Versione originale in latino
Ad Soram inde reditum; novique consules M. Poetelius C. Sulpicius exercitum ab dictatore Fabio accipiunt magna parte veterum militum dimissa novisque cohortibus in supplementum adductis. Ceterum cum propter difficilem urbis situm nec oppugnandi satis certa ratio iniretur et aut tempore longinqua aut praeceps periculo victoria esset, Soranus transfuga clam ex oppido profectus, cum ad vigiles Romanos penetrasset, duci se extemplo ad consules iubet deductusque traditurum urbem promittit. Visus inde, cum quonam modo id praestaturus esset percontantes doceret, haud vana adferre, perpulit prope adiuncta moenibus Romana castra ut sex milia ab oppido removerentur: fore ut minus intentae in custodiam urbis diurnae stationes ac nocturnae vigiliae essent. Ipse insequenti nocte sub oppido silvestribus locis cohortibus insidere iussis decem milites delectos secum per ardua ac prope invia in arcem ducit, pluribus quam pro numero virorum missilibus telis eo conlatis; ad hoc saxa erant et temere iacentia, ut fit in aspretis, et de industria etiam quo locus tutior esset ab oppidanis congesta. Ubi cum constituisset Romanos semitamque angustam et arduam erectam ex oppido in arcem ostendisset, "hoc quidem ascensu" inquit, "vel tres armati quamlibet multitudinem arcuerint; vos et decem numero et, quod plus est, Romani Romanorumque fortissimi viri estis. Et locus pro vobis et nox erit, quae omnia ex incerto maiora territis ostentat. Ego iam terrore omnia implebo; vos arcem intenti tenete". Decurrit inde, quanto maxime poterat cum tumultu "ad arma" et "pro vestram fidem, cives" clamitans; "arx ab hostibus capta est; defendite, ite." Haec incidens principum foribus, haec obviis, haec excurrentibus in publicum pavidis increpat. Acceptum ab uno pavorem plures per urbem ferunt. Trepidi magistratus missis ad arcem exploratoribus cum tela et armatos tenere arcem multiplicato numero audirent, avertunt animos a spe reciperandae arcis. Fuga cuncta complentur portaeque ab semisomnis ac maxima parte inermibus refringuntur, quarum per unam praesidium Romanum clamore excitatum inrumpit et concursantes per vias pavidos caedit. Iam Sora capta erat, cum consules prima luce advenere et quos reliquos fortuna ex nocturna caede ac fuga fecerat in deditionem accipiunt. Ex his ducentos viginti quinque, qui omnium consensu destinabantur et infandae colonorum caedis et defectionis auctores, vinctos Romam deducunt; ceteram multitudinem incolumem praesidio imposito Sorae relinquunt. Omnes qui Romam deducti erant virgis in foro caesi ac securi percussi summo gaudio plebis, cuius maxime intererat tutam ubique quae passim in colonias mitteretur multitudinem esse.
Traduzione all'italiano
Si ritornò poi all'assedio di Sora. E i nuovi consoli Marco Petelio e Gaio Sulpicio ricevettero dal dittatore Fabio il comando dell'esercito, licenziando gran parte degli effettivi avanti con gli anni e aggiungendo al loro posto nuove coorti. Ma poiché per la difficile posizione naturale della città non si riusciva a trovare un sistema abbastanza sicuro per espugnarla, e la vittoria sembrava restare o troppo in là nel tempo o esposta a rischi eccessivi, un disertore di Sora uscito di nascosto dalla città e arrivato fino ai posti di guardia romani si fece immediatamente portare al cospetto dei consoli, ai quali promise di consegnare la sua città nelle loro mani. Alle richieste dei consoli che cercavano di sapere in che modo avrebbe potuto garantire l'impresa l'uomo replicò con risposte che non lasciavano dubbi; così sembrò che le sue argomentazioni non fossero vane parole, e il disertore convinse i Romani a spostare di sei miglia dalla città l'accampamento, che adesso era invece quasi attaccato alle mura: di giorno la vigilanza delle sentinelle si sarebbe così allentata. Lui stesso poi, nel corso della notte successiva, dopo che ad alcune coorti venne data disposizione di attestarsi in un bosco sotto la città, attraverso sentieri impervi e quasi inaccessibili portò con sé dieci soldati romani sulla rocca, dove aveva raccolto un numero di aste di gran lunga superiore alle necessità di quel manipolo. C'erano anche parecchi sassi, parte dei quali si trovavano lì per ragioni naturali (come sempre nei luoghi dirupati), mentre parte erano stati ammucchiati intenzionalmente dagli assediati, nell'intento di rendere più sicura la postazione. L'uomo portò in quel punto i Romani, e indicando loro un sentiero stretto e scosceso che dalla città saliva fin sulla rocca disse: "Basterebbero anche solo tre uomini armati per impedire la salita all'esercito più massiccio: voi siete in dieci e - ciò che più conta - siete Romani, e tra i Romani siete anche i guerrieri più forti. Dalla vostra parte avrete la posizione e la notte, che nell'incertezza fa apparire più grosso qualunque pericolo a chi già sia spaventato. Io adesso farò in modo di seminare il panico ovunque: voi limitatevi a tenere saldamente la rocca". Detto questo, si lanciò giù di corsa gridando con quanta più voce aveva dentro: "Allarmi! Cittadini, aiuto, la rocca è in mano ai nemici! Presto, correte a difenderla!". Così gridava di fronte alle dimore dei capi, a chi incontrava e alla gente che si riversava terrorizzata nelle strade. Per tutta la città si diffuse il panico suscitato da un solo individuo. I magistrati affannosamente mandarono soldati in avanscoperta alla rocca e quando si sentirono riferire che essa era occupata da uomini (il cui numero venne esagerato) con le armi in pugno, abbandonarono ogni speranza di poterla riconquistare. Fu allora una fuga generale e precipitosa, e le porte furono sfondate dalla folla quasi del tutto inerme e appena alzatasi dal letto. Attirato dalle grida, il contingente romano irruppe attraverso uno degli ingressi massacrando la gente che correva terrorizzata per le strade. Sora era già conquistata, quando all'alba arrivarono i consoli che accettarono la resa di quanti per motivi contingenti erano rimasti in città dopo la strage notturna e la fuga. Ne vennero condotti a Roma in catene 225, quelli cioè che l'opinione pubblica additava come primi responsabili dell'infausto massacro di coloni e della defezione. Il resto della popolazione fu lasciato incolume a Sora, dove venne insediato un presidio armato. Gli uomini deportati a Roma furono bastonati e decapitati in pieno Foro con grande gioia della plebe, cui premeva la sicurezza dei cittadini inviati nelle colonie.