Fabrizio Del Dongo
Genius
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Indice

  1. Riassunto della novella
  2. Commento
  3. La beffa come elemento di ostilità sociale
  4. Dolcibene
  5. Il realismo

Riassunto della novella

Il protagonista della novella è Dolcibene dei Tori, un buffone e uomo di corte, vissuto nella seconda metà del Trecento. Egli ritorna come protagonista in altre otto novelle. La novella è importante perché in essa, la beffa si presenta molto diversa rispetto alle burle del Decameron. Qui, non è un semplice scherzo fatto per divertimento; essa travalica e diventa un vero e proprio atto di ostilità che causa un inasprimento dei rapporti sociali e genera, perfino, reazioni vendicative. In questa novella, la prima burla è un po’ stomachevole e ad essa il protagonista, inizialmente beffato, reagisce con un’altra ancor più rivoltante, con il rischio che tra i beffatori e i beffati scoppi un vero e proprio scontro fisico.
“All’inizio, Sacchetti teorizza che le beffe più divertenti sono in realtà quelle che potremmo definire “controbeffe”, in cui il beffato beffa a sua volta il beffatore.

Una volta messer Dolcibene fu invitato a pranzo dal parroco di Santo Stefano in Pane (nei pressi di Rifredi), a cui era presente anche, Baccello, uno dei membri della famiglia dei Tosinghi, una nobile famiglia fiorentina da cui discendeva anche il prete. Fu servito un gatto in crosta (nel Medioevo era corrente mangiare i gatti come oggi noi facciamo con i conigli), una vivanda che però a messer Dolcibene non piaceva. Comunque tutti trovarono la pietanza ottima e lo stesso Dolcibene ne mangiò più degli altri. Finito il pranzo, i commensali, per scherzo, si misero a fare il verso del gatto. Dolcibene capì, impallidì, ma controllò la sua reazione, dicendo in cuor suo che avrebbe presto reso pan per focaccia.
Era il periodo dell’anno in cui i fringuelli si riproducono. Dolcibene possedeva un podere nei dintorni di Firenze in cui ce n’era in abbondanza. Ne catturò alcuni e li mise in gabbia insieme a dei piccioni. Quindi ordinò ad suo servitore di far finta di portarli al mercato per essere venduti in modo che il prete e Baccello li vedessero e venisse loro voglia di mangiarli. Infatti, i due strapparono di mano al servo le gabbie, dicendo che li avrebbero restituite solo se Dolcibene li avesse invitati a cena. Era quello che Dolcibene voleva.

Giunta l’ora della cena, messere Dolcibene invece di servire degli stornelli in crosta servi dei topi. I convitati trovarono la pietanza molto gustosa e nessuno si accorse che erano topi. Quando fu arrivato il momento di lavarsi le mani [a quel tempo i commensali mangiavano con le mani perché le posate non erano ancoiratate inventate], Dolcibene prese la parola per spiegare quello che aveva architettato e quale ne fosse stato il motivo. I convitati all’inizio sbiancati in viso e stupiti, e uno di essi minacciò di ricorrere alla violenza, una pratica comune a quel tempo quando era in gioco soprattutto l’onore . L’uomo non si preoccupa e li invita a cominciare e avranno quello che si meritano. Alla fine si riappacificarono per ché in città non si parlava di altro e causava vergogna al parroco e ai suoi amici

Commento

Tutto sommato, la prima beffa sembra piuttosto lieve perché la carne di gatto, frequentemente consumata nel Trecento non piaceva a Dolcibene. Diversa è la seconda beffa organizzata con estrema astuzia o quello che il protagonista ha fatto in un’altra occasione
La novella termina con un insegnamento moralistico; agli altri non deve essere fatto ciò che vorremmo che ci fosse fatto per cui si agisce bene quando ci si mette nei panni dell’altro.

La beffa come elemento di ostilità sociale

Apparentemente il racconto ha un carattere comico, ma in realtà, presenta un potenziale violento, vendicativo e di ostilità . La beffa innesca un meccanismo di botta e risposta che alla fine rischia di sfociare nel sangue. A Dolcibene fanno mangiare carne di gatto, che fra l’altro tutti ritenevano gustosa e solo all’invitato non piaceva: per questo la beffa, alla fine, non crea tanto disgusto. Viceversa la beffa “di risposta” comporta un cibo che viene ritenuto universalmente disgustoso. E la cosa potrebbe non finire qui: alle coltellate che i commensali vorrebbero infliggere, Dolcibene risponde con la minaccia di colpi di lancia. Questo pericoloso meccanismo di sfida viene anche confermato dall’appendice della novella: un individuo aveva avuto parole d’invidia nei confronti di Dolcibene contro il quale, in segno di disprezzo emise di getti dui urina. Dolcibene se la segnò al dito e un giorno nel bel mezzo del Mercato Nuovo, di fronte a tutti i mercati, gli gettò addosso dello sterco, rincarando, quindi, la dose. Come si può notare, alla fine, la beffa contribuisce a incrinare i rapporti quotidiani.

Dolcibene

Dolcibene è un uomo di corte; questa è una qualifica molto ampia che va dal semplice giullare al consigliere del re. Egli era un buffone di corte e quindi occupava il graduino sociale inferiore; all’inizio della novella, ci appare come uno scroccone o un parassita chiamato a cena dal parroco. Subito, diventa un grande attore, poiché per professione, è abituato a recitare le parti più svariate. Di fronte ai miagolii emessi dagli altri commensali, finge indifferenza, pur avendone capito il significato; l’inganno che segue è architettato in modo molto fine e richiede una grande arte della dissimulazione.

Il realismo

La novella tratta di argomenti che, nel lettore, creano assoluto disgusto. Se la crostata di carne di gatto è accettabile, quella di topi è repellente e schifosa è anche la parte finale con gli schizzi di urina e il lancio di sterco sul viso dell’altro. Ci troviamo di fronte ad un realismo crudo, impensabili nel Decameron. Il realismo del Sacchetti è ben lontano dalla visione più o meno idealizzata che Boccaccio ha della realtà.

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