Versione originale in latino
Ceterum animus ducis rei maiori, Antio, imminebat: id caput Volscorum, eam fuisse originem proximi belli. Sed magno apparatu tormentis machinisque tam valida quia nisi urbs capi non poterat, relicto ad exercitum collega Romam est profectus, ut senatum ad excidendum Antium hortaretur. Inter sermonem eius - credo rem Antiatem diuturniorem manere dis cordi fuisse - legati ab Nepete ac Sutrio auxilium adversus Etruscos petentes veniunt, brevem occasionem esse ferendi auxilii memorantes. Eo vim Camilli ab Antio fortuna avertit. Namque cum ea loca opposita Etruriae et velut claustra inde portaeque essent, et illis occupandi ea cum quid novi molirentur et Romanis reciperandi tuendique cura erat. Igitur senatui cum Camillo agi placuit ut omisso Antio bellum Etruscum susciperet; legiones urbanae quibus Quinctius praefuerat ei decernuntur. Quamquam expertum exercitum adsuetumque imperio qui in Volscis erat mallet, nihil recusavit; Valerium tantummodo imperii socium depoposcit. Quinctius Horatiusque successores Valerio in Volscos missi. Profecti ab urbe Sutrium Furius et Valerius partem oppidi iam captam ab Etruscis invenere, ex parte altera intersaeptis itineribus aegre oppidanos vim hostium ab se arcentes. Cum Romani auxilii adventus tum Camilli nomen celeberrimum apud hostes sociosque et in praesentia rem inclinatam sustinuit et spatium ad opem ferendam dedit. Itaque diviso exercitu Camillus collegam in eam partem circumductis copiis quam hostes tenebant moenia adgredi iubet, non tanta spe scalis capi urbem posse quam ut aversis eo hostibus et oppidanis iam pugnando fessis laxaretur labor et ipse spatium intrandi sine certamine moenia haberet. Quod simul utrimque factum esset ancepsque terror Etruscos circumstaret, et moenia summa vi oppugnari et intra moenia esse hostem [ut] viderunt, porta se, quae una forte non obsidebatur, trepidi uno agmine eiecere. Magna caedes fugientium et in urbe et per agros est facta: plures a Furianis intra moenia caesi, Valeriani expeditiores ad persequendos fuere, nec ante noctem, quae conspectum ademit, finem caedendi fecere. Sutrio recepto restitutoque sociis Nepete exercitus ductus, quod per deditionem acceptum iam totum Etrusci habebant.
Traduzione all'italiano
Ma i pensieri del comandante erano rivolti a una questione di ben altre proporzioni, e cioè ad Anzio, capitale dei Volsci, e causa della recente guerra. Ma siccome una città tanto potente non la si poteva prendere se non con l'impiego di un massiccio spiegamento di macchine da guerra e di ordigni da lancio, Camillo, dopo aver lasciato il comando dell'esercito al collega, partì alla volta di Roma per spingere il senato a distruggere Anzio. Mentre egli stava parlando - ho l'impressione che agli dèi stesse a cuore che la potenza di Anzio durasse più a lungo -, da Nepi e da Sutri arrivarono ambasciatori per chiedere aiuto contro gli Etruschi, insistendo sull'urgenza del soccorso. Così la sorte rivolse in quella direzione la forza di Camillo allontanandola da Anzio. Siccome quelle due città si trovavano sul confine con l'Etruria e ne costituivano, per così dire, la chiave e le porte, gli Etruschi facevano di tutto per occuparle, quando macchinavano qualcosa di nuovo, mentre i Romani si preoccupavano di riprenderle e proteggerle. Pertanto il senato decise di convincere Camillo a lasciar perdere Anzio e ad occuparsi della guerra contro gli Etruschi, assegnandogli quelle legioni urbane che erano state agli ordini di Quinzio. Camillo avrebbe preferito l'esercito esperto e abituato al suo comando che al momento si trovava nel territorio dei Volsci, ciò non ostante non fece alcuna obiezione, chiedendo soltanto che gli venisse associato al comando Valerio. Quinzio e Orazio vennero inviati a sostituire Valerio nella campagna contro i Volsci. Partiti da Roma alla volta di Sutri, Furio e Valerio trovarono però che parte della città era già finita in mano degli Etruschi, e che nell'altra parte gli abitanti, dopo aver sbarrato tutte le vie d'accesso, riuscivano a stento a contenere gli assalti del nemico. L'arrivo di aiuti da Roma e in particolare la grandissima fama di cui Camillo godeva presso nemici e alleati permisero di ristabilire momentaneamente la situazione già compromessa e concessero il tempo necessario per organizzare il soccorso. Diviso in due l'esercito, Camillo diede disposizione al collega di operare una manovra di accerchiamento e di dare l'assalto alle mura nel settore occupato dai nemici. La sua speranza non era tanto di poter prendere la città con l'uso di scale, quanto di richiamare i nemici in quel punto (concedendo così agli abitanti, ormai stremati dal continuo combattere, un attimo di tregua), e di avere l'opportunità di entrare in città senza combattere. Entrambe le operazioni vennero messe in pratica simultaneamente: gli Etruschi sentendosi minacciati da ambo le parti e vedendo che le mura erano attaccate con estrema violenza e che i nemici erano ormai in città, colti da terrore si gettarono in massa fuori dalla sola porta che casualmente non era assediata. La fuga nei campi e all'interno della città finì comunque in un bagno di sangue. La maggior parte di essi venne fatta a pezzi dai soldati di Furio all'interno delle mura. Gli uomini di Valerio furono più veloci nell'inseguimento e posero fine al massacro solo quando il calar della notte tolse la visibilità. Dopo aver riconquistato e riconsegnato Sutri agli alleati, l'esercito marciò alla volta di Nepi, che essendosi ormai arresa era ora in completa balìa degli Etruschi.