Concetti Chiave
- Giacomo Leopardi nacque in una famiglia nobile ma decaduta di Recanati, con un padre colto ma inetto negli affari e una madre fredda e rigida.
- Fin da giovane, Leopardi si distinse per il suo genio, studiando in modo autodidatta nella biblioteca di famiglia, ma nonostante la sua brillantezza, le sue opere iniziali furono ignorate.
- Leopardi affrontò difficoltà economiche e di salute, che limitarono la sua possibilità di lasciare Recanati, e si trovò deluso dalla società intellettuale di Roma.
- Il poeta è noto per la sua posizione unica tra classicismo e romanticismo, esprimendo sentimenti profondamente personali e riflettendo sulla natura umana attraverso opere come lo "Zibaldone".
- Leopardi esplorò temi di pessimismo, infelicità intrinseca dell'uomo, e la natura indifferente, evidenziando l'importanza della solidarietà tra le persone contro le avversità della vita.
Indice
- Le Origini di Leopardi
- La Famiglia e l'Educazione
- Il Genio Incompreso
- L'Incontro con Pietro Giordani
- Desiderio di Fuga e Salute
- Delusione a Roma
- Il Ciclo di Aspasia
- Lo Zibaldone e il Pensiero
- Classico o Romantico?
- La Teoria del Piacere
- Il Dialogo della Natura
- La Lotta contro la Natura
- La Noia e l'Alienazione
Le Origini di Leopardi
Nasce a Recanati delle Marche nel 1798 figlio del conte Monaldo. La sua città era un paese un po’ brutto, di campagna in cui non c’è niente. All’epoca apparteneva allo stato della Chiesa, un po’ povero. Il padre è di grande cultura ma apparteneva lo stesso a un posto povero di cultura. Era erudito, sapeva tante cose ma inutili. Manda la famiglia in rovina facendo degli investimenti totalmente sballati. Investe in una biblioteca immensa mandando la famiglia in rovina, senza soldi.
La Famiglia e l'Educazione
Giacomo nasce e si trova in una famiglia dove la mamma (Adelaide Antici) è una donna fredda e anaffettiva (austera), concentrata a mantenere il decoro e l’apparenza che avevano sugli altri (perché erano conti, i ricchi del paese seppur senza soldi). La mamma era inoltre bigotta e chiusa mentalmente. Arrivano altri 5 figli e solo a 2 (Carlo e Paolina) lui rimane legato.
Il Genio Incompreso
Fin da giovanissimo si dimostra essere un genio. Ha dei professori privati e a soli 11 anni gli hanno insegnato tutto quello che sanno. Apprende anche il greco e l’ebraico. In poco tempo apprende tutto quello che sanno e quindi non riescono più a insegnarli qualcosa di nuovo. A un certo punto si chiude nella loro biblioteca a studiare (in modo matto e disperatissimo). Scrive opere di erudizione, canzoni (inventa la canzone Leopardiana). A un certo punto a 18 anni manda una lettera alla biblioteca italiana e non viene cagato di striscio anche se è di grandissima qualità: è talmente avanti agli altri che la lettera non viene capita e viene scartata a priori.
L'Incontro con Pietro Giordani
Arriva un famoso intellettuale e scrittore dell’epoca chiamato Pietro Giordani che si accorge della genialità di Leopardi e per tanti anni si scriveranno dove si scambiano consigli in continuazione. Il padre diventa invidioso, si accorge della superiorità del figlio e sta male per questo. Pietro capisce la sua grandezza e a differenza del padre cerca di aiutare Giacomo, che, grazie a questa persona, si istruisce e impara molte lingue grazie al suo nome.
Desiderio di Fuga e Salute
Giacomo inizia a scrivere qualcosa di più ma vorrebbe uscire dalla sua città povera, non ottiene però la collaborazione del padre. Infatti, tenta una fuga invano da Recanati ma il padre lo blocca. Lui sapeva della sua invidia ma d’altra parte sa che non c’erano i soldi per uscire. Presto incontra diversi problemi di salute gravi, morendo giovane a 39 anni (a maggior ragione non poteva uscire). Lui tenta di uscire qualche volta ma viene preso presto e alla fine non riesce ad andarsene. La fede impartitagli dalla madre viene meno e si converte non solo dal punto di vista della composizione ma ora anche filosoficamente.
Delusione a Roma
I suoi genitori a un certo punto lo mandano dallo zio Carlo Antici a Roma. La sua cultura mostruosa viene finalmente sfogata a Roma davanti agli intellettuali che però anche loro non sono minimamente al suo livello. Rispetto a lui fanno cacare. A causa di questo ci rimane malissimo perché le sue aspettative sul mondo esterno sono state deluse e avrebbe voluto tanto avere una fidanzata e persona con cui condividere le sue cose ma già che era malato non faceva molta attrazione nemmeno alle persone col suo stesso genere.
L’unica cosa che lo commuove a Roma è la tomba di Torquato Tasso. Si sente vicino a lui (voler essere e non essere). Cerca di trovarsi un lavoro, essendo che non aveva una lira. Lo cerca presso agli editori in cui commenta il canzoniere di Petrarca. Fa questi lavori e comincia a girare anche in altre città dove nel frattempo scrive altri tipi di opere. Era conosciuto da tutti ma nessuno poi alla fine lo amava. Aveva ammiratori e amici ma non era mai amato, la sua poesia va al di fuori del suo tempo.
Il Ciclo di Aspasia
La vita al Nord e cuore spezzato Comincia a scrivere i Grandi Idilli, che scrive tra il ’28 e il ’32. A Bologna conosce Fanny Targioni Tozzetti che un pochino lo illude: lui aveva disperato bisogno di essere amato e lei lo prende in giro e lo butta via. Giacomo ci rimane talmente male che nasce un nuovo ciclo poetico che si chiama ciclo di Aspasia, con i cui 5 testi racconterà la rabbia e la delusione della sua illusione di questa donna.
A un certo punto arriva la Ginestra quando si trasferisce a Napoli. Lì conosce il gelato che ancora non conosceva e ne diventa golosissimo.
Lo Zibaldone e il Pensiero
La prima da nominare è lo zibaldone di pensieri: di per sé lo Zibaldone (storpiato di zibaione) è un piatto fatto di scarti, che di solito venivano ribolliti e mangiati in modo da non buttarli. È uno scartafaccio dove tutte le cose che gli venivano per la testa le scriveva e venivano ordinate in modo cronologico in modo da raccogliere tutti i suoi pensieri che man mano gli vengono in mente seppur scollegati e disordinati tra di loro.
È un quaderno fondamentale per capire il senso dello sviluppo del suo pensiero. Senza quello ci mancherebbe un pezzo immenso. Le poesie poi arrivano ad avere un loro sviluppo. Il carattere frammentario di questa opera sottolinea inoltre l’asistematicità di tutto il suo pensiero. Il poeta, nel rifiutare ogni schema fisso ordinato, avesse scelto di presentare proprio in questa forma singolarissima la molteplicità delle sue esperienze.
Classico o Romantico?
Lui è classico o romantico? Nessuno dei due ma anche entrambi. Essendo un genio, può fare quello che vuole. Lui e Manzoni sono i più grandi romantici del loro tempo anche se non hanno niente in comune. Leopardi è uno che ha una posizione totalmente autonoma.
Il latino lo parlava tranquillamente, d’altra parte aveva una cultura classica molto grande. La sua è una poesia lirica nel senso greco del termine: cantata con la lira. Si intende l’espressione dei sentimenti personali. È una poesia sia classica perché si rifà al mondo classico, ma anche romantica perché riflette perfettamente il suo stato d’animo.
Cosa succede nella polemica classico romantico? Scrive una sua idea in una lettera chiamata discorso di un italiano intorno alla poesia romantica che però non viene pubblicato per via di diverse incomprensioni sulla profondità del suo operato, lì esprime che Virgilio è romantico.
La Teoria del Piacere
Dice che l’uomo per sua natura aspira al piacere. Il piacere, tuttavia, ontologicamente (in quanto tale) è infinito. Aggiunge che l’uomo, essendo finito, può aspirare a qualcosa di infinito? No. Può immaginarselo? Fingerselo in mente? Potrebbe. La parola può dare un’idea vaga? Può. Dice infatti che il poeta può, con delle parole vaghe e indefinite, creare una sensazione che si avvicina al piacere infinito che però non esiste.
I poeti che più di tutti hanno raggiunto questa posizione sono ad esempio Virgilio, il cui canto della natura si avvicina al piacere e al vago scritto sopra. Per lui proprio per questo motivo, definisce Virgilio come un romantico perché le cose che scrive si avvicinano al sentimento romantico (i classici sono romantici) Virgilio parla di sentimenti e di espressioni pure. Il classico per Leopardi riesce a servirsi dell’immaginazione e di suscitare illusioni e piaceri, cosa che il romanticismo attuale a sua detta non riesce a fare. (un classicismo dalle colorature romantiche). Chi esprime sé stesso, è automaticamente romantico. La diatriba tra classici e romantici, quindi, automaticamente non esiste proprio, perché i classici sono romantici, dato che esprimono loro stessi.
La sua posizione è unica, eccentrica. La posizione romantica è che dobbiamo tradurre tutte le opere straniere per conoscerle meglio. I neoclassici dicono invece che non bisogna conoscerli perché già negli autori italiani c’è tutto quello che serve. Leopardi da un lato dice che è vero che nel neoclassicismo c’è tutto perché sono vicini alla natura. Poi aggiunge che queste persone sono quelle più romantiche di tutte perché in effetti esprimono loro stessi. In sintesi, i neoclassici sono romantici, e quelli che sono gli originali romantici sono solo persone che cercano di imitare in maniera schifosa i neoclassici che sono i veri romantici puri.
Nonostante era brutto e faceva schifo perché era costantemente malato, lui non era infelice per questo. Infatti la domanda è non come mai lui è infelice, ma come mai l’uomo in generale è infelice? La sua vita triste potrebbe sembrare influenzarlo, essendo che non ha avuto genitori buoni, ma queste non sono motivazioni valide per garantire la sua infelicità. Cerca di fare una ricerca filosofica sulla infelicità dell’essere umano.
Dice che l’essere umano, ontologicamente, (in quanto tale) è infelice. Per questo motivo lui vuole capire il perché di questo destino automatico. Voleva solo essere amato, nonostante avesse tanti ammiratori. La sua è una ricerca filosofica, spinta soprattutto dalla sua condizione infelice, che però non ne è la causa perché si dirige a tutta l’umanità, non esclusivamente di sé stesso.
Vuol dire che Leopardi vuole scrivere la sua poesia non solo per sé stesso; la sua idea non è quella di una poesia dove lui scrive per sé stesso. Lui scrive quello che scrive per dire all’umanità come stanno realmente le cose. Lui vuole avvertire della vera condizione dell’uomo. Militante significa che è uno che si oppone al pensiero filosofico dominante vedendolo dall’interno.
Le correnti filosofiche principali sono quelle dello spiritualismo cattolico che dicono che Dio farà in modo di condurre l’umanità alla salvezza e al miglioramento continuo e Leopardi vuole dimostrare che non è realmente così. Questo perché l’uomo è nato per essere infelice, non c’entra niente quello che dicono gli altri dell’ottimismo e dello spiritualismo. Insinua che la gente è cieca e continuerà a ripeterselo in varie opere.
Lui è uno politicamente scorretto nel senso che mentre il mondo filosofico dice una cosa, lui risponde esattamente con il contrario, imprecando addirittura e meravigliandosi che la gente non riesca a rendersene conto. Viene definito mal pensante. È nemico delle persone che non la pensano come lui.
La gente la prende amando il suo lavoro ma mai la persona in sé perché diventa antipatico ed è pure brutto.
I grandi temi: lo sviluppo del pensiero leopardiano.
Si suddivide in 2 fasi create da un critico studioso di nome Bonaventura Zumbini. Lui inventò le fasi che costituiscono il pensiero leopardiano.
Leopardi è ancora giovane, sulla scorta di Rousseau che parla della stessa cosa si domanda che cosa sia la felicità e l’infelicità umana. La ragione è colpevole per aver palesato la verità della realtà umana.
Gli antichi secondo lui erano più felici dei moderni perché avevano un rapporto più stretto con la natura. La natura è una fonte di illusioni. In realtà attorno a questi anni elabora una teoria denominata teoria del piacere intorno al 1820. Questa informazione la sappiamo dallo Zibaldone. Questa teoria afferma che il pensiero principale dell’uomo è essere felice, solo che c’è un problema: non è possibile raggiungere la felicità perché essa è infinita. (citazione a Lucrezio che la pensava uguale: piacere = felicità).
Se io desidero un cavallo, io non voglio un cavallo, io voglio un’idea del cavallo, il cavallo perfetto. Ovviamente non esiste perché esistono cavalli diversi con caratteristiche diverse.
Quando ottengo il cavallo mi rendo conto che non è IL cavallo (quello perfetto). Hai quindi un piccolo piacere finito, ma non quello perfetto. Magari hai il cavallo più bello del mondo, ma non è magari il più veloce. Non sei mai soddisfatto. Il piacere, ontologicamente (= in quanto tale), non è raggiungibile perché è infinito. Questo provoca un senso inappagabile di vuoto. Noi resteremo sempre in cerca di qualcosa che non posso mai avere; posso avere un piacere finito, piccolino, ma mai quello che cerco davvero, quello a cui aspiro, che è infinito e perfetto e non raggiungibile da chi è finito come l’essere umano. Il piacere è dunque fisico ed è spesso dato dalla vista e dall’udito.
L’opera che fa la differenza è le operette morali che dicono: se noi siamo destinati a raggiungere l’infelicità (non solo gli esseri umani, ma tutto l’universo), allora io sono infelice; questo non perché sono a contatto con la natura, ma perché sono nato. L’uomo se ne rende magari conto di essere infelice, gli animali, pur avendo lo stesso destino, non se ne rendono conto.
Il motivo per cui l’uomo è infelice è solo e unicamente la natura. Leopardi non ha mai citato Dio o la divinità perché manco lo pensa che possa esistere o avere influenza sul suo pensiero. (madre di parto e di voler matrigna). La natura è matrigna, ovvero indifferente (probabilmente riferito a sua mamma che lo maltrattava) non solo all’uomo, ma a tutte le sorti dell’universo.
La ragione è rivalutata come il solo strumento per riconoscere la radice del male sofferto dall’uomo.
Questo suo pensiero lo ha maturato da solo, e il fatto che coincida con la sua vita familiare è solo una coincidenza, sebbene gli abbia dato una spinta che lo ha spinto a interrogarsi e a cercare il motivo dell’infelicità degli uomini. Lucrezio dice che l’universo è una macchina e l’uomo in essa non è neanche un granello. L’unico scopo che ha l’universo è solo quello di mantenere in vita sé stesso (autoconservazione), non fa mai affidamento sugli altri e non ha riguardo per essi e per le altre creature, incluso l’uomo.
Siamo nel 1826, dopo le operette morali. Questa opera è raccolta all’interno dello Zibaldone. Inizia con: “tutto è male.” Tutto quello che esiste è un male (una delle fasi più acute che riflettono il suo pessimismo cosmico).
Quando entriamo in un giardino vediamo tutto rigoglioso e pazzesco ma quando ci avviciniamo vediamo che ogni pianta, per un motivo o per un altro, soffre. (rigo 14) quella rosa, è seccata dal sole. Da un’altra parte il giglio è succhiato violentemente da un’ape. Il miele addirittura si fabbrica con le sofferenze dei fiori e del loro polline e le assidue fatiche delle api operaie.
Tutte le piante soffrono. Anche se tu le vedi belle e carine, in realtà soffrono se ci si fa più attenzione. La parola “male” è ripetuta nove volte. Da un lato sofferenza reale, contrapposta alla dolcezza che è solo apparente, un’illusione scopribile solo grazie all’utilizzo della ragione (come si vede in operette morali).
Il Dialogo della Natura
Le opere: (operetta morale:) dialogo della natura e di un islandese
È un dialogo fra la natura personificata e quindi resa umana, e un islandese. Questo perché quest’ultimo è supposto di avere conosciuto meglio la natura, vivendo lui agli estremi del mondo. L’islandese la dovrebbe conoscere nelle sue forme più estreme.
L’islandese gira per il mondo e, una volta giunto in Africa (si pensa sia quello il posto), trova una mega donna grande quanto l’isola di Pasqua. Allora l’islandese, per parecchie pagine, non fa altro che rimproverare la natura perché l’uomo non fa altro che soffrire. (“acquisto di piaceri che non dilettano”) qui si ha la svolta tra le due “fasi”. (piaceri che non dilettano infiniti mali). Disperato dei piaceri … patimenti = prova almeno a trovare degli stratagemmi per non soffrire.
Se tu vivi tra gli uomini, lui cerca di allontanarsi per non soffrire. Nonostante lui faccia questo, continua lo stesso a soffrire. Continua così a rimproverare tutte le cose che fanno soffrire gli uomini alla natura. 3 pagine intere fatte dal rimprovero che l’islandese fa alla natura.
La natura finalmente risponde. Questo è il centro del pensiero di Leopardi. Esordisce con una domanda: immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra? = io di voi me ne sto altamente fregando, è totalmente indifferente a qualsiasi cosa. in qualunque modo e con qual si sia mezzo, io non me n’avvengo = io o vi faccio una cosa bella oppure una cosa brutta, io nemmeno me ne rendo conto.
L’islandese risponde: se tu mi inviti a casa sua, nel creato, cerca di darmi un minimo di accoglienza, trattami bene.
La seconda risposta della natura: tu mostri non aver posto mente che la vita di quest’universo è un perpetuo circuito di produzione e distruzione, collegate ambedue tra sé di maniera … se cessasse l’uno o l’altro, allora il mondo scomparirebbe = Il fatto che l’uomo c’è o non c’è, non è importante. Io creo, distruggo, e dalle ceneri creo ancora. Qui si comporta citando Lucrezio, cita la macchina perfetta che funziona come deve fare in modo auto conservativo per preservarsi. L’islandese pone una nuova domanda dove si chiede il perché di tutto questo ma questa volta non riceve risposta.
Il tutto si conclude con due leoni che arrivano e si mangiano l’islandese, il quale è solo una conferma del fatto che l’uomo è solo una pedina del grande circuito indipendente e menefreghista della natura. Addirittura, la natura manco lo sta ad ascoltare dopo una certa. Gli dedica circa 3 minuti di tempo e poi non se lo calcola nemmeno. (questo tema è il cuore della fase 2). Non solo, è fornito anche un secondo finale nel quale a un certo punto l’islandese viene atterrato da un vento fortissimo e gli sia stato costruito sopra un mausoleo di sabbia infine ritrovato da certi viaggiatori e pubblicato in una certa città d’Europa.
Si prende una leggenda ebraica. Questa leggenda, addirittura sconosciuta pure agli ebrei dice che c’è un gallo che ha la testa sul cielo e i piedi in terra. Ogni mattina sto gallo chiama il sole e lo fa alzare. Lui prende questa leggenda e la cambia in stile Leopardi.
Utilizza uno schema di ritrovamento del manoscritto e di restauro in stile Manzoni.
Lui traduce questa opera e dice che mortali destatevi … = si allontanano i sogni. L’unico momento dove l’uomo non soffre è il sogno. La vita è un peso. Risvegliarsi è un danno. Il misero, non è prima desto = chi si sveglia torna all’istante della sua infelicità. Nel sogno non c’è la felicità, c’è la speranza, la non infelicità. Nella morte invece c’è solo il nulla. Non esiste la felicità e non si può simulare. Se il sonno dei mortali fosse perpetuo e il mondo fosse nulla, non moto alcuno…; allora l’universo sarebbe inutile ma forse non ci sarebbe più felicità dell’universo attuale? Questo non perché è felice, ma perché il fatto di essere immobili permette la non sofferenza.
Di tutte le opere innumerevoli dei mortali, ci sarà forse una che ha dato felicità? Purtroppo continua a fare domande retoriche del genere per molte righe e non si riesce comunque a trovare una risposta. È come se la vita fosse un carcere. ci sarà un giorno in cui riposerete: per ora non vi è concessa nemmeno la morte… = per ora è consentito solo il sogno, dove almeno non soffri (ma comunque non sei felice), e inoltre nella morte è vista quasi come una cosa bella perché in effetti non soffri nemmeno.
L’uomo ontologicamente è infelice perrochè niuna cosa è felice. tutti vogliono essere felici ma non lo saranno mai. Non patiscono veramente per altro. L’unico scopo è morire.
Quando arriva la sera cosa fai? Tutte le angosce del passato sono dimenticate e cerchi di ridere e speri che l’indomani si risolva tutto e che sia tutto meglio. La gioventù della vita intera è brevissima e fuggitiva e il fior degli anni è pur cosa misera. La massima parte del vivere è invecchiare, appassire. La natura è indirizzata alla morte.
Citazione alla ginestra: Ci sono oggi grandi imperi, che un giorno cadranno e di loro si perderà ogni ricordo.
In un mistero spaventoso tutto si perderà ma alla fine l’universo continuerà ad andare avanti nella sua immensità (la già vista macchina di Lucrezio).
La Lotta contro la Natura
Per Leopardi, il pessimismo implica che la sofferenza vada condivisa, non tenuta per sé. Deve essere la comune difesa dalla natura (social catena). Leopardi non ammette il suicidio perché provochi sofferenza agli altri e rompe quel patto sociale di equilibrio dove io aiuto un’altra persona a soffrire di meno e lui farà la stessa cosa di conseguenza. Se ti suicidi, l’altro soffre e il patto si rompe, non si fa così.
Si riprende il Titanismo Alfieriano (rimodellato a mo’ di Leopardi): dobbiamo lottare contro la natura anche se sappiamo già di aver perso, ma per lo meno la lotta già di per sé ti rende nobile ed è simbolo di vita.
Il pessimismo lancia un messaggio politico e sociale: la società deve essere unita e tutti devono aiutarsi a vicenda perché proprio grazie ad essa c’è l’essenza della nostra vita dato che aiuta a combattere la battaglia contro la sofferenza. Gli umani devono essere confederati = difendersi e amarsi a vicenda contro la natura.
La sua idea di società non è quella con cui hai un rivale, ma con cui hai sempre tanti alleati con cui ti aiuti per soffrire di meno. Ragionando in questo modo non sembra più tanto pessimista (pensiero complesso che deriva da complector = abbracciare).
La Noia e l'Alienazione
100 anni dopo Leopardi viene definito un concetto di nome “alienazione”: io non ho qualcosa in più dagli altri e quindi io non riesco a entrare nella vita perché non ho un rapporto con essa, non capendo le cose.
Il concetto di noia è diverso dal suo significato etimologico, infatti si ricollega all’alienazione: io non solo non capisco il mondo, ma non riesco nemmeno a entrarci dentro. Si ricollega anche al senso di vuoto che Leopardi possiede in vista della società, un senso di non inclusione e di inabilità a integrarsi e a partecipare.
La noia è estraneità al mondo che guardo fuori (possibile collegamento con Schopenhauer, che diceva le stesse cose). Non riesco a trovare un rapporto col mondo che mi circonda. Essa non colpisce tutti in maniera incondizionata, ma solo quelle persone che si rendono conto della vanità delle cose perché dice che alla fine nel mondo tutto sparisce. Tutte le ricchezze e gli imperi alla fine spariranno. Alla fine cosa sono? Della lava. (ginestre).
La nostra vita si rivela piena di noia nel senso che è sempre uguale, costretta a immaginare la speranza sempre al futuro. “la vita è un pendolo che oscilla tra il dolore e la noia ῀Schopenhauer”.
Il carattere sublime della noia vuol dire esistenziale. Infatti, è connesso alla nostra stessa vita umana. (pagina 81, ultimi righi) = il non potere essere soddisfatto da alcuna cosa terrena né per così dire dalla terra intera. Il nostro animo è più grande perché è capace di contenere l’infinito e di concepirlo ma in realtà non lo vedremo mai. Anche se la natura è infinita il mondo è finito. La ricerca di un infinito che non verrà mai trovato.
Gli almanacchi = calendari, passeggere = passante che poi si rivelerà essere Leopardi.
Racconto: il venditore di almanacchi vende almanacchi e il passeggere = Leopardi; chiede: credete che il nuovo anno sarà bello? “si”. Ma come mai? A quale anno vorreste che somigliasse? “non lo so”. C’è stato un anno dove sapevi che fosse un anno felice? “*visible confusion*”. Il venditore dice che gli piacerebbe un anno tranquillo perché non si ricorda un anno bello. Tuttavia alla domanda di Leopardi che gli chiede se la vita fosse bella risponde subito di sì, nonostante non si ricordasse un anno bello. Dopo questa risposta Leopardi compra il calendario e se ne va.
In realtà il venditore di almanacchi impersona tutta la popolazione del mondo e il passeggere è Leopardi.
Il tema principale è la speranza, spiega che non troveremo mai la felicità e nonostante lo sappiamo continuiamo a sperare e fare gli auguri che porterà avanti l’uomo e che possa essere un anno migliore anche se poi come vediamo nessuno di essi sarà mai come ci siamo precedentemente augurati.
Tutta questa opera gira sempre intorno a questo: il tema è quello della speranza; non puoi vivere senza speranza anche se sai che non ti porterà da nessuna parte. Anche se l’anno passato non è stato bello si cerca sempre di sperare che il prossimo sia bello. La speranza proiettata al futuro.
Domande da interrogazione
- Quali sono le origini di Giacomo Leopardi e come ha influenzato la sua educazione?
- Come si sviluppa il pensiero di Leopardi riguardo alla felicità e all'infelicità umana?
- In che modo l'incontro con Pietro Giordani influenzò Leopardi?
- Qual è la posizione di Leopardi nella polemica tra classicismo e romanticismo?
- Qual è il messaggio politico e sociale del pessimismo di Leopardi?
Giacomo Leopardi nacque a Recanati nel 1798, in una famiglia nobile ma economicamente in difficoltà. Suo padre, il conte Monaldo, era un erudito che investì in una grande biblioteca, portando la famiglia alla rovina. La madre, Adelaide Antici, era fredda e anaffettiva. Queste condizioni influenzarono profondamente l'educazione di Leopardi, che si dimostrò un genio precoce.
Leopardi ritiene che l'uomo aspiri naturalmente al piacere, che è infinito, mentre l'uomo è finito e quindi non può raggiungerlo. Questa impossibilità genera infelicità. Leopardi esplora questo tema attraverso la sua teoria del piacere e conclude che la natura è indifferente alla sofferenza umana.
Pietro Giordani, un intellettuale dell'epoca, riconobbe il genio di Leopardi e lo sostenne, aiutandolo a istruirsi ulteriormente e a imparare nuove lingue. Questo rapporto fu fondamentale per lo sviluppo intellettuale di Leopardi, nonostante l'invidia del padre.
Leopardi si colloca in una posizione unica, essendo sia classico che romantico. Egli ritiene che i classici siano in realtà romantici perché esprimono sentimenti personali e utilizzano l'immaginazione. La sua poesia riflette sia il mondo classico che il suo stato d'animo romantico.
Il pessimismo di Leopardi suggerisce che la sofferenza debba essere condivisa e che la società debba unirsi per combattere la natura indifferente. Egli promuove l'idea di una "catena sociale" in cui le persone si aiutano reciprocamente per alleviare la sofferenza, opponendosi al suicidio che romperebbe questo patto sociale.