Versione originale in latino
Forsitan et Priami fuerint quae fata requiras.
Urbis uti captae casum convolsaque vidit
limina tectorum et medium in penetralibus hostem,
arma diu senior desueta trementibus aevo
circumdat nequiquam umeris, et inutile ferrum
cingitur, ac densos fertur moriturus in hostis.
Aedibus in mediis nudoque sub aetheris axe
ingens ara fuit iuxtaque veterrima laurus,
incumbens arae atque umbra complexa Penatis.
Hic Hecuba et natae nequiquam altaria circum,
praecipites atra ceu tempestate columbae,
condensae et divom amplexae simulacra sedebant.
Ipsum autem sumptis Priamum iuvenalibus armis
ut vidit, “Quae mens tam dira, miserrime coniunx,
impulit his cingi telis? Aut quo ruis?” inquit;
“Non tali auxilio nec defensoribus istis
tempus eget, non, si ipse meus nunc adforet Hector.
Huc tandem concede; haec ara tuebitur omnis,
aut moriere simul.” Sic ore effata recepit
ad sese et sacra longaevum in sede locavit.
Ecce autem elapsus Pyrrhi de caede Polites,
unus natorum Priami, per tela, per hostis
porticibus longis fugit, et vacua atria lustrat
saucius: illum ardens infesto volnere Pyrrhus
insequitur, iam iamque manu tenet et premit hasta.
Ut tandem ante oculos evasit et ora parentum,
concidit, ac multo vitam cum sanguine fudit.
Hic Priamus, quamquam in media iam morte tenetur,
non tamen abstinuit, nec voci iraeque pepercit:
“At tibi pro scelere,” exclamat, “pro talibus ausis,
di, si qua est caelo pietas, quae talia curet,
persolvant grates dignas et praemia reddant
debita, qui nati coram me cernere letum
fecisti et patrios foedasti funere voltus.
At non ille, satum quo te mentiris, Achilles
talis in hoste fuit Priamo; sed iura fidemque
supplicis erubuit, corpusque exsangue sepulchro
reddidit Hectoreum, meque in mea regna remisit.”
Sic fatus senior, telumque imbelle sine ictu
coniecit, rauco quod protinus aere repulsum
e summo clipei nequiquam umbone pependit.
Cui Pyrrhus: “Referes ergo haec et nuntius ibis
Pelidae genitori; illi mea tristia facta
degeneremque Neoptolemum narrare memento.
Nunc morere.” Hoc dicens altaria ad ipsa trementem
traxit et in multo lapsantem sanguine nati,
implicuitque comam laeva, dextraque coruscum
extulit, ac lateri capulo tenus abdidit ensem.
Haec finis Priami fatorum; hic exitus illum
sorte tulit, Troiam incensam et prolapsa videntem
Pergama, tot quondam populis terrisque superbum
regnatorem Asiae. Iacet ingens litore truncus,
avolsumque umeris caput, et sine nomine corpus.
Traduzione all'italiano
Forse potresti chiedere anche quale fosse stata la sorte di Priamo.
Non appena vide la rovina della città conquistata e le porte del palazzo abbattute
e il nemico nel mezzo delle stanze, pone invano le armi (a cui era) disabituato intorno alle spalle
tremanti a causa dell’età pur essendo vecchio e si cinge dell’inutile spada
e si lascia contro i fitti nemici destinato a morire. Nel mezzo del palazzo e sotto l’aperta volta del cielo
ci fu un grande altare e accanto un antichissimo auro(alloro), che incombeva
sull’altare e che abbracciava con la sua ombra i penati.
Qui Ecuba e le figlie invane intorno all’altare, come colombe volate giù precipitate
a causa della cupa tempesta, sedevano strette e abbracciando le immagini degli dei.
Non appena però vide lo stesso Priamo dopo aver preso le armi
disse:”Quale decisione così funesta, o infelicissimo marito, ti spinse
a cingerti con queste armi?
O dove corri?; la circostanza non richiede un tale aiuto e tali difensori,
neppure se il mi Ettore in persona fosse presente ora.
Infine viene qui; questo altare ci difenderà tutti, o morirai insieme
a noi”. Avendo parlato così lo accolse presso di sé
e pose il vecchio nel luogo sacro.
Quand’ecco Polite, uno dei figli di Priamo, sfuggito dalla strage di Pirro,
fuggì attraverso le armi, attraverso i nemici, attraverso i lunghi portici
e percorse i vuoti atri, ferito. Pirro furente lo insegue con armi ostili,
e già e ormai lo afferra con le mani e lo in calza con la lancia.
Non appena alla fine giunse davanti agli occhi e al volto dei genitori,
cadde e esalò l’ultimo respiro con molto sangue.
A questo punto Priamo, sebbene ormai preso dalla morte,
tuttavia non si trattene e non risparmiò la voce e l’ira:
“O ma a te gli dei” esclama “se c’è qualche compassione nel cielo, che si prenda cura di tali empietà,
diano le giuste ricompense in cambio del delitto e in cambio di tali azioni
e ti diano i giusti premi, che mi hai fatto vedere da vicino la morte del figlio
e ha contaminato il volto del padre con la morte.
Ma quell’Achille famoso, dal quale tu menti che sei nato, non fu
tale nei confronti di Priamo nemico; ma rispetto i diritti e la fiducia del supplice
e restituì il corpo esangue di Ettore per la sepoltura e mi rimandò nel mio regno”.
Così parlò il vecchio e lanciò l’arma inoffensivo senza forza,
che subito fu respinta dal bronzo (scudo) con rumore sordo e invano rimase appesa
alla sommità dell’umbone dello scudo.
Pirro a lui, rispose: “Dunque riferirai queste cose e andrai come messaggero
dal padre Pelide (Achille). Ricordati di narrargli le mie azioni sciagurate
e di dirgli che Neottolemo è indegno del padre: ora muori”.
E così dicendo lo trascinò tremante proprio sugli altari ed
Incespicante sul molto sangue del figlio, e gli afferrò con la
sinistra la chioma, e con la destra sollevò la spada lucente e gliela
immerse nel fianco fino all’elsa.
Questa è la fine del destino di Priamo, questa uscita (morte) lo portò via per la sorte,
lui che vede Troia incendiata e la Rocca di Pergamo (Troia) abbattuta,
un tempo sovrano dell’Asia orgoglioso per tanti popoli eterni.
Giace sulla spiaggia un grande tronco e la testa
tagliata dalle spalle e un corpo senza nome.