Versione originale in latino
Tum Postumius "interea dedite" inquit "profanos nos, quos salva religione potestis; dedetis deinde et istos sacrosanctos cum primum magistratu abierint, sed, se me audiatis, priusquam dedantur, hic in comitio virgis caesos, hanc iam ut intercalatae poenae usuram habeant. Nam quod deditione nostra negant exsolvi religione populum, id istos magis ne dedantur quam quia ita se res habeat dicere, quis adeo iuris fetialium expers est qui ignoret? Neque ego infitias eo, patres conscripti, tam sponsiones quam foedera sancta esse apud eos homines apud quos iuxta divinas religiones fides humana colitur; sed iniussu populi nego quicquam sanciri posse quod populum teneat. An, si eadem superbia, qua sponsionem istam expresserunt nobis Samnites, coegissent nos verba legitima dedentium urbes nuncupare, deditum populum Romanum vos tribuni diceretis et hanc urbem, templa, delubra, fines, aquas Samnitium esse? Omitto deditionem, quoniam de sponsione agitur; quid tandem, si spopondissemus urbem hanc relicturum populum Romanum? Si incensurum? Si magistratus, si senatum, si leges non habiturum? Si sub regibus futurum? Di meliora, inquis. Atqui non indignitas rerum sponsionis vinculum levat; si quid est in quo obligari populus possit, in omnia potest. Et ne illud quidem, quod quosdam forsitan moveat, refert, consul an dictator an praetor spoponderit. Et hoc ipsi etiam Samnites iudicaverunt, quibus non fuit satis consules spondere, sed legatos, quaestores, tribunos militum spondere coegerunt. Nec a me nunc quisquam quaesiverit quid ita spoponderim, cum id nec consulis ius esset nec illis spondere pacem quae mei non erat arbitrii, nec pro vobis qui nihil mandaveratis possem. Nihil ad Caudium, patres conscripti, humanis consiliis gestum est; di immortales et vestris et hostium imperatoribus mentem ademerunt. Nec nos in bello satis cavimus et illi male partam victoriam male perdiderunt, dum vix locis quibus vicerant credunt, dum quacumque condicione arma viris in arma natis auferre festinant. An, si sana mens fuisset, difficile illis fuit, dum senes ab domo ad consultandum accersunt, mittere Romam legatos? Cum senatu, cum populo de pace ac foedere agere? Tridui iter expeditis erat; interea in indutiis res fuisset, donec ab Roma legati aut victoriam illis certam aut pacem adferrent. Ea demum sponsio esset quam populi iussu spopondissemus. Sed neque vos tulissetis nec nos spopondissemus; nec fas fuit alium rerum exitum esse quam ut illi velut somnio laetiore quam quod mentes eorum capere possent nequiquam eluderentur, et nostrum exercitum eadem quae impedierat fortuna expediret, vanam victoriam vanior inritam faceret pax, sponsio interponeretur quae neminem praeter sponsorem obligaret. Quid enim vobiscum, patres conscripti, quid cum populo Romano actum est? Quis vos appellare potest, quis se a vobis dicere deceptum? Hostis an civis? Hosti nihil spopondistis, civem neminem spondere pro vobis iussistis. Nihil ergo vobis nec nobiscum est quibus nihil mandastis, nec cum Samnitibus cum quibus nihil egistis. Samnitibus sponsores nos sumus rei satis locupletes in id quod nostrum est, in id quod praestare possumus, corpora nostra et animos; in haec saeviant, in haec ferrum, in haec iras acuant. Quod ad tribunos attinet, consulite utrum praesens deditio eorum fieri possit an in diem differatur; nos interim, T. Veturi vosque ceteri, vilia haec capita, luendae sponsionis feramus et nostro supplicio liberemus Romana arma."
Traduzione all'italiano
Allora Postumio disse: "Intanto cominciate col restituire noi che non siamo sacri, ciò che potete fare, senza violare i principi della religione. Poi consegnerete anche costoro che sono inviolabili, non appena avranno esaurito il loro mandato. Se però mi ascoltate, prima di restituirli, fateli bastonare qui nell'assemblea, in modo tale che paghino l'interesse dovuto per il ritardo con cui viene loro inflitta la pena. Perché la loro tesi - e cioè che con la nostra consegna il popolo non sarà liberato dai vincoli della religione - essi la sostengono più per non essere consegnati che per la reale situazione in atto: chi infatti ha così poca esperienza in materia di diritto feziale, da non rendersene conto? Io non voglio negare, o senatori, che tanto le garanzie quanto i trattati sono ritenuti sacri da chi rispetta la parola come un sacro vincolo religioso. Nego però che senza l'autorizzazione del popolo sia possibile sancire alcun atto che vincoli il popolo stesso. Ma se i Sanniti ci avessero costretti a pronunciare la formula di rito per la consegna della città con la stessa violenza con la quale ci hanno estorto questa promessa, voi, o tribuni, direste che il popolo romano si è rimesso nelle mani dei nemici e che questa città, i templi, i santuari, i campi e le acque sono di proprietà dei Sanniti? Lasciamo pure da parte la questione della resa, visto che si tratta di una garanzia personale: ma che dire se avessimo garantito che il popolo romano avrebbe abbandonato questa città? Che l'avrebbe incendiata? Che non avrebbe più goduto di magistrati, di un senato e di leggi? Che si sarebbe piegata a una monarchia? "Che gli dèi tengano lontano da noi cose di quel genere", direte voi. Eppure non è l'enormità delle condizioni poste che può eliminare il vincolo della garanzia: se esiste qualcosa cui un popolo può essere vincolato, allora lo sarà per qualunque cosa. Ma nemmeno questo argomento - che forse potrebbe toccare la sensibilità di qualcuno - ha un qualche peso: e cioè che a offrire la garanzia sia stato un console, un dittatore oppure un pretore. Anche i Sanniti hanno giudicato in questo modo, visto che non si sono accontentati dell'idea che a fare da garanti fossero solo i consoli, ma hanno costretto a prestare garanzia anche i luogotenenti, i questori e i tribuni militari. Che adesso nessuno mi venga a chiedere perché ho offerto questa garanzia, visto che la cosa non rientrava nelle competenze del console, né io potevo garantire ai nemici una pace che non dipendesse dalla mia volontà, e tanto meno a nome vostro, siccome non mi avevate affidato alcun tipo di incarico. A Caudio nulla è dipeso dalle decisioni degli uomini: sono stati gli dèi a privare del senno i vostri generali e quelli del nemico. Se noi non ci siamo cautelati a dovere in quella guerra, loro invece hanno sperperato in malo modo una vittoria ottenuta malamente, ora fidandosi poco del luogo grazie al quale avevano avuto la meglio, ora lasciandosi prendere dalla fretta di disarmare a qualunque costo degli uomini nati per le armi. Ma se fossero stati assennati, sarebbe forse stato difficile per loro - mentre convocavano dalla patria gli anziani per averne un parere - inviare ambasciatori a Roma e trattare della pace e delle relative condizioni col senato e col popolo? A inviati veloci sarebbero bastati tre giorni di marcia, mentre nel frattempo si sarebbe potuta fissare una tregua, nell'attesa che rientrassero da Roma gli ambasciatori ad annunciare la vittoria sicura o la pace. Questa sì che sarebbe stata una garanzia, quella che noi avessimo garantito su mandato del popolo. Ma una pace così né voi l'avreste accettata, né noi l'avremmo garantita, ed è stato per volere del cielo che le cose non sono andate diversamente: e cioè che i Sanniti si lasciassero ingannare da un sogno troppo bello perché le loro menti arrivassero a rendersene conto, che il nostro esercito venisse salvato da quella stessa sorte che prima l'aveva avversato, che una vittoria vana fosse vanificata da una pace ancora più vana, e che venisse offerta una garanzia che non vincolava nessuno tranne chi se n'era fatto garante. E infatti, o senatori, cos'è stato trattato con voi, cosa col popolo romano? Chi può chiamarvi in causa, chi può sostenere di essere stato ingannato da voi? I nemici o i concittadini? Ai nemici non avete garantito nulla, né avete ordinato ad alcun cittadino di offrire una garanzia a nome vostro. Per questo non avete alcun tipo di obbligo né verso di noi, cui non avete ordinato nulla, né verso i Sanniti, con i quali non avete trattato nulla. Di fronte ai Sanniti i garanti siamo noi, responsabili e nella posizione di poter offrire soddisfazione per quel che siamo in grado di offrire, ovvero i nostri corpi e le nostre menti: è contro di questi che devono infierire, contro di questi che devono rivolgere le loro spade e la loro rabbia. Per quel che poi concerne i tribuni, stabilite voi se la loro consegna si possa effettuare sùbito, o la si debba differire ad altra data. Nel frattempo noi, o Tito Veturio e voi altri, offriamo queste nostre povere persone come soddisfazione della garanzia data, e liberiamo le armi romane con la pena inflittaci".