Fabrizio Del Dongo
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Indice

  1. Introduzione
  2. Commento
  3. Traduzione
  4. Commento

Introduzione

Lo storico e paleografo Luigi Schiaparelli, nel 192, in un codice della Biblioteca Capitolare di Verona scoprì un breve testo, che, trascritto da un amanuense veronese dell’ VIII secolo o forse dell’inizio del IX , costituisce una delle primissime testimonianze del volgare italiano. Esso è inserito nel margine di un codice liturgico
Questo è il testo:
Se pareba boves,
alba pratalia araba,
(et) albo versorio teneba;
(et) negro semen seminaba
Gratias tibi agimus omnipotents sempiterne Deus


Commento

Ciò che ci colpisce subito è la netta distinzione fra le prime quattro righe in italiano volgare e l’ultima, in un latino corretto, anche se ci rimanda al linguaggio ecclesiastico.
Ovviamente, la parte più interessante è la prima che ci permette di individuare alcune caratteristiche della lingua volgare.
• Per quanto riguarda il vocalismo, si nota che la -i- di nigrum > negro, album > albo, cioè la desinenza -um > -o come anche in versorio e negro
• Per quanto riguarda la morfologia, osserviamo i quattro verbi: parebat, araba, tenreba e seminaba. Sono verbi alla 3.a persona singolare che hanno perso la -t finale
• Relativamente al lessico, si nota che molti termini, collegati ad un ambiente agricolo, ci rimandano ad una varietà linguistica tipica dell’Italia del nord: parare con significato di “spingere avanti i buoi” è ancore presente nell’alta Italia; lo stesso versorio = aratrum e pratalia = agryum, sonob termini della variante veronese del volgare.

Traduzione

Si tratta di un indovinello.
Spingeva avanti i buoi,
arava i bianchi prati,
e teneva in mano in bianco aratro
e seminava il nero seme.
Ti rendiamo grazie, o Dio onnipotente ed eterno.


Commento

Le dita dell’amanuense sono paragonate a due buoi con cui egli trascrive un testo sui bianchi fogli di una pergamena. In mano tiene una bianca penna d’oca che gli serve per copiare le parole con l’inchiostro nero. Tutto si basa su di una metafora attività dello scrivano/attività del contadino.
Per lungo tempo i critici hanno assegnato all’indovinello un carattere popolare e dall’atmosfera contadinesca. In realtà non è così, perché l’indovinello ha un carattere colto e probabilmente esso era diffuso fra gli scrivani. Fra l’altro l’uso della lingua volgare non presenta alcuna necessità pratica, ma è fine a se stesso. L’unico scopo è il divertimento o una forma di capriccio personale dell’amanuense che ha voluto fare bella mostra di sé e delle sue capacità linguistiche.

L’importanza del testo è la copresenza di una parte in volgare e di un’altra in latino classico che a dimostrare una sorta di legittimazione della nuova lingua. Fra l’altro, questo indovinello è ancora diffuso in alcune regioni italiane, fra cui la Romagna, ma addirittura pare che sia talmente antico da circolare già al tempo di Roma. Da notare che l’immagine è stata ripresa da Giovanni Pascoli nella poesia Il piccolo aratore, che fa parte della raccolta Myricae. Si tratta del bambino che scrive sotto lo sguardo ammirato della nonna analfabeta

Scrive. . . (la nonna ammira): ara bel bello,
guida l'aratro con la mano lenta;
semina col suo piccolo marrello:
il campo è bianco, nera la sementa.
D'inverno egli ara: la sementa nera
d'inverno spunta, sfronza a primavera;
fiorisce, ed ecco il primo tuon di Marzo
rotola in aria, e il serpe esce dal balzo.

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