Versione originale in latino
Creati consules L. Papirius Crassus iterum L. Plautius Venox; cuius principio anni legati ex Volscis Fabraterni et Lucani Romam venerunt, orantes ut in fidem reciperentur: si a Samnitium armis defensi essent, se sub imperio populi Romani fideliter atque oboedienter futuros. Missi tum ab senatu legati denuntiatumque Samnitibus, ut eorum populorum finibus vim abstinerent; valuitque ea legatio, non tam quia pacem volebant Samnites quam quia nondum parati erant ad bellum. Eodem anno Privernas bellum initum, cuius socii Fundani, dux etiam fuit Fundanus, Vitruvius Vaccus, vir non domi solum sed etiam Romae clarus; aedes fuere in Palatio eius, quae Vacci prata diruto aedificio publicatoque solo appellata. Adversus hunc vastantem effuse Setinum Norbanumque et Coranum agrum L. Papirius profectus haud procul castris eius consedit. Vitruvio nec ut vallo se teneret adversus validiorem hostem sana constare mens, nec ut longius a castris dimicaret animus suppetere; vix tota extra portam castrorum explicata acie, fugam magis retro quam proelium aut hostem spectante milite, sine consilio, sine audacia depugnat. Ut et levi momento nec ambigue est victus, ita brevitate ipsa loci facilique receptu in tam propinqua castra haud aegre militem a multa caede est tutatus; nec fere quisquam in ipso certamine, pauci in turba fugae extremae, cum in castra ruerent, caesi; primisque tenebris Privernum inde petitum agmine trepido, ut muris potius quam vallo sese tutarentur. A Priverno Plautius alter consul pervastatis passim agris praedaque abacta in agrum Fundanum exercitum inducit. Ingredienti fines senatus Fundanorum occurrit; negant se pro Vitruvio sectamque eius secutis precatum venisse sed pro Fundano populo; quem extra culpam belli esse ipsum Vitruvium iudicasse, cum receptaculum fugae Privernum habuerit non patriam [Fundanos]. Priverni igitur hostes populi Romani quaerendos persequendosque esse, qui simul a Fundanis ac Romanis utriusque patriae immemores defecerint: Fundis pacem esse et animos Romanos et gratam memoriam acceptae civitatis. Orare se consulem ut bellum ab innoxio populo abstineat; agros, urbem, corpora ipsorum coniugumque ac liberorum suorum in potestate populi Romani esse futuraque. Conlaudatis Fundanis consul litterisque Romam missis in officio Fundanos esse ad Privernum flexit iter. Prius animadversum in eos qui capita coniurationis fuerant a consule scribit Claudius: ad trecentos quinquaginta ex coniuratis vinctos Romam missos eamque deditionem ab senatu non acceptam, quod egentium atque humilium poena defungi velle Fundanum populum censuerint. Privernum.
Traduzione all'italiano
Vennero eletti consoli Lucio Papirio Crasso (al suo secondo consolato) e Lucio Plauzio Venoce. All'inizio del-l'anno arrivarono a Roma degli ambasciatori dei Volsci di Fabrateria e dei Lucani per implorare la protezione di Roma. Promisero che, nel caso in cui fossero stati difesi dai Sanniti, sarebbero diventati leali e obbedienti sudditi del popolo romano. Il senato inviò allora una delegazione ai Sanniti per ammonirli di astenersi da incursioni nei territori di quei popoli. L'ambasceria raggiunse lo scopo, non tanto perché i Sanniti desiderassero la pace, quanto piuttosto perché non erano ancora pronti alla guerra. Quello stesso anno vide l'inizio della guerra con i Privernati, i cui alleati erano gli abitanti di Fonda e il cui comandante era, anch'egli, di Fonda. Si trattava di Vitruvio Vacco, uomo noto non solo in patria, ma anche a Roma, dove possedeva una casa sul Palatino, nel punto che, quando l'edificio venne abbattuto e il terreno confiscato, prese il nome di prati di Vacco. A contrastarlo nella sua devastazione dei territori di Sezia, Norba e Cora venne inviato Lucio Papirio, che si accampò non lontano dell'avversario. Vitruvio non aveva né la fermezza d'animo di rimanere al riparo della trincea di fronte a un nemico ben più forte, né il coraggio di combattere lontano dall'accampamento. Quasi tutto il suo contingente si trovava schierato di fronte all'ingresso dell'accampamento e i suoi soldati si stavano preoccupando più della fuga che della battaglia o del nemico, quando Vacco iniziò una battaglia disperata senza dimostrare né prudenza né audacia. Sconfitto con non troppa fatica e in maniera che non lasciava dubbi, poiché il suo accampamento era vicino e facilmente raggiungibile, riuscì agevolmente a evitare gravi perdite. Durante la battaglia non morì quasi nessuno; solo pochi della retroguardia in fuga persero la vita mentre stavano riversandosi nell'accampamento. Alle prime luci della sera raggiunsero Priverno con una marcia affannosa, per cercare nelle mura della città una protezione più sicura della trincea. Da Priverno l'altro console, Plauzio, saccheggiate le campagne dei dintorni e conquistato grande bottino, guidò l'esercito nel territorio di Fonda. Mentre ne stava varcando i limiti, gli andò incontro il senato di Fonda, i cui membri dissero di essere venuti a rivolgere una preghiera non a favore di Vitruvio e di quanti lo avevano seguito, ma del popolo di Fonda che Vitruvio stesso aveva dichiarato estraneo alla guerra quando si era rifugiato a Priverno invece che nella sua città natale. Perciò era a Priverno che bisognava cercare e punire i nemici del popolo romano, i quali si erano ribellati contemporaneamente ai Fondani e ai Romani, dimenticandosi dell'una e dell'altra patria. Gli abitanti di Fonda si mantenevano pacifici, avevano sentimenti di amicizia nei confronti dei Romani e dimostravano gratitudine per la cittadinanza ricevuta. Implorarono il console di astenersi dal fare guerra contro un popolo innocente: le campagne, la città, le loro stesse persone e quelle delle mogli e dei figli erano e sarebbero state sottomesse all'autorità di Roma. Il console, elogiati gli abitanti di Fonda e spedita a Roma una lettera con la quale annunciava che quella città si manteneva leale, si diresse verso Priverno. Claudio scrive che prima di partire il console fece giustiziare i capi della rivolta, inviando a Roma in catene trecentocinquanta di quelli che vi avevano preso parte. Ma il senato non avrebbe accettato la resa, convinto che il popolo di Fonda volesse liberarsi di ogni responsabilità facendo ricadere la punizione sui cittadini poveri e di bassa estrazione.