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Versione originale in latino


Eodem anno Alexandream in Aegypto proditum conditam Alexandrumque Epiri regem ab exsule Lucano interfectum sortes Dodonaei Iovis eventu adfirmasse. Accito ab Tarentinis in Italiam data dictio erat, caveret Acherusiam aquam Pandosiamque urbem: ibi fatis eius terminum dari. Eoque ocius transmisit in Italiam ut quam maxime procul abesset urbe Pandosia in Epiro et Acheronte amni, quem ex Molosside fluentem in Stagna Inferna accipit Thesprotius sinus.
Ceterum ut ferme fugiendo in media fata ruitur, cum saepe Bruttias Lucanasque legiones fudisset, Heracleam, Tarentinorum coloniam, ex Lucanis Sipontumque, Bruttiorum Consentiam ac Terinam, alias inde Messapiorum ac Lucanorum cepisset urbes et trecentas familias illustres in Epirum quas obsidum numero haberet misisset, haud procul Pandosia urbe, imminente Lucanis ac Bruttiis finibus, tres tumulos aliquantum inter se distantes insedit, ex quibus incursiones in omnem partem agri hostilis faceret; et ducentos ferme Lucanorum exsules circa se pro fidis habebat, ut pleraque eius generis ingenia sunt, cum fortuna mutabilem gerentes fidem. Imbres continui campis omnibus inundatis cum interclusissent trifariam exercitum a mutuo inter se auxilio, duo praesidia quae sine rege erant improviso hostium adventu opprimuntur; deletisque eis ad ipsius obsidionem omnes conversi. Inde ab Lucanis exsulibus ad suos nuntii missi sunt pactoque reditu promissum est regem aut vivum aut mortuum in potestatem daturos. Ceterum cum delectis ipse egregium facinus ausus per medios erumpit hostes et ducem Lucanorum comminus congressum obtruncat; contrahensque suos ex fuga palatos pervenit ad amnem ruinis recentibus pontis, quem vis aequae abstulerat, indicantem iter. Quem cum incerto vado transiret agmen, fessus metu ac labore miles, increpans nomen abominandum fluminis, 'iure Acheros vocaris' inquit. Quod ubi ad aures accidit regis, adiecit extemplo animum fatis suis substititque dubius an transiret. Tum Sotimus, minister ex regiis pueris, quid in tanto discrimine periculi cunctaretur interrogans indicat Lucanos insidiis quaerere locum. Quos ubi respexit rex procul grege facto venientes, stringit gladium et per medium amnem transmittit equum; iamque in vadum egressum eminus veruto Lucanus exsul transfigit. Lapsum inde cum inhaerente telo corpus exanime detulit amnis in hostium praesidia. Ibi foeda laceratio corporis facta. Namque praeciso medio partem Consentiam misere, pars ipsis retenta ad ludibrium; quae cum iaculis saxisque procul incesseretur, mulier una ultra humanarum irarum fidem saevienti turbae immixta, ut parumper sustinerent precata, flens ait virum sibi liberosque captos apud hostes esse; sperare corpore regio utcumque mulcato se suos redempturam. Is finis laceratione fuit, sepultumque Consentiae quod membrorum reliquum fuit cura mulieris unius, ossaque Metapontum ad hostes remissa, inde Epirum devecta ad Cleopatram uxorem sororemque Olympiadem, quarum mater magni Alexandri altera, soror altera fuit. Haec de Alexandri Epirensis tristi eventu, quamquam Romano bello fortuna eum abstinuit, tamen, quia in Italia bella gessit, paucis dixisse satis sit.

Traduzione all'italiano


Si tramanda che in quello stesso anno venne fondata in Egitto la città di Alessandria e che il re dell'Epiro Alessandro, assassinato da un esule lucano, con la sua fine confermò un oracolo di Giove a Dodona. Essendo stato chiamato in Italia dai Tarentini, l'oracolo lo aveva avvertito di guardarsi dall'acqua Acherusia e dalla città di Pandosia, perché lì il destino aveva fissato per lui il termine della vita. Perciò era passato rapidamente in Italia, in modo tale da trovarsi quanto più lontano possibile dalla città di Pandosia e dal fiume Acheronte, che, scendendo dalla Molosside negli stagni Infernali, sfociava nel golfo di Tesprotide. Ma, come sovente succede, l'uomo cercando di evitare il proprio destino finisce per coglierlo in pieno: dopo aver ripetutamente sconfitto le legioni dei Bruzzi e dei Lucani, Alessandro strappò ai Lucani la colonia tarentina di Eraclea, conquistò Siponto degli Apuli, Cosenza e Terina dei Bruzzi e ancora altre città dei Messapi e dei Lucani, e inviò in Epiro trecento illustri famiglie da tenere in ostaggio. Dopo tutto questo, si accampò non lontano dalla città di Pandosia (che si trovava presso i confini con la Lucania e il Bruzzio), su tre colline poste a breve distanza le une dalle altre, dalle quali era possibile effettuare incursioni in ogni punto del territorio nemico. Aveva intorno a sé circa duecento esuli lucani che egli considerava affidabili, ma che, com'è in genere l'attitudine di quel popolo, erano pronti a cambiare fede col cambiare della fortuna. Siccome le piogge incessanti avevano inondato tutte le campagne e diviso in tre tronconi l'esercito, togliendo la possibilità dell'assistenza reciproca, le due guarnigioni dove non c'era il re furono sopraffatte da un improvviso attacco dei nemici. Questi, dopo averle fatte a pezzi, si concentrarono esclusivamente sull'assedio della guarnigione in cui era Alessandro. Gli esuli lucani inviarono messaggeri ai loro conterranei, promettendo che, se avessero ottenuto la garanzia di poter rientrare incolumi, avrebbero consegnato nelle loro mani il re, vivo o morto. Ma Alessandro stesso, con un gesto audace e valoroso, si aprì la strada tra i nemici con un plotone di uomini scelti e uccise il comandante dei Lucani in duello. Quindi, raccolti i suoi che si erano dispersi nel corso della fuga, arrivò a un fiume, dove le recenti rovine di un ponte, spazzato via dalla violenza delle acque, indicavano la strada da seguire. Mentre i suoi uomini stavano attraversando il fiume in un guado malsicuro, un soldato spossato dalla fatica e dalla paura, maledicendo il sinistro nome del fiume, gridò: "A ragione ti chiamano Acheronte!". Non appena il re udì questa frase, sùbito ricordò il suo destino e si fermò, incerto se affrontare il guado o meno. Allora Sotimo, uno dei giovani nobili al suo séguito, chiedendogli perché indugiasse in un momento di così grande pericolo, gli indicò i Lucani che stavano cercando di tendergli un agguato. Quando il re li vide sopraggiungere a breve distanza in gruppo compatto, sguainò la spada e spinse il cavallo nel mezzo della corrente. Era già quasi arrivato sulla terraferma quando un esule lucano lo trafisse con un giavellotto. Alessandro crollò a terra con il giavellotto conficcato nel corpo esanime e la corrente lo trascinò in mezzo ai posti di guardia dei nemici, dove fu orrendamente mutilato. Dopo averlo tagliato a metà, ne mandarono una parte a Cosenza e tennero l'altra per ludibrio. Mentre la utilizzavano come bersaglio lanciando da lontano pietre e giavellotti, una donna da sola, mescolatasi alla folla che stava infierendo oltre il limite di ogni rabbia umana, li pregò di fermarsi per un attimo e in preda alle lacrime disse che suo marito e i suoi figli erano prigionieri in mano del nemico, e che col corpo del re, benché sconciato, sperava di poterli riscattare. Questo pose fine alle mutilazioni. Ciò che restava del cadavere venne sepolto a Cosenza: soltanto quella donna se ne curò. Le ossa vennero inviate al nemico a Metaponto, e di lì furono trasportate via mare in Epiro alla moglie Cleopatra e alla sorella Olimpiade, rispettivamente madre e sorella di Alessandro Magno. Questa fu la triste fine di Alessandro dell'Epiro. Basti averne riferito in breve: pur avendogli la sorte impedito di scontrarsi con i Romani, egli combatté delle guerre in Italia.

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