Concetti Chiave
- Mazzarò, protagonista del racconto "La roba", è un contadino che diventa schiavo del lavoro e del possesso materiale, sacrificando la sua vita per accumulare beni.
- Il giovane ’Ntoni vive in conflitto tra il desiderio di migliorare economicamente e i valori tradizionali della sua famiglia, rappresentati dal nonno padron ’Ntoni.
- Il romanzo esplora due opposti sistemi di valori: da un lato, la tradizione e la stabilità familiare, dall'altro, la ricerca di cambiamenti e miglioramenti economici.
- ’Ntoni manifesta un'insofferenza verso la povertà e la durezza della vita, ma la sua protesta resta individuale e non evolve in un riscatto sociale collettivo.
- Il dialogo tra padron ’Ntoni e ’Ntoni è caratterizzato da un linguaggio ripetitivo, con l'uso di proverbi e argomentazioni che riflettono la cultura contadina tradizionale.
La roba
Il racconto viene pubblicato per la prima volta sulla “Rassegna settimanale di politica, scienze, lettere ed arti” del 26 dicembre 1880. Il protagonista Mazzarò è un contadino arricchito, divenuto schiavo del lavoro e della «roba»: una delle tante vittime dell’universo verghiano. Pur di aumentare ulteriormente i propri averi, infatti, Mazzarò sacrifica ogni momento della sua vita, con una dedizione caparbia e fanatica che sfiora l’assurdo. Nella sua figura
Verga anticipa quella di Gesualdo Motta, protagonista ossessivo e irrequieto di Mastro-don Gesualdo.
Temi
-la brama di accumulare beni materiali
- la rinuncia a una vita piena in nome della «roba»
- l’amara sconfitta esistenziale di Mazzarò
Il giovane ’Ntoni è irrequieto e scontento della solita vita di paese. All’osteria osserva con invidia due giovani marinai che, partiti qualche anno prima dalla vicina Riposto in cerca di fortuna, sono tornati trasformati e, soprattutto, ricchi. A casa sua, invece, tutto procede uguale e immutabile: dalle conversazioni domestiche non emerge mai nulla di nuovo. Il confronto fra questi due modi di vivere lo turba a tal punto che la madre e il nonno sono in ansia per lui. Un giorno padron ’Ntoni interroga il nipote sulle ragioni del suo stato d’animo. Il loro dialogo porta allo scoperto due opposte visioni: il ragazzo vorrebbe migliorare la condizione economica propria e della famiglia; padron ’Ntoni invece è appagato da quanto ha e non ama i cambiamenti. Per un po’ il nipote ribatte alle parole del nonno; poi si commuove, perché in fondo è un bravo ragazzo. Tuttavia il suo desiderio del «meglio» non si è placato.
Due opposti sistemi di valori
La prima parte del romanzo aveva evidenziato la distanza tra la volgare mentalità paesana fondata esclusivamente sull’interesse economico e l’onestà morale della famiglia
Malavoglia. Nella seconda parte (siamo qui nell’undicesimo capitolo su 14) questo solco si fa più sottile e più drammatico: la divisione si è incuneata ormai all’interno della famiglia stessa. Da un lato ci sono coloro che custodiscono la tradizione (padron ’Ntoni, la Longa, Mena), dall’altro c’è chi come ’Ntoni la mette radicalmente in discussione, fino a rifiutarla. L’episodio che abbiamo letto è l’espressione più lampante di tale situazione: emerge infatti il contrasto insanabile fra due opposti sistemi di valori. Da una parte, l’ordine immutabile della famiglia patriarcale custodito da padron ’Ntoni, dall’altra, il rifiuto della tradizione incarnato dal nipote. L’estraneità di ’Ntoni alle dinamiche della vita di paese è evidente fin dall’inizio del brano: mentre tutta la famiglia lavora lui va in giro, trascorrendo il tempo all’osteria, e quando è presente si annoia ad ascoltare i soliti discorsi
La disputa fra nonno e nipote
Il contrasto giunge al culmine nel dialogo tra nonno e nipote. Il giovane si pone come un realista, un conoscitore delle vere leggi della vita, diverse da quelle che regolano le giornate della famiglia e hanno per confine il breve giro delle case del paese. ’Ntoni accarezza il desiderio di luoghi lontani: le città di cui parlano i marinai, da dove si ritorna con fazzoletti di seta per le donne e con le tasche piene di soldi. Il nonno, sostenuto dai familiari, oppone al nipote l’infallibile sapienza degli antichi attraverso una rassegna di proverbi e sentenze: «Beato quell’uccello, che fa il nido al suo paesello» (rr. 37-38); «Chi va coi zoppi, all’anno zoppica» (r. 68) ecc. Su questo terreno ’Ntoni non può combattere ad armi pari; usa allora le armi dell’
ironia e del sarcasmo. Quando il nonno gli ricorda che «Più ricco è in terra chi meno desidera. Meglio contentarsi che lamentarsi» (rr. 71-72) replica con un amaro «Bella consolazione!» (r. 73). Quando il vecchio afferma che «Ad ogni uccello, suo nido è bello » (r. 99) lui oppone un deciso «Io non sono una bestia come loro!» (r. 102). Più in generale, ’Ntoni rifiuta di vivere come le bestie («Carne d’asino! borbottava; ecco cosa siamo! Carne da lavoro!», rr. 54-55). Nel dialogo, padron ’Ntoni si appella alla propria esperienza di vita («Tu sei un ragazzo, e non lo sai!», r. 95) e ricorda al nipote che in una società tradizionale, come quella di Aci Trezza, i doveri verso il gruppo prevalgono sui desideri del singolo («Tu hai paura di dover guadagnare il pane che mangi», rr. 111-112; «ho fatto il mio dovere senza brontolare», rr. 114-115); «tuo fratello Luca […] non ha avuto paura di andare a fare il suo dovere», rr. 116-117; «Tua madre l’ha fatto anche lei il suo dovere», r. 118). ’Ntoni invece rivendica i diritti dell’individuo, pur mascherandoli con sentimenti di solidarietà: «Voglio farla ricca, mia madre! ecco cosa voglio. […] Voglio cambiar stato, io e tutti voi. Voglio che siamo ricchi» (rr. 81-85). In breve, il nonno insiste sul dovere, il nipote sul proprio volere individuale.
Una protesta senza riscatto sociale
’Ntoni è sdegnato per la povertà in cui vivono lui, la sua famiglia e, più in generale, gli abitanti di Aci Trezza; avverte l’ingiustizia di una vita di duro lavoro, priva di prospettive («quando arriveremo a ricuperar la casa del nespolo, dovremo continuare a logorarci la vita dal lunedì al sabato; e saremo sempre da capo!», rr. 42-44). Contemporaneamente invidia l’esistenza «senza pensieri e senza fatica che facevano gli altri» (rr. 48-49), cioè i ricchi e gli arricchiti. In certi momenti la sua insofferenza assume i toni di una vibrata protesta («Io non voglio vivere come un cane alla catena, come l’asino di compare Alfio», rr. 103-104), che potrebbe alludere a una prospettiva più ampia. Tuttavia ’Ntoni non è un rivoluzionario: la sua protesta non si traduce in un riscatto sociale per tutti, ma in una fuga individuale («era stanco di quella vitaccia, e voleva andarsene a far fortuna», rr. 55-56). La dimensione collettiva, quindi politica, è del tutto sconosciuta a ’Ntoni: questa impossibilità di un riscatto sociale riflette, più in generale, la visione profondamente pessimistica di Verga.
Il linguaggio della ripetitività
Nel dialogo con il nipote padron ’Ntoni difende il sapere tradizionale usando una delle sue manifestazioni più caratteristiche: i proverbi, molti dei quali traggono spunto dal mondo animale, secondo una consuetudine tipica del mondo contadino. ’Ntoni, che invece evita accuratamente i proverbi, per quanto si impegni nel professarsi estraneo alla cultura paesana ragiona ancora come un uomo del popolo. Non basta sostenere concetti opposti a quelli del nonno: è il modo di esprimerli e di argomentarli che richiama la medesima tecnica espositiva. L’uno e l’altro, infatti, non fanno che riprendere le precedenti formulazioni dell’avversario e rilanciarle in un’altra direzione.