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Concetti Chiave

  • Luigi Pirandello, nato in Sicilia nel 1867, è stato un drammaturgo e scrittore influente, noto per la sua analisi dell'identità e della realtà, vincendo il Premio Nobel per la Letteratura nel 1934.
  • La poetica di Pirandello esplora la soggettività della verità e la complessità dell'identità umana, spesso mettendo in discussione la linea tra realtà e finzione.
  • Le opere di Pirandello sono caratterizzate da un forte elemento di follia, rappresentando personaggi che affrontano crisi esistenziali e psicologiche.
  • Il suo umorismo, spesso ironico e satirico, sfida le convenzioni sociali e mette in luce le ipocrisie della società, invitando a una riflessione profonda sulla natura umana.
  • Nel suo teatro, definito "teatro dello specchio", Pirandello rappresenta la vita nuda e cruda, senza maschere, spingendo lo spettatore a riflettere sulla propria identità autentica.

    Infanzia e Formazione

  • 1867: nasce a Caos, oggi Agrigento, in Sicilia.
  • Figlio maggiore della famiglia era benestante e rispettata nella comunità.
  • Ha studiato Liceo Classico finiti a Palermo.
  • Ha continuato a studiare presso l'Università di Roma La Sapienza, in Lettere e filosofia.
  • Vita Familiare e Problemi Mentali

  • Sposò Antonietta Portulano, con cui ebbe tre figli, ebbe anche problemi di salute mentale.
  • Teatro e Viaggi

  • Per lui il teatro è una profonda analisi psicologica dei personaggi e riflessione sulla natura dell'identità e della realtà.
  • Viaggia sia in Italia che all’estero contribuendo alla sua visione del mondo e delle diverse culture.
  • Premio Nobel e Morte

  • Riceve il Premio Nobel per la Letteratura nel 1934 per il suo "illuminante sforzo e varietà di opere letterarie”.
  • Muore a Roma nel 1936, all'età di 69 anni.

La Realtà Soggettiva

E' caratterizzata dalla ricerca della verità soggettiva e dalla complessità dell'essere umano.

Sosteneva che la realtà è soggettiva e che ogni individuo ha la propria percezione della verità.

Molteplicità dell’identità esplorano i confini tra realtà e finzione, verità e menzogna.

Centrale nelle opere di Pirandello, che esplora le sfumature della mente umana e la sua fragilità.

I suoi personaggi sono in preda a crisi esistenziali o psicologiche che li portano al limite della ragione, mettendo in discussione la loro percezione della realtà.

tono satirico e ironico, mette in discussione le convenzioni sociali e le ipocrisie della società. In particolare, è noto per il concetto di "avvertimento del contrario", in cui il significato di una situazione o di un dialogo è invertito rispetto a quello che ci si aspetterebbe, portando il lettore o lo spettatore a una riflessione più profonda sulla natura umana e sulla realtà stessa.

Il Teatro dello Specchio

Chiama "teatro dello specchio", raffigura la vita vera, quella nuda, amara, senza la maschera dell'ipocrisia e delle convenienze sociali, di modo che lo spettatore si guardi come in uno specchio così come realmente è, e diventi migliore.

Sei Personaggi in Cerca d'Autore

Su un palcoscenico una compagnia di attori prova la commedia 'Il giuoco delle parti'. Irrompono sei individui, un Padre, una Madre, il Figlio, la Figliastra, il Giovinetto e la Bambina, personaggi rifiutati dallo scrittore che li ha concepiti. Essi chiedono al Capocomico di dare loro vita artistica e di mettere in scena il loro dramma.

Dopo molte resistenze la compagnia acconsente alla richiesta e i personaggi raccontano agli attori la loro storia perché possano rappresentarla. Il Padre si è separato dalla Madre, dopo aver avuto da lei un Figlio. La Madre, sollecitata dal Padre, si ricostruisce una famiglia con il segretario che lavorava in casa loro e ha da lui tre figli: la Figliastra, la Bambina e il Giovinetto.

Morto il segretario la famiglia cade in miseria, tanto che la Figliastra è costretta a prostituirsi nell'atelier di Madama Pace, dove la Madre lavora come sarta. Qui si reca abitualmente il Padre. Padre e Figliastra non si riconoscono e l'incontro viene evitato appena in tempo dall'intervento della Madre. Tormentato dalla vergogna e dai rimorsi, il Padre accoglie in casa la Madre e i tre figli. Ciò provoca il risentimento del Figlio e la convivenza diventa insostenibile.
Tra gli attori e i Personaggi si apre ben presto un contrasto insanabile. Gli attori, nonostante gli sforzi, non riescono a rappresentare il dramma reale dei Personaggi, i loro sentimenti fondamentali, il vero essere di ciascuno: il dolore della Madre, il rimorso del Padre, la vendetta della Figliastra, lo sdegno del Figlio. Sulla scena tutto appare falso.

Questa incomunicabilità, che rende la vita autentica non rappresentabile, culmina nella scena finale in cui la storia finisce in tragedia, senza avere la possibilità di comprendere se essa sia reale o no: la Bambina annega nella vasca del giardino e il Giovinetto si spara.


Enrico IV e la Follia

Un giovane, mentre prende parte a una cavalcata in costume, nei panni d’imperatore di Germania, viene sbalzato da cavallo, batte la testa e impazzisce. Da quel momento, crede di essere veramente Enrico IV, esigendo rispetto per il suo ruolo regale assecondata da parenti e amici, trasformano la sua villa in una reggia, e lo circondano di servi travestiti da cortigiani; vive per dodici anni finché, rinsavisce. Matilde, lo accompagnava la sera della cavalcata, è diventata l'amante dell’odiato rivale, che provocò la sua caduta per sbarazzarsi di lui.


Il medico, che osserva il caso con rigore scientifico crede che basterà un semplice esperimento per rendere la ragione facendogli ravvisare nella figlia le fattezze della Matilde di un tempo, riporterà il folle a quel momento e gli permetterà di riprendere.
Confessa di non essere più pazzo ai servi ma arriva Frida travestita da contessa quella visione gli fa credere d'essere ancora pazzo e di vedere fantasmi.

Enrico IV fa per abbracciare Frida e quando Belcredi cerca di impedirglielo lo trafigge con la spada. D'ora in avanti la pazzia sarà necessaria a Enrico IV come condanna e insieme liberazione.

Il Fu Mattia Pascal

Mattia Pascal vive a Miragno, un immaginario paese della Liguria.
Il padre, intraprendente mercante, ha lasciato alla famiglia una discreta eredità, che presto va in fumo per i disonesti maneggi dell’amministratore che per vendicarsi compromette la nipote Romilda venendo costretto a sposarla si trova a convivere con la suocera che lo disprezza.

La vita familiare è un inferno, umiliante il modesto impiego nella Biblioteca Boccamazza. Mattia decide allora di fuggire per tentare una vita diversa.

A Montecarlo vince alla roulette un'enorme somma di denaro e per caso legge su un giornale della sua presunta morte. Ha finalmente la possibilità di cambiare vita.

Col nome di Adriano Meis comincia a viaggiare, poi si stabilisce a Roma come pensionante in casa del signor Paleari. S'innamora della figlia di lui Adriana ma si accorge che la nuova identità fittizia non gli consente di sposarsi, perché Adriano Meis per l'anagrafe non esiste.

Architetta allora un finto suicidio per poter riprendere la vera identità. Tornato a Miragno dopo due anni nessuno lo riconosce e la moglie è ormai risposata e con una bambina. Non gli resta che chiudersi in biblioteca a scrivere la sua storia e portare ogni tanto dei fiori sulla sua tomba.

Serafino Gubbio e la Modernità

Serafino, un cineoperatore della casa cinematografica Kosmograph col nomignolo di "Si gira", che quotidianamente annota in un diario tutti gli avvenimenti che riguardano quelli che lavorano nel suo ambiente.

Da una parte abbiamo il dramma passionale che coinvolge l’attrice Varia Nestoroff, divoratrice di uomini, e il Barone Nuti, folle di amore per lei; vicenda che sfocerà nell’uccisione della donna sul set da parte del Barone, il quale verrà a sua volta ucciso da una tigre che si trovava lì per fattori di scena. Il secondo filone, invece, riguarda la storia di Serafino e il suo percorso interiore: è un intellettuale emarginato che, per problemi economici, è stato costretto ad accettare il lavoro di operatore presso una casa cinematografica e ad asservirsi così alla macchina.
Serafino sfrutta il suo lavoro di operatore cinematografico per osservare con sguardo critico il mondo che sta intorno a lui: il suo sguardo diventa il filtro fondamentale attraverso cui rappresentare una realtà che appare profondamente straniata, perché straniante è questo occhio della macchina da presa che osserva tutto.
Serafino guarda con occhio critico la modernità: se in un primo tempo sembra farsi coinvolgere dalle stupide vicende dei due amanti (la cui storia d’amore sembrano ricalcare un tema trito e ritrito sia della letteratura che del teatro), in un secondo momento Serafino diventa improvvisamente cosciente (alla vista dei volgari ritratti nella casa della donna), si rende conto cioè della volgarità e della banalità della storia in cui si è mescolato, capendo che in un’epoca come questa (la modernità) non c’è spazio per l’autenticità dei sentimenti, ma c’è spazio solo ad una letteratura, ad un cinema, ad una serie di oggetti di consumo che possano soddisfare l’industria dello svago.

Serafino, con l’occhio critico della macchina da presa, critica fortemente la modernità industriale che è impastata di volgarità, banalità, stupidità, conformità squallida.

Il romanzo, come il “Fu Mattia Pascal”, si conclude con la stessa impossibilità di pervenire a dei valori positivi: l’unico modo per scampare all’inautenticità della vita è alienarsi, adeguandosi alla propria condizione di “mano che gira la manovella”, poiché nella vita non c’è possibilità di valori autentici, come la fratellanza o l’empatia (a differenza del romanzo “Uno, nessuno e centomila” che si conclude con un trionfo vitalistico, ovvero con un’affermazione gioiosa di inesauribili possibilità di essere).

Il set dunque è la metafora della vita, poiché come c’è finzione nel set, allo stesso modo c’è finzione nella vita: ogni individuo quando vive in società è costretto ad indossare una maschera, nel tentativo di fissarsi entro certi parametri come personalità unica (cosa impossibile, poiché la vita è un’inarrestabile fluire che impedisce di essere sempre la stessa persona nel corso del tempo e che inevitabilmente ci costringe a cambiare). Gli uomini per Pirandello si adeguano tutti a questa finzione senza esserne consapevoli.

In Serafino Gubbio abbiamo due simboli:

- il simbolo dell’intellettuale declassato, costretto ad adattarsi ad una letteratura e ad un cinema di consumo);

- il simbolo dell’uomo frustato dalla modernità che si rende conto dell’impossibilità di ritrovare valori autentici nella vita: ed ecco che le pagine di questo romanzo pullulano di critiche che testimoniano questo scetticismo nei confronti della modernità e delle macchine.

Uno, Nessuno e Centomila

Vitangelo Moscarda, uomo benestante che vive nel paese di Richieri. Una mattina sua moglie Dida gli fa un’osservazione in sé innocua, ma che lo fa sprofondare in una profonda crisi esistenziale. La donna infatti gli fa scoprire una lieve pendenza del naso, un piccolo difetto di cui egli non aveva coscienza. Si accorge così che lui pensava di conoscersi e di sapere chi fosse, ma non è così: gli altri vedono in lui una moltitudine di difetti e di caratteristiche di cui lui non è a conoscenza. Lui non è “uno”, come credeva di essere, ma è “centomila” : ogni persona con cui entra in contatto lo vede in molto diverso. Il suo io è fratturato in un’infinità di maschere in cui lui non si riconosce.


Solo, povero, creduto pazzo da tutti, Vitangelo in qualche modo ne esce vincitore: ora non è più costretto a essere “qualcuno”, può essere “nessuno” , rifiutare ogni identità e rinnegare il suo stesso nome, abbandonarsi allo scorrere puro dell’essere e disgregarsi nella natura, vivendo attimo per attimo senza cristallizzarsi in nessuna maschera. Ora è nuvola, ora è vento, ora albero…

Il Treno che Fischiava

ragionier Belluca, parlava insistentemente di un treno che fischiava. I colleghi che andavano a fargli visita all'ospizio dei matti lo descrivevano come malato grave, affetto da encefalite e da febbre cerebrale.

Era accaduto tutto all'improvviso: l'impiegato modello, puntuale, irreprensibile, preciso, sottomesso, ad un tratto era andato fuori di testa e si era permesso di ribellarsi al suo capoufficio.

La sua era una vita impossibile, scandita dal lavoro in ufficio e dalla assistenza a tre donne vecchie e cieche, con cui, insieme a due sorelle vedove ed a i loro sette figli, era costretto a dividere l'angusta casa ed i pochi soldi.

La sera lavorava anche fino a notte fonda per arrotondare le entrate, e poi esausto si coricava su un divano sgangherato. Ed era stato lì che aveva udito una notte il fischio di un treno all'improvviso, ed aveva cominciato a pensare ad un viaggio in luoghi lontani, esotici, o in città conosciute in gioventù.

Aveva compreso che oltre quella casa orrenda c'era il mondo ed il solo pensiero l'avrebbe consolato dalle angustie quotidiane. Questo gli bastava. Naturalmente avrebbe ripreso la sua vita, avrebbe ripreso la sua vita, avrebbe continuato il suo lavoro di computisteria, si sarebbe scusato con il capoufficio, il quale gli avrebbe concesso, di tanto in tanto, una fuga immaginaria in Siberia o in Congo, su quel treno che fischiava.

Domande da interrogazione

  1. Qual è l'importanza del teatro per l'autore?
  2. Il teatro per l'autore è una profonda analisi psicologica dei personaggi e una riflessione sulla natura dell'identità e della realtà.

  3. Quali sono i temi principali delle opere di Pirandello?
  4. Le opere di Pirandello esplorano la realtà soggettiva, la complessità dell'essere umano, la molteplicità dell'identità e mettono in discussione le convenzioni sociali e le ipocrisie della società.

  5. Come viene rappresentata la modernità nel romanzo "Serafino Gubbio"?
  6. La modernità è rappresentata come un'epoca priva di autenticità, dominata dalla volgarità e dalla banalità, dove l'unico modo per scampare all'inautenticità è alienarsi e adeguarsi alla propria condizione.

  7. Qual è il significato del "teatro dello specchio"?
  8. Il "teatro dello specchio" raffigura la vita vera, nuda e amara, senza maschere, permettendo allo spettatore di vedersi come realmente è e di migliorarsi.

  9. Cosa rappresenta il personaggio di Vitangelo Moscarda in "Uno, Nessuno e Centomila"?
  10. Vitangelo Moscarda rappresenta l'idea che l'identità è frammentata in molteplici maschere e che la vera libertà si trova nel rifiutare ogni identità e abbandonarsi allo scorrere puro dell'essere.

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