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CAPITOLO II
Fattori psicosociali e malattie dermatologiche
Il presente capitolo è dedicato allo studio dei fattori psicologici e sociali che possono
influenzare l’insorgenza o il decorso di alcune patologie cutanee. Da una disamina della
letteratura, emerge che uno dei principali fattori studiati è lo stress psicologico. Viene
una rapida panoramica storica dell’evoluzione del concetto di stress,
presentata, pertanto,
in cui si delinea il nuovo paradigma della psiconeuroendocrinoimmunologia, e si riportano,
in seguito, gli studi che hanno indagato la relazione tra stress psicologico e malattie
In linea con le teorie che sottolineano l’importanza della variabilità individuale
cutanee.
nella risposta allo stress, si prendono in considerazione, in seguito, alcuni fattori
psicosociali che, interagendo con una situazione di stress, possono modulare la
vulnerabilità alle malattie dermatologiche, quali lo stile di attaccamento insicuro, la scarsa
quantità e qualità delle relazioni sociali che possono fornire sostegno e l’alessitimia.
infine, l’importanza di
Si sottolinea, effettuare una valutazione del peso relativo di questi
fattori che, in alcuni pazienti, può essere importante rispetto o in associazione al peso
relativo dei fattori bio-medici nel co-determinare, mantenere o modificare il decorso di una
L’attenzione
patologia cutanea. agli elementi psicosociali nella valutazione e, in seguito
integrata all’analisi dei fattori biologici,
nella gestione clinica, potrà, così, incidere
notevolmente sugli esiti del disturbo.
2.1 Lo stress: cenni storici e paradigma PNEI
…..Il termine stress, molto comune nel nostro linguaggio quotidiano, deriva dalla radice
indoeuropea “str”, che è stata storicamente associata all’esercizio di pressione. Tale
termine si rifà, pertanto, a una nozione fisica e denota la forza che, agendo su un
organismo, ne modifiche le caratteristiche (Picardi, 2012).
Walter Bradford Cannon è stato il primo ricercatore a studiare lo stress in una prospettiva
fisiologica. Il fisiologo, a partire da esperimenti effettuati sui cani, introdusse il concetto di
reazione di allarme per indicare una serie di modificazioni fisiologiche che si attivavano
negli animali quando questi erano sottoposti a uno stress intenso. Queste modificazioni
l’aumento della frequenza cardiaca, della pressione
includevano: sanguigna, dei grassi e
del glucosio ematici, la dilatazione delle pupille, l’insonnia e l’agitazione. Tali alterazioni
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erano soprattutto il risultato di un’intensa stimolazione del sistema nervoso simpatico e
della midollare del surrene. Cannon introdusse il termine omeostasi per indicare il
mantenimento dell’equilibrio nell’ambiente interno dell’organismo, che può essere turbato
se quest’ultimo è sottoposto a uno stress intenso e continuativo. Negli anni successivi, il
fisiologo viennese Hans Selye descrisse con precisione i correlati fisiologici e
comportamentali dello stress. Negli anni ’30, studiando un ormone sessuale in animali da
esperimento, osservò che questi ultimi reagivano agli stimoli nocivi ricevuti (temperature
estreme, intossicazione da sostanze chimiche) sviluppando una serie di reazioni organiche,
come l’ipertrofia surrenale, l’atrofia del timo e dei linfonodi e lo sviluppo di ulcere
gastriche. Egli interpretò queste alterazioni come reazioni difensive «aspecifiche»
dell’organismo in seguito al contatto con stimoli nocivi. Secondo Selye, questa reazione
può essere indotta, in modo aspecifico, da una serie molto ampia di agenti stressanti o
un’attivazione
stressors, di natura fisica, tossica, infettiva o psicologica, i quali provocano
dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA) con un conseguente aumento ematico degli
ormoni steroidi corticosurrenali (Baldoni, 2010). Lo studioso denominò questa reazione
sindrome generale di adattamento (General Adaptation Syndrome o GAS),
rappresentandola in un modello a tre stadi: inizialmente si ha una fase di allarme in cui la
presenza di uno stressor provoca alterazioni di tipo biologico e ormonale; in un secondo
l’organismo
tempo, si giunge a una fase di resistenza, in cui aumenta la resistenza verso lo
stimolo nocivo e cerca di adattarsi alla situazione; se la condizione stressante persiste si
in cui l’organismo non riesce più a far fronte alla
giunge a una fase di esaurimento,
situazione e, a causa di un eccessivo dispendio di energie, si indebolisce, favorendo la
comparsa di malattie. In questo modo, Selye mise in evidenza che, mentre le risposte allo
stress a breve termine corrispondono a variazioni adattive che aiutano il soggetto a
rispondere allo stressor, le risposte allo stress a lungo termine, invece, producono
variazioni antiadattive, accompagnate da gravi scompensi metabolici, fino al determinarsi
di una malattia da adattamento, come una patologia renale, una riduzione della pressione
ematica e della temperatura corporea, un’ulcera o un’artrite (Picardi, 2012). Selye spiegò la
reazione da stress ipotizzando la presenza di un mediatore ormonale o nervoso, che
denominò first mediator, il quale, in presenza di stimoli nocivi diversi, attiverebbe in modo
aspecifico la risposta endocrina. In seguito John W. Mason (1971; 1975, cit. in Baldoni,
l’importanza dell’attivazione
2010), a partire dalla teoria di Selye, ipotizzò invece
emozionale. Per Mason, stimoli fisici e psicosociali sarebbero in grado di sollecitare le
strutture anatomo-fisiologiche responsabili delle emozioni (sistema limbico), le quali
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attiverebbero a loro volta il sistema ipotalamo-ipofisi-surrene e stimolerebbero la midollare
del surrene a produrre adrenalina e noradrenalina, provocando una risposta biologica simile
L’importanza del significato attribuito all’evento
alla reazione descritta da Selye. stressante
venne approfondito da Richard Lazarus, che ha utilizzato il concetto di stress psicologico
per indicare la condizione in cui la reazione individuale dipende dalla valutazione
cognitiva dello stimolo, mentre nello stress fisico o fisiologico lo stimolo agisce
direttamente sul corpo e solo in seguito sull’apparato mentale. Secondo Lazarus e Folkman
(1984, cit. in Baldoni, 2010), gli stimoli sarebbero elaborati dal punto di vista cognitivo in
modo differente da individuo a individuo sulla base della costituzione genetica e delle
proprie esperienze. Questo processo comporterebbe un’attivazione emozionale a sua volta
capace di stimolare le reazioni fisiologiche e comportamentali caratteristiche dello stress.
La risposta agli eventi nocivi acquisirebbe, in questo modo, una parziale specificità e
questo spiegherebbe come mai certe situazioni impegnative e potenzialmente pericolose,
assumendo un significato diverso da persona a persona, possano comportare conseguenze
nocive solo per alcuni individui (Baldoni, 2010).
…..Il sistema cervello-mente, in relazione a parametri ereditari ed esperienziali (e quindi
con una significativa variabilità e specificità individuale) individua le situazioni che
determinano un gap negli equilibri adattativi (fisiologici, psicologici e sociali) e che quindi
risultano minacciose per l’individuo. Le strutture cerebrali che supportano tali processi
l’ippocampo, l’amigdala e le aree della corteccia prefrontale, che attivano un
includono
circuito neuroendocrino (ipotalamo-ipofisi-surrene) e un circuito basato sul sistema
nervoso periferico, in grado di attivare la risposta fisiologica e psico-comportamentale
dell’individuo. Il sistema limbico in integrazione bidirezionale con le cortecce (in
particolare prefrontale) supporta le emozioni e la cognizione, utilizzando a tal fine i circuiti
delle memorie implicite ed esplicite (emotional and cognitive information processing).
modula l’attivazione degli apparati
Tramite queste strutture il sistema cervello-mente
biologici, la cui attività retroagisce sul cervello e sulla mente stessa. L’ipotalamo, collocato
tra i centri della base del cervello, è la struttura comune che attiva i circuiti dello stress. È
considerato l’interfaccia tra il livello mentale e quello della fisiologia vegetativa perché,
con i suoi collegamenti e funzioni, integra gli stimoli provenienti dai centri superiori e le
informazioni provenienti dagli organi periferici e dal corpo, e traduce questi cambiamenti
in variazioni di parametri fisiologici e nell’esecuzione degli schemi comportamentali di
base innati, legati alla sopravvivenza e alla riproduzione. Nella via endocrina dello stress, i
dei nuclei paraventricolari dell’ipotalamo
neuroni liberano due sostanze, CRH o CRF
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(ormone o fattore di rilascio della corticotropina) e AVP (arginina-vasopressina). Queste
sostanze stimolano la parte anteriore dell’ipofisi, definita ghiandola pituitaria, a produrre
l’ormone adrenocorticotropo (ACTH, adrenocorticotropic Hormone) nel sangue. L’ACTH,
tramite il flusso sanguigno, agisce su un’altra ghiandola, la corteccia surrenale, posta nella
zona superiore dei reni, inducendo la produzione dei glucocorticoidi, tra i quali il più
“l’ormone dello stress” per eccellenza. Il sistema
importante è il cortisolo, considerato
neuroendocrino è autoregolante, cioè i livelli circolanti di cortisolo vengono letti
dall’ipotalamo e dall’ipofisi tramite specifici recettori, che consentono l’attivazione o
l’inibizione del sistema, a seconda dei livelli di cortisolo circolanti. La via endocrina dello
stress viene quindi anche definita asse ipotalamo-ipofisi-surrene.
definito anche autonomo e che costituisce l’altra via, è
Il sistema neurovegetativo,
suddiviso a sua volta in sistema simpatico e parasimpatico, le cui attività si compensano.
Il sistema simpatico agisce mediante due neurotrasmettitori (adrenalina e noradrenalina),
pone l’organismo in stato di allerta e lo prepara all’azione, mentre il sistema parasimpatico
agisce mediante il neurotrasmettitore acetilcolina, inducendo uno stato di calma e di riposo
nell’organismo. La via nervosa parte da un’area, il locus coeruleus, dal quale parte una
segnalazione che, tramite il sistema nervoso simpatico, stimola la parte interna delle
surrenali, la cosiddetta midollare del surrene, a produrre una miscela di sostanze
eccitanti: adrenalina, noradrenalina, e dopamina, che sono neurotrasmettitori definiti
Quindi, riassumendo, dai nuclei paraventricolari dell’ipotalamo parte una
catecolamine.
segnalazione chimica che, tramite l’ipofisi e la corteccia della surrenale, ha come esito
finale la produzione di cortisolo. Al tempo stesso si attiva una segnalazione nervosa che,
tramite il locus coeruleus e il simpatico, determina la liberazione