Concetti Chiave
- L'epistola di Jacopone a papa Bonifacio VIII è una sfida temeraria piuttosto che una supplica per ottenere l'assoluzione dalla scomunica.
- Jacopone affronta il papa con un'accusa diretta, mettendo in discussione la sua slealtà e rifiutando di scendere a compromessi.
- Il poeta si sente forte di due "scudi": l'odio di sé, inteso come disprezzo per i bisogni materiali, e l'amore per il prossimo, interpretato come carità cristiana.
- La polemica contro Bonifacio VIII è energica e ben strutturata, con Jacopone che si presenta come vittima di un potere terreno corrotto.
- Jacopone utilizza un linguaggio unico, prevalentemente in dialetto umbro, arricchito da citazioni bibliche, latinismi e invenzioni personali.
Indice
O papa Bonifazio
Il componimento di seguito proposto è un’epistola in versi mandata da Jacopone, allora in carcere, a papa Bonifacio VIII per chiedere l’assoluzione, e quindi la revoca della scomunica. L’epistola è tutt’altro che una supplica: si tratta invece di una sfida temeraria al papa, invitato a combattere a viso aperto; una sfida che Jacopone sente di poter affrontare forte di due armi: l’odio di sé (nel senso di odio per i propri miseri bisogni materiali) e l’amore per il prossimo.
Richiesta di assoluzione
Il poeta si trova scomunicato e in carcere. La scomunica può essere tolta solamente dal pontefice, per questo (e solo per questo) il poeta si rivolge a lui. In questa epistola Jacopone sfida papa Bonifacio VIII, al quale chiede di essere assolto senza scendere a compromessi o ammettere errori.
La sfida al pontefice
I termini usati da Jacopone nella sua richiesta di assoluzione non sono però quelli della supplica, perché fin dai primi versi accusa il papa di aver agito nei suoi confronti slealmente («Co la lengua forcuta»). A parte la scomunica, le altre pene, compresa la prigione, Jacopone è disposto a sopportarle fino alla morte. A questo punto (v. 17) il testo si presenta come una sfida aperta: il frate poeta invita il papa ad adoperare contro di lui argomenti di fede e non a tappargli la bocca scomunicandolo. Jacopone è certo di vincere la sfida, forte di due «scudi», ovvero, al di fuori della metafora ricavata dalla prassi del duello, l’odio di sé, che è giusto il contrario dell’amor di sé, cioè l’egoismo, e l’amore per il prossimo, che in termini cristiani è la carità. Si tratta di due argomenti ascetici, come in effetti fortemente ascetica è la vita di Iacopone: il disprezzo di sé, lo svilimento della propria persona, la scelta della povertà e della malattia (in perfetta coerenza con la scelta francescana) dà luogo, nella sua vita e nella sua poesia, a esiti davvero estremi.
Polemica e invettiva
La lauda possiede un’indubbia forza polemica. Il bersaglio è papa Bonifacio VIII, sempre avversato da Jacopone non solo per la sua politica ecclesiastica ma anche perché offre ai suoi occhi un modello negativo di vita cristiana. La richiesta di perdono diventa così un atto di accusa contro il papa e Jacopone si presenta come la vittima ingiusta di un potere terreno che ha dimenticato la missione affidatagli. Ma in questo testo confluiscono altri elementi che sono propri della visione del mondo e dell’arte dell’autore. Egli attacca frontalmente il suo avversario: sostiene le sue argomentazioni con una straordinaria intensità. La sua forza polemica lo porta a costruire una struttura del discorso che si presenta compatta. I diversi elementi, infatti, ruotano sistematicamente attorno a due poli: l’autore che sfida e il papa sfidato. Il congedo si stacca però dal resto del discorso poiché, messe da parte le armi della polemica, Jacopone rivolge a Bonifacio un saluto augurale (non si sa fino a che punto sincero).
Il linguaggio
Le laudi di Jacopone sono scritte prevalentemente in dialetto umbro: anche questa è una scelta di povertà e di umiliazione. Il dialetto costituisce il fondo linguistico, spesso arricchito da citazioni bibliche, dal lessico della poesia volgare contemporanea, da latinismi come, nel nostro testo, il verbo «lignere» per ‘leccare’, «peto» per ‘chiedo’; da invenzioni lessicali dello stesso Jacopone, come «prelia» per ‘combatti’. Sono presenti anche usi linguistici personalissimi come, nell’ultimo verso, il participio passato «lassato» usato come gerundio.Domande da interrogazione
- Qual è il contesto dell'epistola di Jacopone a papa Bonifacio VIII?
- Quali sono le armi con cui Jacopone affronta la sfida al papa?
- Come si caratterizza la polemica di Jacopone contro papa Bonifacio VIII?
- Qual è il linguaggio utilizzato da Jacopone nelle sue laudi?
- Come si conclude l'epistola di Jacopone a papa Bonifacio VIII?
Jacopone, scomunicato e incarcerato, scrive un'epistola in versi a papa Bonifacio VIII per chiedere l'assoluzione, ma lo fa in modo sfidante piuttosto che supplichevole.
Jacopone si sente forte di due "scudi": l'odio di sé, inteso come disprezzo per i bisogni materiali, e l'amore per il prossimo, che rappresentano la carità cristiana.
La polemica è intensa e diretta, con Jacopone che accusa il papa di slealtà e di essere un modello negativo di vita cristiana, trasformando la richiesta di perdono in un atto di accusa.
Jacopone scrive prevalentemente in dialetto umbro, arricchito da citazioni bibliche, lessico della poesia volgare, latinismi e invenzioni lessicali personali.
L'epistola si conclude con un saluto augurale a Bonifacio, che si distacca dal tono polemico del resto del testo, lasciando in dubbio la sincerità di Jacopone.