Concetti Chiave
- "Mattina" di Ungaretti è una poesia brevissima che esplora un'esperienza di rivelazione improvvisa e intensa attraverso due soli versi, "M’illumino / d’immenso".
- La luce descritta nella poesia non è solare ma un'illuminazione interiore e mistica che rivela l'abisso dell'essere e simboleggia un momento di tregua dalla guerra.
- L’“immenso” rappresenta un concetto ambiguo e sublime che può significare il cielo, Dio, la morte o il vuoto, sfidando il poeta a confrontarsi con l'infinito.
- La struttura della poesia, composta da due parole isolate, accentua la sensazione di assoluto e squilibrio, evocando un silenzio profondo e ultraterreno.
- "Mattina" è vista come una poesia-talismano che rivela la verità nuda e inumana, esponendo il poeta al rischio dell'incontro con l'immenso e i limiti dell'esistenza umana.
Indice
Mattina di Giuseppe Ungaretti: commento
"Mattina" di Giuseppe Ungaretti – due parole soltanto: "M’illumino / d’immenso". Due versi che sembrano spezzare la notte del linguaggio e rivelare una fenditura improvvisa nella materia oscura dell’esistere. Ma non lasciamoci ingannare dalla luce: quella che esplode in questo brevissimo componimento non è semplicemente una luce solare, calda e vivificante. È un bagliore accecante, totale, quasi mistico – e al tempo stesso terribile, come la fiamma che consuma, come il lampo che precede la rovina. Dietro questo mattino si nasconde una notte più profonda.
L'immenso
Non è un’alba bucolica quella che s’intravede in questi versi, ma un istante di rivelazione assoluta. E l’“immenso” in cui il poeta si illumina non è solo lo spazio, ma il mistero: il vuoto vertiginoso dell’essere, che può apparire tanto sublime quanto spaventoso. Questo mattino non è il risveglio della natura, ma il risveglio dell’anima davanti all’abisso. È come se il poeta, in un secondo di lucidità estrema, vedesse spalancarsi davanti a sé il nulla – o il tutto, indistinti – e ne venisse trafitto.
Una luce interiore
Il verbo "m’illumino" suggerisce qualcosa che accade dall’interno: non è la luce esterna che lo colpisce, ma una combustione interiore. È un’epifania che incendia l’anima. Ma questa luce, proprio perché totale, perché immensa, rischia di essere insostenibile. Non c’è conforto nell’immensità, se essa non ha contorni. Il poeta è come una foglia in preda a una folgore: sente la bellezza, ma anche la sproporzione. Si tratta, in fondo, della stessa tensione gotica tra il finito e l’infinito, tra l’uomo fragile e la maestà terrificante dell’universo.Ungaretti, soldato immerso nella guerra, scrive questi versi nel pieno della Prima guerra mondiale. Dunque, "Mattina" può essere anche letta come un istante di tregua, come uno spiraglio di grazia in mezzo all’orrore. Ma questa grazia è così potente, così improvvisa, da risultare quasi disumana. È un mattino assoluto, che può solo essere colto in una folgorazione poetica, non narrato né spiegato. In questo, l’opera richiama le visioni dei mistici medievali, le rivelazioni fulminee che non possono essere trasmesse con la parola ordinaria.
L’“immenso” è anche parola ambigua, oscura: può essere il cielo, può essere Dio, può essere la morte, può essere il vuoto. Il poeta non specifica, perché sa che ogni nome sarebbe una menzogna. Eppure, si lascia invadere da questa immensità. Non la teme, non la rifugge. Si illumina di essa. È un gesto di abbandono, ma anche di sfida: come chi guarda negli occhi l’infinito, sapendo che ne uscirà trasformato – forse annientato. In questa tensione si sente l’eco del sublime romantico, ma privato di qualsiasi ornamento, ridotto all’osso, come una torre gotica ridotta a rudere su una collina battuta dal vento.
La struttura
La struttura stessa della poesia – due parole isolate – contribuisce a questa sensazione di squilibrio, di assoluto. "M’illumino" e "d’immenso" sono come due pietre sacre, scolpite nell’aria, sospese in un tempo immobile. C’è silenzio, ma un silenzio che rimbomba. È come trovarsi in una cattedrale senza finestre, colpiti da una luce ultraterrena che non si sa da dove provenga. L’architettura gotica della mente si apre su un cielo che non ha fine.
Una poesia che rappresenta un istante
"Mattina", dunque, non è una semplice dichiarazione lirica. È un evento. Un momento in cui il velo dell’esistenza si solleva e lascia intravedere qualcosa che non ha nome. È un grido muto, un lampo che si stampa sulla retina dell’anima. Ungaretti non descrive il mondo: ne coglie l’epifania, ma un’epifania tragica, perché nessuna mente può contenere davvero l’immenso. E questo immenso resta lì, dietro la parola, come uno spettro luminoso, come una presenza che non si lascia fissare.Così, "Mattina" diventa una poesia-talismano, una reliquia di luce in un’epoca di oscurità. Ma non è la luce che consola. È la luce che rivela e che può anche distruggere. È la luce dell’Assoluto, che brucia le illusioni e lascia solo la verità – nuda, abbagliante, inumana. E il poeta, pur sapendo il rischio, vi si espone. Perché solo nel contatto con l’immenso l’uomo scopre il proprio limite. E in quel limite, nella consapevolezza dell’essere cosa finita nel cuore dell’infinito, risiede forse l’unica, terribile salvezza.
Domande da interrogazione
- Qual è il significato profondo della poesia "Mattina" di Giuseppe Ungaretti?
- Come viene descritta la luce nella poesia "Mattina"?
- In che contesto storico è stata scritta "Mattina" e come influisce sulla sua interpretazione?
- Qual è la struttura della poesia e come contribuisce al suo significato?
- Qual è il ruolo dell'"immenso" nella poesia e come viene percepito dal poeta?
La poesia "Mattina" rappresenta un istante di rivelazione assoluta, un'epifania interiore che illumina l'anima con una luce immensa e quasi mistica, rivelando il vuoto vertiginoso dell'essere.
La luce nella poesia è descritta come un bagliore accecante e totale, che non è semplicemente solare ma una combustione interiore che rischia di essere insostenibile, simile a una fiamma che consuma.
"Mattina" è stata scritta durante la Prima guerra mondiale, e può essere letta come un istante di tregua e grazia in mezzo all'orrore, una rivelazione potente e improvvisa che risulta quasi disumana.
La poesia è composta da due parole isolate, "M’illumino" e "d’immenso", che creano una sensazione di squilibrio e assoluto, come due pietre sacre sospese in un tempo immobile, evocando un silenzio rimbombante.
L'"immenso" è una parola ambigua che può rappresentare il cielo, Dio, la morte o il vuoto. Il poeta si lascia invadere da questa immensità senza temerla, in un gesto di abbandono e sfida, consapevole che ne uscirà trasformato.