, porge i suoi insegnamenti ai principi (a cominciare da Lorenzo de’ Medici, cui l’opera è dedicata). Con la sua natura insieme umana e animalesca, il centauro insegna a chi governa a:
«sapere entrare nel male, necessitato»→ mezzo indispensabile per il principe

se vuole realmente

«vincere e mantenere lo stato»→ fine supremo dell’azione politica

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